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 2013  agosto 14 Mercoledì calendario

L’EX BR SENZIANI NEL FILM CHOC: «COSI’ HO UCCISO ROBERTO PECI»

«Gli abbiamo bendato il volto perché non riconoscesse né avesse consapevolezza del momento... Abbiamo poi portato via la salma per non lasciarla in quel luogo orribile». Sullo schermo, al Festival di Locarno, parla Giovanni Senzani. Il brigatista appare gelido, senza un filo di emozione, racconta i dettagli dell’uccisione di Roberto Peci, l’operaio che aveva l’unica colpa di essere il fratello di un «pentito» br. Era il 3 agosto del 1981, il terrorista allora filmò l’esecuzione («Una decisione politica») dopo aver ideato il sequestro durato 55 giorni.
Ora Senzani, ormai uomo libero dal 2010, è interprete di un film (l’unico titolo italiano in concorso) e vive una giornata da protagonista al Festival di Locarno. Sangue , diretto da Pippo Delbono, racconta la morte quasi in contemporanea, nel 2012, di due donne: la madre del regista e poi la compagna di Senzani. Lutti di due uomini distanti, uniti dal dolore. Un documentario i cui si mescolano sentimenti privati e la politica. Certo che se il pubblico in parte scappa dalla sala nel momento in cui il regista riprende la mamma in coma all’ospedale fino all’ultimo respiro, uguale impressione anche se di segno diverso fa il racconto dell’uccisione di Peci, fatto per la prima volta con un apparente cinismo che impressiona. A ciglio asciutto ma tenendo un tono da speaker della violenza, Senzani narra come andarono le cose. Non pentito parla della preparazione del gesto, del trasporto dell’inconsapevole ragazzo e due volte sostiene che anche loro avevano un po’ di pìetas . Dice che non crede nella redenzione e si sofferma nel descrivere quel posto squallido in cui fu segregato Roberto Peci. Un racconto choc.
Dice che oggi non è più né un cattivo né un buon maestro. «Ai funerali del compagno Prospero Gallinari» che si vede nel film tra drappi, garofani e bandiere rosse «molti ragazzi alzavano il pugno chiuso parlando delle cose di oggi, ma nessuno di noi anziani li ha imitati. Sappiamo che è una storia finita per sempre ma su cui non sarebbe oggi giusto dare un giudizio o fare un bilancio anche perché le Brigate Rosse, con la loro scelta politica probabilmente sbagliata ma lottando per idee giuste, sono state un pezzetto di storia nel panorama delle rivoluzioni mondiali e ancora non abbiamo capito perché è fallita quella sovietica». Funerali di Gallinari, visioni funerarie dell’Aquila distrutta, soprattutto dalle bugie. Delbono a Locarno prende le distanze dalle dissertazioni sugli anni di piombo di Senzani: «Io da piccolo giocavo solo con le bambole» sintetizza freudianamente. Ma nel film il regista rivela, partendo dal rapporto di amicizia non privo di momenti polemici, molti episodi che hanno coinvolto l’ex brigatista. «E’ vero — dice Senzani — che quando siamo stati arrestati, io e i miei compagni, per cinque giorni abbiamo subìto torture. Io poi mi sono fatto 12 anni di carcere speciale, in isolamento su un totale di 23 anni. Ci sono torture fisiche e spirituali e ciascuno reagisce a suo modo. Ho sognato per anni la libertà ma in realtà non concepivo neppure l’idea di poter uscire un giorno dal carcere». Come l’ha cambiata questo film? «Si sono chiusi certi orizzonti ma se ne sono aperti altri. E se devo fare un’osservazione politica dico che noi abbiamo fatto tanto per abbattere la Democrazia cristiana che poi si è abbattuta da sola, come tutto il vecchio sistema».
Il film è applaudito. Senzani viene osservato come un oggetto misterioso riapparso dal passato, ma Delbono ribadisce che non accetta facili quanto falsi moralismi. «Mi accusano di fare pornografia del dolore, ma guardo in faccia la morte per poter guardare altri morti: la vera pornografia sta altrove, in tv, nel teatro, nel cinema, nella politica, nell’arte, nella religione, in un Paese che vive sempre nella menzogna e teme di giudicare e capire il passato, teme la verità». Mentre Senzani sentenzia: «Per le Br è finita. Ora noi siamo fuori dalla Storia».