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 2013  agosto 14 Mercoledì calendario

DOPO-CINA, ECCO LE NUOVE FABBRICHE DEL MONDO

Il declino della Cina come grande fab­brica del mondo sta scritto nelle eti­chette delle scarpe da ginnastica. Fare le scarpe è semplice e costa poco, il merca­to è altamente competitivo e le aziende so­no alla continua ricerca di risparmi. Quan­do un’area povera del pianeta inizia ad ave­re le caratteristiche giuste per diventare un nuovo centro dell’industria manifatturiera i produttori di scarpe sono i primi ad ac­corgersene. Nella nuova terra trovano una popolazione che si accontenta di salari bas­si e capisce al volo cosa bisogna da fare. Quindi iniziano il trasloco delle fabbriche. Con i tempi veloci dell’economia contem­poranea nel giro di pochi mesi dopo i ca­pannoni per le scarpe sorgono quelli per i jeans e le magliette, quindi arriva il mo­mento degli enormi stabilimenti dove si as­semblano i telefonini. Co­mincia così la storia di ogni economia emergente.
La Cina l’etichetta di e­mergente l’ha conquistata trent’anni fa e ormai è qual­cosa di diverso dalla ’fab­brica del mondo’. L’econo­mia cinese è ancora basata sulle esportazioni ma il re­gime è tutto intento a crea­re un mercato interno e in­contra le colossali difficoltà di questo passaggio. Anche l’idea di fare evolvere la pro­duzione nazionale dalle attività più ele­mentari verso settori a più alto valore ag­giunto è tanto sensata da seguire quanto dif­ficile da concretizzare. Così oggi Pechino da un lato deve contrastare la formazione di bolle speculative, dall’altro è in crisi per le difficoltà dei suoi clienti abituali, i cittadini del vecchio occidente. Al punto che, come ha rilevato un’analisi del fondo speculativo Bridgewater Assiociates anticipata dal Wall Street Journal, quest’anno per la prima vol­ta dal 2007 la (debole) crescita del Pil mon­diale viene dai ’vecchi’ Paesi sviluppati più che dalle nuove potenze.
Come è sempre capitato nelle economie che si sviluppano, i lavoratori cinesi chiedono stipendi ogni anno più alti, e li stanno otte­nendo. Il ministero del Lavoro ha program­mato aumenti medi del 13% all’anno dal 2003 al 2015. Nella provincia dello Shenzen da marzo il salario minimo è stato alzato al nuovo record nazionale di 1.600 yuan al me­se. Sono più o meno 200 euro. Con una me­dia nazionale di stipendio base attorno ai 60 centesimi di euro all’ora, il lavoratore ci­nese del 2013 non fa certo la bella vita, ma ha svariati milioni di colleghi stranieri che prendono meno di lui e sono pronti a sosti­tuirlo.
Il centro di ricerca economica americano Stratfor ne ha trovati 1 miliardo. Sono gli a­bitanti dei Paesi che l’istituto definisce i Po­st- China 16, cioè le sedici nazioni destinate a succedere alla Cina nel ruolo di fabbriche globali di prodotti a basso costo. Sono i Pae­si dove, secondo l’analisi dei ricercatori di Stratfor, si stanno trasferendo le fabbriche delle industrie delle scarpe e dei telefonini, avanguardie della manifattura mondiale a basso costo e ottimi indicatori dell’inizio di una fase di sviluppo economico. L’area dei Pc16 comprende tre continenti, il suo cen­tro si sviluppa attorno a due bacini marini. Il primo è quello dell’oceano Indiano: sul lato asiatico i nuovi emergenti sono Sri Lanka, Myanmar, Bangladesh e Indonesia, sul lato africano l’Etiopia, il Kenya, la Tan­zania e l’Uganda. Il secondo è quello del Mar Cinese meridionale, con Cambogia, Fililip­pine, Indonesia, Laos e Vietnam. Il terzo po­lo dei nuovi emergenti, meno forte dei pri­mi due, si trova nell’America Latina, dove il Messico è l’emergente più interessante ac­compagnato da Nicaragua, Repubblica Do­menicana e Perù.
Certo, la Cina continua ad essere la destinazione pre­ferita degli investimenti e­steri, ma nel 2012 il dato, 112 miliardi di dollari, ha segna­to un calo del 3,7%. Solo nel 2009 si era visto un taglio peggiore, ma allora era col­pa della crisi mondiale, mentre stavolta è la concor­renza dei nuovi emergenti. La tendenza è visibile ormai da qualche anno. Crocs, il produttore dei celebri san­daloni di plastica americani, ha previsto di ridurre entro il 2015 dall’80 al 50% la quota di prodotti realizzati in Cina e avviare nel frattempo nuove fabbriche nel Sud-est a­siatico. Coronet, società milanese che rea­lizza pelle sintetica per grandi case di mo­da come Tod’s e Louis Vouitton, aprirà una fabbrica in Vietnam. Semplicemente «per­ché tutti i calzaturifici nostri clienti stanno delocalizzando lì» ha spiegato l’ammini­stratore delegato Jarno Tagliarini. Addirit­tura diverse compagnie automobilistiche cinesi, come Geely e ChangAn, hanno co­struito nuove fabbriche in Messico.
In questa guerra a chi può campare con lo stipendio più basso i nuovi emergenti sono «Paesi che al momento possono vendere ai clienti la loro povertà», scrive con realismo George Friedman, fondatore e guida di Stratfor. Ed è evidente che il ’pacchetto’ del­le nuove fabbriche del mondo comprende diritti limitati per i lavoratori e nessuna gra­na sindacale. Ma è lo stesso Friedman a ri­cordare che 50 anni fa l’emergente del mo­mento era il Giappone e la sigla ’Made in Ja­pan’ indicava prodotti economici e sca­denti. Ma da lì sono arrivati gruppi come Sony, Canon e Toyota. Lo stipendio del la­voratore medio giapponese, calcola l’Ocse, oggi è di 51mila dollari all’anno: solo 3mila in meno del collega americano, ben 20mi­la in più di quello italiano...