Danilo Taino, Corriere della Sera 14/8/2013, 14 agosto 2013
JOGGING, PESI E PIZZERIA I GIORNI INDIANI DEI
MARÒ –
La vita in India dei due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, è migliorata da quando si sono spostati dal Kerala a New Delhi. Rimane però complicata, ovviamente limitata — sono in libertà vigilata — e soprattutto condotta camminando sui gusci d’uovo. Ogni loro movimento è scrutato dai media della capitale indiana e dai politici, che stanno usando a fini elettorali l’incidente accaduto il 15 febbraio 2012 nel Mare delle Laccadive e le successive tensioni tra Roma e Delhi: l’anno prossimo si terranno le elezioni nazionali e in India le polemiche, anche sul nulla, sono già pane quotidiano.
É che le vicende dei mesi scorsi hanno lasciato una scia di sospetti tra i vertici dei due Paesi e nelle opinioni pubbliche, nonostante i toni ufficiali rilassati: soprattutto il flip-flop del precedente governo italiano — che prima decise di non fare tornare i due fucilieri in India da una licenza concessa dagli indiani sulla fiducia e poi cedette e li rispedì come un pacchetto postale, con conseguente dimissioni dell’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata — ha lasciato malintesi e minato la fiducia. Fino allo scorso gennaio, in Kerala — lo Stato meridionale dell’India al largo delle cui coste furono uccisi i due pescatori della cui morte sono accusati i marò — la tensione attorno a Girone e Latorre si respirava in ogni momento: politici locali scatenati a chiedere giustizia, manifestazioni davanti ai tribunali, associazioni di difesa dei pescatori poveri mobilitate. Ora, a Delhi, metropoli da venti milioni di abitanti, il clima è diverso, almeno in parte «dekeralizzato».
Girone e Latorre vivono nell’ambasciata d’Italia, nel verde Chanakyapuri, il quartiere diplomatico della capitale: ospiti residenti affidati dal tribunale all’ambasciatore, Daniele Mancini. É un compound di cinque ettari con l’edificio costruito negli anni Novanta, un parco, ulivi. Abitano in due appartamenti autonomi, uno in precedenza destinato ai visitatori di passaggio, l’altro un locale sul lato piscina riadattato per l’occasione. Una volta la settimana, devono fare presenza e apporre una firma presso il posto di polizia di quartiere. Per il resto, sono formalmente liberi di muoversi, senza restrizioni, per la città. Di giorno lavorano: orario d’ufficio presso l’addetto militare dell’ambasciata. Leggono, usano Internet per informarsi e per tenere contatti regolari con i commilitoni in Italia.
Al mattino presto, fanno jogging e esercizi nel Nehru Park, tra la statua di Lenin a grandezza naturale e concerti di musica classica indiana. Sollevano pesi. Vanno al supermercato. Qualche sera, in questi mesi, sono andati in pizzeria. Per il resto rimangono in ambasciata, passano il tempo libero con i funzionari, con gli archivisti, con i quattro carabinieri della sede diplomatica, con il direttore dell’ufficio Ice. Spesso mangiano con l’ambasciatore e la moglie, qualche volta cucinano loro. In questi giorni, la famiglia di Girone è in ambasciata: resterà ancora un po’ di giorni. La compagna di Latorre è invece partita da poco: è rimasta quattro settimane.
Non vanno però più a messa: a proposito di camminare sui gusci d’uovo. All’inizio, appena arrivati a Delhi, ci andavano ogni domenica, assieme all’ambasciatore Mancini: alla nunziatura apostolica presso l’ambasciata vaticana. Un sabato di aprile è però successo che sono andati, invitati, a una festa di compleanno proprio nell’ambasciata dello Stato Vaticano: compiva cinquant’anni un consigliere, monsignor Gian Franco. C’erano diplomatici di altri Paesi, l’Arcivescovo di Delhi Anil Couto, qualche figura politica con consorte. Normale fetta di torta e bicchiere di vino. Fatto sta che il «party con marò» è arrivato sulla stampa, che ha sollevato con un certo clamore questioni di opportunità. I due «Italian marines» se la stavano spassando — scrissero in molti — con la benevolenza del Vaticano. A quel punto, visto che la nunziatura è spesso frequentata da persone provenienti proprio dal Kerala, lo Stato più cattolico dell’India, Girone e Latorre hanno deciso di lasciare perdere. Non vanno più a messa la domenica, nemmeno nella cattedrale del Sacro Cuore, per evitare imbarazzi e fraintendimenti. Qualche sacerdote va di tanto in tanto da loro in ambasciata per una benedizione e la comunione.
L’ambiente di Delhi, insomma, non è morboso come quello del Kerala ma per i due fucilieri l’agibilità è parecchio limitata. Non andrebbero mai a un concerto rock, per dire. Si tengono addirittura lontani dalle sedi delle televisioni, per non essere ripresi. É che la questione dei due pescatori uccisi, Ajesh Binki e Gelastine Valentine, è ancora molto viva in India. L’agenzia investigativa nazionale (Nia) sta istruendo il processo contro i due marò: una corte speciale monocratica li giudicherà, forse già tra settembre e ottobre. Ogni occasione è buona per sollevare scandalo e nazionalismi.
Domenica scorsa, Narendra Modi — il quasi certo candidato del partito nazionalista Bjp alla premiership nelle elezioni del 2014 contro il partito del Congresso dei Gandhi (oggi al governo) — ha attaccato Sonia Gandhi, perché italiana e dunque a suo avviso connivente, proprio sulla questione dei marò. «Gli Italian marines sono venuti e hanno ucciso due nostri pescatori — ha detto durante un comizio a Hyderabad — Sono stati arrestati ma poi gli è stata concessa la libertà vigilata e rilasciati e gli si è permesso di tornare nel loro Paese. Chi ha influenzato tutto ciò?».
Il fatto che Sonia, la figura più potente del Paese, sia italiana, scatena le opposizioni, deliziate dal caso marò. Ma, più in generale, le relazioni tra Italia e India sono oggi a livelli molto bassi. Ci si parla: ieri, a Delhi è arrivato il sottosegretario Staffan de Mistura, che incontrerà il ministro degli Esteri indiano. Ma sul piano commerciale, l’interscambio è crollato. E ogni occasione è motivo di scontro. La settimana scorsa, per dire, un gruppo di sikh ha protestato davanti all’ambasciata d’Italia a Delhi perché alcuni connazionali non sono stati lasciati partire dall’aeroporto di Fiumicino in quanto si sono rifiutati di togliersi il turbante al controllo di sicurezza. «Il turbante non è un pezzo di vestito — dicevano i cartelli — E’ parte del corpo di un sikh». Le vecchie incomprensioni oggi diventano manifestazioni. I marò sanno che si supereranno partendo da loro. Nella calda e monsonica Delhi, provano a muoversi in punta di piedi.