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 2013  agosto 14 Mercoledì calendario

«DEVO LA VITA AL TEATRO»

Tre morti per una strage. De­cine di proiettili per un ergastolo. Aniello Arena, allora ventiquattrenne camorrista napo­­letano, non ha avuto difficoltà a pre­mere il grilletto a Piazza Crocelle, quartiere Barra di Napoli, nel gen­naio 1991. E oggi, invece, non ha difficoltà, dopo il suo ’fine pena mai’, a salire sul palcoscenico del­la Compagnia della Fortezza diret­ta da Mario Punzo, nel carcere di Volterra. E a recitare. E nemmeno ad affrontare un set: Matteo Garro­ne lo ha voluto come protagonista di Reality. Il successo non confon­de la colpa, il pentimento non av­vilisce la pena. Ma il caso di Aniel­lo è singolare. Da ergastolano pen­sa anche al futuro, da attore trova il modo per dargli un senso. Aveva colpito il suo commosso appello in diretta, l’ottobre scorso, dalle tele­camere di Che tempo che fa di Rai­tre: «Ai ragazzi che rischiano di per­dersi dico di andare a scuola, di stu­diare, di avvicinarsi all’arte. Io sono nato due volte. Il teatro e il cinema mi hanno partorito di nuovo».
Il successo arrivato oggi, non lo ha scalfito. «Dentro di me io sono sem­pre la stessa persona – ci confessa con il suo linguaggio schietto e sin­cero – non me ne vado via con la te­sta. Però è chiaro che qualche cosa è cambiato, dopo Cannes e il Na­stro d’Argento come miglior attore. Perché mi riconoscono per strada, quando esco la mattina dal carcere per andare a lavorare all’associa­zione Carte Blanche, che gestisce la Compagnia teatrale. Dopo il suc­cesso del film ho cominciato a ca­pire che tutti parlavano della mia interpretazione. Sono soddisfa­zioni grandiose, per l’amor di Dio, fanno bene all’a­nima».

Punzo l’ha sco­perta appena ar­rivato a Volterra. Le è costato fati­ca il teatro?
Sono dieci anni che faccio teatro. Dietro, c’è tanto sacrificio. Mi ha fatto vedere la vita che non avevo vissuto, la vita sotto un’altra prospettiva. Certo il cinema è un’altra cosa. Sono soddisfatto. Ben venga se mi richiamano. Mi piacerebbe fare un film con Toni Servillo, è un attore che ammiro tantissimo.

Dell’esperienza cinematografica cosa le è rimasto?
Mi piaceva il modo col quale Mat­teo Garrone girava, somiglia al tea­tro, dove il personaggio lo vivi, te lo cuci addosso, te lo metti nell’ani­ma. Mi ha scelto prima di tutto per­ché sono capace di questa libertà di improvvisazione quando recito. Di Luciano, il protagonista di Rea­lity che cade nelle illusioni della tv, glielo dissi a Matteo: questo perso­naggio mi fa una pena, una tristez­za... Mi ha risposto: ’Se a te arriva questo, figuriamoci al pubblico!’.

Il cinema ha modificato le sue a­spettative?
Un poco sì, anche se la mia situa­zione, come molti sanno, è parti­colare e delicata. Ho dimostrato per l’ennesima volta che io non sono più l’Aniello di vent’anni fa, sono tutta un’altra persona.

Le è dispiaciuto non essere a Cannes?
Parecchio, anche se sapevo che non sarei potuto uscire dall’Italia. Ma non ci sto poi tanto male, ci sono a­bituato a queste cose. L’importan­te è rialzarsi.

I rapporti all’interno del mondo in cui lei è costretto a vivere sono cambiati?
Assolutamente no, perché io sono sempre l’Aniello amico, conoscen­te – o magari anche non amico – che la mattina esce dal carcere e va a lavorare, si compra un gelato, si siede su un gradino e se lo mangia. Non è che, dopo il successo, mi de­vo creare problemi nell’essere quel­lo che sono.

Si parla di sovraffollamento delle carceri, di situazioni davvero poco umane e dignitose per i carcerati.
Andiamo a toccare un tasto deli­cato. Io dico che se tutte le carce­ri usassero la strategia di quello di Volterra, ne adottassero la men­talità, si potrebbe stare meglio, non si vivrebbe più lì dentro come delle bestie.

Che cosa non le piace di que­sta Italia?
Qui si va a toccare la politica e io non ci voglio proprio entrare. Quel­lo che davvero non mi piace è l’in­differenza, sembra che ognuno voglia pensare a se stesso, infi­schiandosene della collettività.

Garrone ha detto che lei è l’in­crocio tra Robert De Niro e Totò.
L’ho sentita anch’io questa. L’ho presa così. Cioè: qual è il posto mio? Sono un incrocio tra i due? E chi non lo vorrebbe essere. Gra­zie Matteo.