Francesca Pierantozzi, Il Messaggero 13/8/2013, 13 agosto 2013
PARIGI, UN MILIONE DI PERSONE SI LAVA ALLE DOCCE PUBBLICHE
Le mattonelle sono bianche, immacolate, con una greca nera, elegante, art déco. Più bello di un bagno vero. Ad avercelo. Il tunisino Karim, Oumar dal Mali, ma anche François, studente di Tolosa, Henri, di Vitry, Marc (ma ci pensa su, dà un nome falso), pensionato, un bagno non ce l’hanno. Come loro, sono diventati più di un milione a Parigi a farsi la doccia, la barba, uno shampoo, ai Bains-douches un nome che suona bene (è anche una famosa discoteca) per indicare i bagni pubblici. Effetto della crisi.
Erano destinati a sparire negli anni ’80, quando sembrava impossibile non avere una casa o un bagno o non riuscire a pagare una bolletta, quando erano diventati pochi a fare la fila per venti minuti di acqua calda. Quasi tutti senza tetto, clochard, qualche ragazzino in fuga. Poi la crisi, la precarietà, i nuovi immigrati ma anche i nuovi poveri (pensionati, studenti, perfino le donne) che fino a pochi anni fa non osavano mischiarsi nelle file con l’asciugamano e il sapone. Ieri Libération ha pubblicato l’ultimo reportage e le ultime cifre, con quel milione a lavarsi in silenzio, che suona come un livello di allerta.
All’ingresso gli impiegati municipali non fanno domande, non chiedono documenti. Dal 2000 i 17 bagni pubblici di Parigi sono gratuiti, aperti a tutti, dal lunedì al sabato pomeriggio. Nati alla fine del ’900, col movimento igienista, si moltiplicarono negli anni ’30 col Fronte Popolare e la nuova classe operaia. Negli anni Cinquanta si modernizzarono, molti si trovano in edifici diventati monumenti storici, che i turisti fotografano. Alcuni sono in quartieri ricchi, uno addirittura sull’Ile Saint-Louis, in mezzo a palazzi dove gli appartamenti valgono più di 15mila euro al metro quadro. Un altro è in rue Lacépède, nel cuore del quartiere Latino. Il più famoso è quello della rue des Haies, nel ventesimo arrondissement. Fuori, una meravigliosa facciata di ceramica del 1928, oggi protetta dai beni culturali. Dentro, due lunghi corridoi di cabine-doccia su due piani, per oltre 90mila docce l’anno. E non solo clochard. Non più. «Vengono studenti, pensionati, e anche molti che un lavoro ce l’hanno» dice l’impiegato all’ingresso. «So a memoria tutti gli orari dei bagni pubblici. Nel mio zaino, ho sempre uno shampoo, del sapone, uno spazzolino, dentifricio e un rasoio» dice Karim a Libération, che lavora, ma non guadagna abbastanza per un appartamento con bagno e vive in una camera in subaffitto. Altra doccia, altra testimonianza, Henri, 48 anni, passaporto francese. Anche lui ha un lavoro, ma «l’acqua calda costa troppo cara» e poi «venire qui non mi dispiace, amo la gente». La gente che viene a lavarsi nei bagni pubblici in realtà parla poco. Entra a testa bassa, non discute con l’impiegato all’ingresso e passa dritto anche davanti al cronista. «Le conversazioni si limitano quasi sempre a buongiorno e arrivederci» ha confermato qualche tempo fa a Le Monde Alain Nedelec, che lavora da cinque anni alle Docce della rue des Haies. Venire a lavarsi ai bagni pubblici, entrare nella cabina con la porta rossa, asciugarsi i capelli su una delle panchine nei corridoi accanto ad estranei, non è quasi mai una scelta: «Si vergognano, questa è la verità. A parte qualche habitué che scambia qualche parola, la gente passa in silenzio, resta discreta». Ormai più nessuno pensa a chiudere le Bains-Douches. Anzi, il comune di Parigi pensa di aprire nuovi bagni pubblici nel quartiere chic dell’Opera. Anche le norme diventano più comprensive. In giorni di scarsa affluenza i venti minuti possono diventare qualcosa di più. E gli impiegati del comune non nascondo di chiudere un occhio se qualcuno entra in doccia anche con un detersivo e qualche panno da lavare. Il regolamento lo vieterebbe, ma «sappiamo chi è, lavora in nero e non ha la carta di soggiorno: il proprietario rifiuta di riparare lo scaldabagno, non ha acqua calda da due anni».