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 2013  agosto 13 Martedì calendario

L’AMORE FRA TELEGRAFISTI NEI VERSI DI MAXWELL

James Clerk Maxwell fu un genio della fisica. Nel 1873 con poche eleganti equazioni unificò fenomeni in apparenza disparati come la luce, l’elettricità e il magnetismo. Le equazioni prevedevano le onde radio, poi scoperte da Hertz e utilizzate da Marconi. Solo Newton con la legge di gravità e Einstein con la teoria della relatività sono paragonabili a Maxwell. E chissà che altro avrebbe fatto se non fosse morto a 48 anni. Cose note. Ma sorprendente è scoprire che fu anche poeta. Teresa Prudente ha curato la prima traduzione italiana delle sue poesie per le Edizioni Archivio Dedalus (246 pagine, 20 euro). Figlio di un avvocato di Edimburgo, orfano di madre a 8 anni, Maxwell fu uno scienziato precoce. A 25 anni concorse all’Adam’s Prize bandito nel 1856 per risolvere il problema degli anelli di Saturno. Grazie alla sua straordinaria padronanza della matematica, Maxwell vinse il premio e diventò subito celebre dimostrando che, per essere stabili, gli anelli dovevano essere formati da un enorme numero di corpi in orbita intorno al pianeta come minuscoli satelliti. Nel settembre 1979 la navicella Pioneer 11 fornì la prova fotografica di ciò che Maxwell aveva visto tanti anni prima con gli occhi della mente. Singolare coincidenza, Pioneer 11 inviava le sue immagini da Saturno a un secolo esatto dalla morte di Maxwell, avvenuta il 5 novembre 1879 per un cancro allo stomaco.

Maxwell aveva molti interessi: non solo matematica e fisica ma anche linguistica, poesia, arte, teologia e persino psicologia. Nel saggio Psycophysis anticipa l’attuale collaborazione tra fisiologi e psicologi nello studio dei meccanismi cerebrali. Nel saggio filosofico Analogies esalta l’utilità del pensiero analogico (tipico del poeta e dell’artista) nel superare la rigidità del pensiero meccanicistico (tipico dello scienziato).

Ammiratore di Milton – l’autore del poema Il paradiso perduto , in parte ispirato da una visita a Galileo, che nel confino di Arcetri gli mostrò le macchie solari – Maxwell ha lasciato una quarantina di poesie scritte tra il 1844, quando era un adolescente, e il 1878, un anno prima dell’addio al mondo. Sono quasi sconosciute anche ai lettori inglesi. Alcune comparvero su Nature firmate con la sigla dp/dt, l’equivalente analitico della formula termodinamica di Maxwell. Lewis Campbell le inserì in coda alla biografia che gli dedicò. Non si può dire che siano belle, ma interessanti sì. E, nella loro metrica rigorosa, certo anche di ardua traduzione, impresa compiuta impavidamente da Greta Fogliani ed Erika Serra.

Da bambino Maxwell amava giocare con biglie e trottole. Delle biglie osservava gli urti con cui si trasmettono il moto. Delle trottole lo affascinava il precario equilibrio. Insomma, giocando, studiava le leggi della dinamica. Aveva 13 anni quando alla trottola dedicò una poesia.È una esercitazione scolastica che gronda retorica. Ma già notevole è Biglietto di S. Valentino da un telegrafista a una telegrafista : «I fili della mia anima sono intrecciati / ai tuoi, anche se molte miglia siamo lontani, / e i tuoi in lunghe spire chiuse si avvolgono / attorno all’ago del mio cuore. / ... Oh, dimmi, quando lungo il filo / dal mio cuore colmo scorre il messaggio, quali correnti in te vengono indotte? / Un tuo clic alle mie pene porrà fine». C’è la scienza, la tecnologia, il sentimento, un’anticipazione dei moderni sms che ci scambiamo con i telefoni cellulari. La curiosità di Maxwell per il linguaggio emerge nel saggio giovanile Language and Speculation, dove parla dell’importanza della divulgazione scientifica e attacca «il mero linguaggio massonico o per iniziati che permette ai seguaci dello stesso culto di mantenere la loro segretezza». Al contrario, bisogna esprimersi in un linguaggio che sia insieme preciso e comprensibile. Di qui alcune poesie che mettono in ridicolo l’oscuro tecnicismo di certi scienziati. Così inizia la poesia Lezioni di fisica alle donne datata 1874: «Spettabile Dottore in Filosofia / eminente accademico di Heidelberg! / Il totale della Sua vitale energia / non raggiunge il milionesimo di un erg. / Ad occhio si può stimare il suo più vitale movimento / a un decimo di metro al secondo. / L’aria – lei dice, con quel linguaggio raffinato / che del pensiero scientifico è espressione, / L’aria – che di un megadyne su ogni centimetro quadrato esercita la pressione - / L’aria, e potrei aggiungere l’oceano, / altro non sono che molecole in movimento».

Altrettanto ironica, e forse a doppio senso, è la poesia In memoria di Edward Wilson , un collega fisico e matematico della British Association: «Se un corpo incontra un corpo / volando nell’aria, / se un corpo urta un corpo / volerà? E dove? (...) Se un corpo incontra un corpo / totalmente libero, / come proseguano il viaggio dopo, / non sempre lo vediamo». C’è anche un Maxwell romantico. Vinta nel 1857 la cattedra di filosofia naturale al Marischal College di Aberdeen, sposò Catherine Mary Dewar, figlia del rettore del College. Era una donna piuttosto bisbetica, ma i due riuscirono a vivere sempre in armonia. Nel 1858, poco dopo il matrimonio, le dedicò questi versi: «(...) Ma presto, spero, nel cuore della notte, / ci incontreremo dove tutto intorno è estraneo / e in mezzo al volo sonoro del treno / al mio fianco ti avrò. / Sentirò allora che sei vicina, / uniti mano nella mano e anima nell’anima: / breve sembrerà quella notte felice». Non è Shakespeare, ma forse nell’Ottocento l’idea di far l’amore su un treno in corsa dava le vertigini.