Claudia Guasco, Il Messaggero 15/8/2013, 15 agosto 2013
LA CALAMITA DELLO SPAZIO
Si trova nella Via Lattea, dista 6.500 anni luce dal nostro sistema solare ed è il più potente campo magnetico mai scoperto nell’universo, con un’intensità superiore milioni di miliardi quella terrestre. Questa super calamita è una stella di neutroni collassata, con due caratteristiche straordinarie. E’ talmente densa che contiene la massa equivalente a tutto il sole in un diametro minore della città di Roma. E l’elevatissimo campo magnetico è compresso in qualche centinaio di metri, più o meno piazza San Pietro. A misurarlo per la prima volta è stato un gruppo di ricercatori tutto italiano coordinato da Andrea Tiengo, 39 anni, astrofisico della Scuola superiore universitaria Iuss di Pavia e associato dell’Istituto nazionale di astrofisica. «È la scoperta che stavamo aspettando da molto tempo», afferma.
Mai, fino a ora, «è stato osservato direttamente il campo magnetico generato da un oggetto cosmico bizzarro come una magnetar», spiega il ricercatore. Le magnetar sono stelle di neutroni estremamente dense, generate quando stelle molto più grandi del sole giungono al termine della loro vita e collassano. La ricerca, pubblicata oggi sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, «è la prima misura diretta del campo magnetico di una magnetar» e ciò che emerge è che si tratta del «campo magnetico più grande nell’universo attuale: non possiamo infatti escludere che poco dopo il Big Bang siano esiste magnetar più potenti rispetto a quella che abbiamo osservato».
LA PROVA
Gli astrofisici immaginavano potessero esistere calamite spaziali di simili dimensioni, «ma ci muovevamo solo attorno a ipotesi confermate da osservazioni indirette». Insomma, «mancava la misurazione diretta e noi finalmente ci siamo riusciti». Alla scoperta il pool di ricercatori ha dedicato quattro anni di lavoro certosino. Il punto di partenza è stato lo studio della magnetar: poiché emetteva raggi x in misura molto superiore ha attirato l’attenzione degli astrofisici, che dall’analisi della frequenza delle emissioni hanno ricavato la frequenza delle particelle che si muovono all’interno del campo magnetico.
Un dato fondamentale, perché è direttamente proporzionale proprio all’intensità del campo magnetico che in una piccola zona raggiunge l’incedibile intensità di un milione di miliardi di Gauss. Per avere un’idea della sua potenza basti pensare che la terra ha un campo magnetico inferiore a un Gauss. «Adesso che la magnetar SGR 0418+5729 è stata fotografata siamo pronti ai successivi sviluppi: elaborato la tecnica, procederemo alla misurazione su altri 20 oggetti per scoprirne funzionamento», anticipa Tiengo.
TEMPESTE MAGNETICHE
Ma per quale motivo è importante studiare i campo magnetici di questa intesità? «Perché sulla terra raggiungiamo valori un miliardo di volte inferiori, quindi non siamo in grado di vedere come la materia si comporta. Questi campi speciali ci rivelano come reagisce la materia in situazioni estreme», puntualizza il ricercatore. Insomma, «è il primo passo per mettere a punto un catalogo delle magnetar e per conoscere aspetti inediti del comportamento della materia impossibili da riprodurre in laboratorio». Non solo: gli impulsi di raggi x tanto intensi producono lo stesso effetto delle tempeste solari e sono in grado di disturbare le telecomunicazioni terrestri pur originandosi a migliaia di anni luce dal nostro pianeta. Conoscerli può contribuire a contrastarne gli effetti. «Per arrivare a una scoperta come questa abbiamo usato il telescopio spaziale XMM-Newton dell’Agenzia spaziale europea, costruito da scienziati e industrie italiane. Questo strumento fornisce un’idea concreta dello sviluppo tecnologico che stimolano ricerche di questo tipo», precisa Giovanni Bignami, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica e ricercatore del gruppo. «E poi, essendo scienza fondamentale, spinge un po’ indietro l’ignoranza e fa avanzare il fronte della conoscenza, il che non è male». Ma la notizia principale, osserva Bignami, «è che l’articolo su Nature è firmato da dodici ricercatori italiani». Guidati da Tiengo, che dopo un’esperienza a Madrid e ad Amsterdam è tornato all’Istituto nazionale di astrofisica a Milano e poi allo Iuss di Pavia. Da qui il grande salto. «Negli ultimi decenni la teoria delle magnetar è stata confermata da diverse osservazioni e sono state scoperte nella nostra galassia circa venti stelle di neutroni di questa specie, ma nessuno era mai riuscito a misurare direttamente l’intensità».