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 2013  agosto 11 Domenica calendario

MARINA BATTE IN RITIRATA

Il giorno in cui i parlamentari Pdl si sono riuniti, subito dopo la sentenza della Cassazione, raccontano che Angelino Alfano si sia messo a piangere. Commozione, nulla di più. Ma quel-l’aria di sconfitta, quella totale assenza di slancio, non fu gradita nemmeno dalle colombe del Pdl. Serviva grinta, quel giorno. E per l’ennesima volta, il ministro dell’Interno, dimostrò che non era a lui che bisognava rivolgersi per guardare al futuro. Per questo, nelle ultime ore, l’idea di Marina cominciava a solleticare anche gli animi più scettici. Aggiungici la campagna fulminante dei giornali di famiglia, metti un pizzico di tormentone estivo sulla saga dinastica e il gioco è fatto. Fino a ieri. Quando la primogenita di Berlusconi deve aver pensato che era il miglior regalo di compleanno che potesse farsi: una secchiata d’acqua gelida in faccia ai già orfani di suo padre. A quelli che la tirano per la giacchetta. Ai direttori che la disegnano in procinto di scendere in campo.
COSÌ, PER FESTEGGIARE i suoi 47 anni, si è omaggiata di un titolo a nove colonne: “La certezza di Marina: il mio posto è nelle aziende”. Affida il suo sfogo a Daniele Manca, il giornalista che già in altre occasioni ha raccolto e messo in ordine i messaggi della figlia più potente d’Italia. È lui che l’ha intervistata 11 volte negli ultimi dieci anni, è con lui che ha perfino commentato le vicende di famiglia subito dopo il famoso compleanno di Noemi. Eppure, ieri, anche le colombe del Pdl non si capacitavano di quel basso pagina sfornato da via Solferino. “Indiscrezioni”, le chiamano. “Non confermate”, aggiungono. Come se la firma di Manca non fosse garanzia di autenticità certificata.
Alle 5 del pomeriggio, Il Giornale è costretto a prendere atto che qualcosa è cambiato. Ingrana la retromarcia e annuncia che, per ora, Marina resta un’imprenditrice: “Berlusconi l’ha sempre detto - scrive il sito internet di famiglia - Vuole tener fuori la figlia dalla politica. La preoccupazione principale è che l’odio che per vent’anni è stato riversato su di lui possa essere spostato per ferire Marina”. Una tesi già sostenuta in edicola, quando il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti dava conto della nuova “ossessione” della sinistra: una “legge ad personam” contro la figlia del Caimano e il suo conflitto d’interessi.
Su Libero, invece, ancora non si rassegnano. “Tutti gli uomini” della “Cavaliera”, come già la chiamano (che poi sono quelli del padre: Confalonieri, Letta, Del Debbio): era il titolo del mattino e resta il titolo della giornata. Solo un accenno ai possibili “no”, annacquati dal fatto che due giorni fa, lo stesso Libero, annunciava che la raccolta fondi per la discesa in campo della primogenita era addirittura già partita.
“Ci seppellirà tutti”, dice Giuliano Ferrara. Le pitonesse - dalla Santanchè alla Biancofiore - le si strofinano attorno. Eppure, è proprio “papi” il più prudente. Teme che finisca sbranata, travolta dagli attacchi che hanno già investito lui. Finora, Marina, non è mai stata sfiorata dai guai giudiziari del padre. Nell’inchiesta Mediaset le posizioni di lei e suo fratello Piersilvio sono state archiviate praticamente subito, nel 2006. All’ex premier è toccata un’altra sorte. Lei è “particolarmente provata” - si legge sul Corriere - e considera la strada della politica “suggestiva ma non percorribile”. Tutto però può cambiare: “In momenti di così grande confusione le certezze non possono che essere relative”. Quest’anno la festa di compleanno a villa San Martino è stata decisamente sotto tono. Ai pidiellini che avrebbero gradito un invito è andata male. Per il momento, però, non si scoraggiano. “Quando devi sostituire uno come Silvio - ragionano - l’impreparazione è genetica”.

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LA GAVETTA DELLA FIGLIA DI PAPI MA IL QUID NON CE L’HA NEANCHE LEI -
Ma veramente Marina Berlusconi è una grande manager che ha opposto alla politica il sobrio motto “a ognuno il suo mestiere”?
A un certo punto la rivista americana Forbes pensò bene di inserirlanellaclassificadelledonne più potenti del mondo, mettendola davanti anche al Segretario di Stato Usa Hillary Clinton. Nessuno chiese al prestigioso giornale su quali criteri basasse la graduatoria, o con l’ausilio di qualisostanzepsicotropevenisse compilata. Ai laudatores tanto bastava per costruire il mito del-l’erede. Descritta come tosta, combattiva, determinata, Marina era pronta per la guida del Paese, e cosa importa se nessun elettore l’ha mai sentita parlare? Che cosa importa se tutti sanno che la sua parossistica timidezza le impedisce di parlare in pubblico?
Lei, come Angelino Alfano, il “quid” per diventare leader politico non ce l’ha. Ma un “quid” lo pretende. E così, orgogliosamente, nel giorno del suo quarantasettesimo compleanno ha affidato i suoi pensieri al Corriere della Sera. Che li ha riportati solennemente, senza virgolette, come fa solo con Giorgio Napolitano, così confondendo le idee al lettore che fatica a distinguere il Marina-pensiero dal Corriere-pensiero. E dice, nel titolo, “il mio posto è nelle aziende”, lasciando intendere che siamo davanti a una grande manager, una insomma che il suo “quid” ce l’ha, a differenza di Alfano, non nella politica ma come leader nell’economia, nella trincea del lavoro, come dice il papà.
Fa sapere saggiamente che ritiene “difficile che le leadership politiche si possano improvvisare o trasmettere per via ereditaria”. E aggiunge: “Come nelle aziende: occorrono anni di dura gavetta e di apprendistato prima di poter essere in grado di aspirare a posizioni di vertice”. Come dire che lei la dura gavetta l’ha fatta, e lì c’è il suo “quid”.
LASCIANDO alla loro delusione coloro che volevano portarla su un cavallo bianco a palazzo Chigi - e ricordando che in una democrazia evoluta anche i meccanismi di selezione dei presidenti di società quotate come la Mondadori dovrebbero essere studiati con attenzione - dobbiamo notare che in effetti Marina non ha mai aspirato a posizioni di vertice, perché le ha ottenute senza spirare e molto prima di poter aspirare. Eccola a 22 anni consigliere d’amministrazione della paterna Standa, prima ancora di ottenere quella laurea che mai arriverà. Priva di titolo di studio regolare, Marina ha usufruito di istitutori privati di indubbio lignaggio. Il primo è Fedele Confalonieri, ovviamente, il secondo è stato, per breve periodo, Franco Tatò quando gli fu affidata la guida della Fininvest.
Già nel 1994, all’indomani della discesa in campo del padre, Marina è con Confalonieri nel pacchetto di mischia che gestisce il gruppo, stante il dichiarato distacco di Silvio Berlusconi, e diventa subito vicepresidente. Facendo gavetta da padrona, Marina diventa rapidamente presidente della Mondadori (2003) e della Fininvest (2005), prima dei 40 anni. A queste gemme affianca poltrone prestigiose come quella nel cda di Mediobanca dove siede accanto a Jonella Ligresti, un’altra erede che si è fatta strada con i titoli azionari del padre anziché con i titoli di studio propri. La mitica legge del mercato prevede anche questi rimedi quando la meritocrazia non premierebbe gli eredi.
La performance manageriale di Marina Berlusconi rimane avvolta nel mistero. Ieri Libero, descrivendo il team di cervelli pronti ad affiancarla in una discesa in campo data per certa, ha messo in testa alla lista Franco Currò, l’ex giornalista di Panorama che da anni la segue come un’ombra, dirigendo la comunicazione Fininvest e facendole da ghost-writer. Dunque la gestione manageriale del gruppo non è cosa sua. Le tv di Mediaset fanno capo a Confalonieri, punto. E la Mondadori è stata mandata avanti fino a pochi mesi fa dall’amministratore delegato Maurizio Costa, adesso ci pensa il successore Ernesto Mauri.
LEI FA L’AZIONISTA e, poco, la rappresentanza. I suoi predecessori si chiamavano Arnoldo Mondadori, Mario Formenton e Leonardo Mondadori. Conoscevano uno per uno le centinaia di giornalisti della casa, ed erano i motori culturali della ditta. Lei va una volta alla settimana a Segrate, ma chi lavora nei cinque piani del palazzo di cristallo disegnato da Oscar Niemeyer non l’ha mai incontrata. Il vantaggio è che difficilmente qualcuno potrà dare a Marina la colpa del pessimo andamento di Fininvest (da 160 milioni di utile nel 2010 a 285 di perdita nel 2012) e di Mondadori, che nel primo semestre 2013 ha semplicemente dimezzato il margine operativo lordo, la differenza tra costi e ricavi.