Ettore Livini, la Repubblica 14/8/2013, 14 agosto 2013
I RE DELLA SILICON VALLEY ALLE “GUERRE STELLARI” PER DOMINARE IL TURISMO SPAZIALE
SILICON Valley addio. Gli Archimedi Pitagorici dell’hi-tech – diventati Paperoni grazie a Wall Street – hanno alzato l’asticella delle loro ambizioni. E dopo aver colonizzato (e sbancato) la terra con le loro geniali start-up, hanno messo nel mirino una nuova frontiera: lo spazio. L’occasione è unica: la Nasa è stata messa in ginocchio dai tagli al budget federale, i programmi spaziali cinesi sono ancora in fasce. E così, zitti zitti, i guru del web si sono lanciati a suon di miliardi – a loro non mancano – alla conquista dell’universo.
Il parterre de roi di queste guerre stellari è a 18 carati: Jeff Bezos – patron di Amazon e neo-editore del Washington Post – ha investito decine di milioni nella Blue Origin e ha appena lanciato il prototipo del New Sheperd, razzo destinato a scarrozzare turisti in viaggi suborbitali a gravità zero. Elon Musk, la mente dietro Paypal, ha piani ancora più grandiosi: la sua Space X punta a essere la prima a spedire un uomo (a pagamento, ovvio) su Marte. Il fondatore di Microsoft Paul Allen, fiutato l’affare, si è gettato nella mischia varando Stratolaunch System. E grazie a 300 milioni di dollari di investimenti vuol conquistare la leadership del promettentissimo mercato delle crociere orbitali.
Il terreno degli affari spaziali del resto è ancora vergine e per menti vulcaniche come i re del web c’è solo l’imbarazzo della scelta. Le risorse della terra iniziano a scarseggiare? No problem. Il visionario Larry Page, padrino dell’algoritmo di Google, ha fondato Planetary resources. Obiettivo: andare a caccia di metalli preziosi sugli asteroidi. Il primo passo, già avviato, è la messa in orbita di telescopi per selezionare i giacimenti stellari più interessanti.
Un gioco per miliardari annoiati? Tutt’altro. I genii della Silicon Valley stanno facendo le cose maledettamente sul serio. Bezos e Musk, per dire, sono impegnati in una sfida all’ultimo dollaro per acquistare Pad39, la gloriosa rampa di lancio degli Shuttle messa all’asta dalla Nasa. Space X ha già consegnato un satellite alla Stazione spaziale internazionale. La Stratolaunch ha sperimentato con successo Grasshopper, avveniristico razzo propulsore “riciclabile” che dopo aver spedito in orbita la capsula rientra, docile come un agnellino, alla base di partenza. Il business è appetitoso. La società di consulenza Tauri stima in 4mila aspiranti astronauti in dieci anni il bacino potenziale dei turisti spaziali. Giro d’affari previsto: 600 milioni. Richard Branson e la sua Virgin Galactic – fresca di test della navicella SpaceshipTwo – hanno già venduto 600 biglietti per i loro voli orbitali, di cui uno al fisico Stephen Hawking. E la Space Adventures, dopo aver spedito un po’ di turisti sulla Soyuz, ha una lunga lista d’attesa per i nuovi servizi in partenza dal 2015.
I prezzi, va da sé, non sono proprio popolari: i viaggi suborbitali costano tra i 100mila (listino Space X) e i 250mila dollari (Virgin). Dieci giorni a orbitare attorno alla terra – al ritmo di un periplo ogni 90 minuti – vengono via a 52 milioni. Le due poltrone per il primo viaggio attorno alla luna della Space Adventures, partenza nel 2017, sono stati venduti per 150 milioni a due anonimi astronauti della domenica. I re del web, viste le cifre in ballo, rischiano di aver visto giusto un’altra volta. A rimanere con i piedi per terra si guadagna poco. Il futuro, parola dei Paperoni della Silicon Valley, è nello spazio.