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 2013  agosto 13 Martedì calendario

VIA ALL’AUTOSTRADA GHEDDAFI-BERLUSCONI BLOCCATA DALLA GUERRA CIVILE IN LIBIA LAVORI A IMPREGILO, MA PAGA L’ITALIA

MILANO — L’hanno ribattezzata l’autostrada dell’Amicizia. In nome dell’accordo da 5 miliardi di euro in vent’anni tra il governo italiano e quello libico, che nel 2008 ha messo fine al contenzioso per i danni di guerra. Ma anche per ricordare il rapporto personale che ha legato, per anni, Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi.
Sono stati loro, nell’agosto di cinque anni fa, a mettere la firma sotto il trattato che ha, di fatto, regalato un nastro di asfalto lungo 1.700 chilometri, quattro corsie e dodici ponti dalla Tunisia all’Egitto, al governo di Bengasi. Perché in base agli accordi sul risarcimento dovuto per gli oltre 30 anni di occupazione coloniale e - in più di un caso - di persecuzione delle popolazioni, a garantire il pagamento di quanto dovuto è l’Italia. Anche se - in modo che il conto torni in qualche modo in pareggio - a eseguire i lavori saranno ditte italiane.
Ecco perché ieri, ad annunciare la consegna ufficiale dell’aggiudicazione del primo lotto è stata Impregilo, il campione nazionale del settore costruzioni, da poco finita nel perimetro del concorrente Salini. La società guida un consorzio (di cui fanno parte anche Condotte, Pizzarotti e la Cooperativa Cmc) che realizzerà 400 chilometri di autostrada, dalla capitale al confine egiziano, una delle zone ritenute più sicure del paese, per l’assenza di focolai di scontri armati, per un valore di 963 milioni di euro.
Un via libera arrivato con cinque anni di ritardi proprio a causa
della guerra civile che ha rovesciato il regime del Colonnello Gheddafi, scoppiata tre anni dopo la firma del Trattato di Amicizia e Cooperazione, con tanto di esibizione di Frecce Tricolori sui cieli di Tripoli. E la visita del dittatore - nel 2009 - a Roma, dove fece montare i suoi padiglioni a Villa Borghese e arrivò persino a convocare 200 hostess per cercare disse lui - di convertirle all’Islam.
L’autostrada dell’Amicizia è il boccone più grosso delle opere destinate al risarcimento della Libia, con oltre 3 miliardi di valore complessivo. Che, per la precisione, più che dall’Italia i lavori saranno pagati dalla prima società italiana per capitalizzazione di Borsa. Sempre il governo Berlusconi s’inventò nel 2008 quella che si potrebbe definire una tassa di scopo: all’Eni - e solo a lei - venne aumentata la quota dell’Ires da versare all’erario. Solo nel 2012, la società guidata da Paolo Scaroni ha versato 154 milioni in più, tutti destinati alle opere da realizzare nei prossimi anni in Libia.
Non è casuale, ovviamente, la scelta di Eni e non solo per gli utili che realizza ogni stagione. Il gruppo è attivo da oltre 50 anni nel paese africano: la prima concessione risale al 1959, mentre data 1965 il primo giacimento scoperto a olio. E i diritti per lo sfruttamento del sottosuolo durano fino al 2047. Non per nulla, il governo Monti, all’indomani della fine della guerra civile si diede da fare perché gli accordi venissero confermati dal nuovo governo post rivoluzione. Sia quelli del Trattato di Amicizia, visto che si tratta di soldi da far rientrare facendo lavorare imprese italiane, sia quelli che legano Eni al sottosuolo libico.
In una parola, interessi nazionali da difendere. Infatti ieri alla notizia del via ai lavori dell’autostrada, Impregilo è salita in Borsa fino chiudere in rialzo del 2,5 per cento continuando così la corsa iniziata a fine luglio dopo l’annuncio della vittoria per la costruzione di una delle sei nuove linee di metro a Riyahd per un valore di 6 miliardi di dollari. E, sempre ieri, Eni ha annunciato con un sospiro di sollievo la ripresa delle attività nei campi di El Feel, che fruttano 130mila barili al giorno, fermi dall’11 giugno.