Maurizio Molinari, La Stampa 13/8/2013, 13 agosto 2013
SORPRESA, I VECCHI RICCHI CORRONO DI PIU’
La Cina rallenta frenando le economie emergenti e a riguadagnare la pole position della crescita globale sono i Paesi industrializzati grazie all’accelerazione del Giappone e la ripresa americana, a cui si dovrebbe aggiungere in autunno il tassello europeo: è questa la radiografia del pil del Pianeta che esce dal centro studi di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund, anticipato dal «Wall Street Journal».
È dal 2007 che le economie emergenti avevano preso il sopravvento, spinte dai ritmi di crescita da capogiro di Cina, India e Brasile ma quest’anno il pil globale, previsto in 74 trilioni di dollari, è destinato ad avere equilibri differenti. Il sorpasso nasce in Estremo Oriente perché nell’ultimo trimestre il Giappone è cresciuto del 2,6 per cento - dopo il dato precedente del 3,8 - compiendo un significativo balzo rispetto alla stagnazione degli anni passati, mentre la Cina ha per obiettivo dichiarato chiudere l’anno con un progresso del 7,5 per cento che implica il tasso di crescita più basso dal 1990. La conseguenza è una diminuzione della domanda cinese di materie prime e prodotti tanto in America del Sud che in Asia, innescando la frenata dei ritmi di crescita di nazioni come Brasile, India e Indonesia che continueranno comunque ad essere alti.
Ad evidenziare l’impatto del rallentamento cinese è il calo della domanda di ferro, rame e carbone che negli ultimi anni ha sostenuto l’attività mineraria in Australia, Sud Africa e Sud America. Il Brasile è fra gli Stati in maggiore affanno: il pil è cresciuto nel 2012 di appena l’1 per cento rispetto al 7,5 del 2010 e l’impasse delle trattative commerciali con il Mercosur lo spinge a cercare ora un accordo con l’Ue. In ancora maggiore difficoltà è l’Argentina, a cui il Fmi ha rimproverato la pubblicazione di dati economici non affidabili, mentre nel SudEst asiatico è l’Indonesia maggiore economia regionale - a pagare la frenata cinese registrando la crescita peggiore dal 2010. Un altro indicatore della frenata di Pechino sono i consumi interni sui quali apre una finestra Herber Hainer, ceo di Adidas, secondo il quale nel primo semestre «i nostri profitti in Cina sono cresciuti del 6 per cento rispetto al 19 per cento dello stesso periodo del 2012 e al 38 del 2011».
Al mondo industrializzato giova anche quanto sta avvenendo negli Stati Uniti dove l’aumento di produzione energetica interna - grazie all’estrazione di shale gas e shale oil - ha accresciuto la domanda di macchinari e manifatture industriali, mentre il livello stagnante dei salari consente alle aziende di contenere il costo del lavoro.
Il risultato è che l’espansione del pil globale, prevista dal Fmi per il 3,3 per cento, vedrà secondo lo studio Bridgewater Associates il contributo dei Paesi industrializzare superare quello delle economie emergenti: 2,01 per cento contro l’1,43 del totale. A tale scenario bisogna aggiungere le previsioni di un’accelerazione dell’Eurozona in autunno - soprattutto grazie agli scambi commerciali - e anche di un’estensione della ripresa giapponese all’export, grazie all’indebolimento dello yen. Finora infatti l’aumento del pil nipponico è dovuto in gran parte a un aumento dei consumi interni, conseguente alla diminuzione dei prezzi. Tale combinazione Europa-Giappone può contribuire ad aumentare il distacco in favore dei Paesi più industrializzati anche se lo studio dell’hedge fund sottolinea che «la situazione potrebbe tornare a rovesciarsi» nel 2014 . A conti fatti la previsione è che nei rimanenti mesi del 2013 i Paesi industrializzati si avviano a contribuire alla crescita globale per il 60 per cento, archiviando lo choc innescato dalla crisi finanziaria dell’autunno 2008.