Armando Massarenti, Il Sole 24 Ore 11/8/2013, 11 agosto 2013
C’ERA UN GATTO CHE SI CREDEVA UN PARADOSSO
C’era un gatto che non c’era è un delizioso libriccino (pubblicato da Scienza express) costruito su un espediente narrativo che permette all’autrice, Monica Marelli, di assumere toni esilaranti da gattofila. È una lunga intervista «al trisnipote del gatto del signor Schrödinger», il protagonista del più celebre esperimento mentale della storia della scienza. Erwin Schrödinger lo concepì per mostrare le assurdità cui conducevano certe interpretazioni della meccanica quantistica. Immaginate che all’interno di una scatola ci sia un dispositivo in grado di uccidere un gatto. Che muoia o meno dipende da una boccetta di veleno: dal fatto che venga frantumata da un martelletto, comandato da un gruppo di atomi, oppure no. Se il gruppo di atomi decade, cioè se i nuclei si spezzano dando luogo a elementi diversi, allora il gatto è spacciato perché la fialetta si rompe e il veleno esce. Se gli atomi rimangono interi, il gatto è salvo. Quindi fino a quando la scatola rimane chiusa e nessuno guarda all’interno, il gatto resta contemporaneamente vivo e morto! Per far capire questo paradosso, il trisnipote del gatto di Schrödinger illustra all’intervistatrice tutte le meraviglie e le stranezze dei quanti – le particelle sembrano essere in due posti nello stesso momento, l’informazione sembra viaggiare più veloce della luce – fino a mostrare che molte delle stranezze, in realtà, non sono veri paradossi. Lo spaesamento nasce soprattutto dal carattere non deterministico ma intrinsecamente probabilistico del comportamento delle particelle nel mondo atomico. «Sono delle teppiste con regole tutte loro», spiega il gatto di Monica Marelli. «Anche il decadimento nucleare è un fenomeno quantistico: non puoi prevedere quando accadrà». Ma è proprio concentrandosi sulle probabilità, e sul loro fondamento filosofico, che i paradossi possono dissolversi, come mostra il bell’articolo di copertina de «Le Scienze» di agosto. Un gruppo di scienziati, chiamatisi QBism, dal 2001 ha unito la teoria quantistica con il teorema di Bayes, da cui nasce la geniale interpretazione soggettivista della probabilità. Neppure alla funzione d’onda, lo strumento che Born aveva concepito per prevedere i comportamenti delle particelle, va conferita una realtà oggettiva. Essa va interpretata solo come uno strumento che ci permette di assegnare un valore alla nostra fiducia soggettiva, alla luce delle informazioni più o meno accurate di cui disponiamo, nel fatto che la materia abbia certe proprietà, proprio come facciamo quando scommettiamo che domani pioverà o ci sarà il sole. Ma se la funzione d’onda è semplicemente una descrizione dello stato mentale dell’osservatore, allora il gatto o è vivo o è morto, e l’osservazione svela come stanno le cose. «Dio non gioca a dadi», diceva Einstein, convinto che le conseguenze filosofiche della fisica quantistica fossero inaccettabili.
Lo sono meno se pensiamo che a giocare a dadi siamo noi, continuamente, e soggettivamente, anche quando la scommessa è su come è fatta e su come si comporta la realtà.