Maurizio Porro, Corriere della Sera 12/8/2013, 12 agosto 2013
«MERENDA E POI L’ATTESA PER IL BAGNO LA MARMELLATA È LA MIA MADELEINE» RACCONTO D’AGOSTO
Isabella Ferrari è un’attrice particolarmente coraggiosa e coraggiosamente particolare nelle scelte di cinema e teatro, dal nudo fisico al nudo politico con Travaglio. Facciamo un amarcord estivo che chiama in causa due epoche, due morali, due diete, due marche di auto, due prezzi da casello a casello (Piacenza-Varazze), due mari, due Italie e la metamorfosi di Isabella da figlia a madre, un inevitabile gioco delle parti. «L’estate che ricordo da ragazza era un’estate borghese in famiglia. Si partiva per Varazze o Finale Ligure come una colonia, genitori, fratelli, zie, cugini. Si faceva tutto in compagnia: risveglio alla stessa ora, poi tutti al mare, tutti indietro, tutti a divorare pane e nutella. Viaggio con carne congelata e salami, perché la vacanza era lunga e papà commerciante. In quell’andare e venire tra spiaggia e casa, tra focaccia e chinotto, ho piantato le mie radici: c’erano madre e zia con tre figli, due femmine e un maschio come noi, totale 4 ragazze e 2 maschi tutti infilati, dopo opportune zuffe, nei letti a castello».
Isabella aveva il compito del pane al mattino, era la prima ad alzarsi e correre al forno a fare provvista di pagnotte, da spalmare con burro e zucchero: «È la mia madeleine. Andavamo al mare presto per fare il primo bagno, prima merenda, un altro bagno, sempre con l’incubo della digestione calcolata al millesimo; e dopo il pranzo e il pisolino obbligatorio, magari fingendo di addormentarsi, ancora al mare, ma dopo il pomeriggio marino si dava il via ai piccoli amori, ai giochi. C’era sempre, quando si tornava in auto a casa, qualcuno, spesso noi ragazze, che tirava su col naso, triste per un amore lasciato in sospeso. Una vacanza radicata e semplice che è ancora dentro di me con affetto: l’adolescenza della marmellata».
«Mi piace chiudere il cerchio con il secondo tempo di queste estati, da quando una decina di anni fa abbiamo preso con il mio compagno una casa a Pantelleria, posto lontano, meraviglioso e scomodo da raggiungere, dove non sai mai se potrai ripartire, veleggi su un’idea romantica della vacanza. Io ci sto con i figli, il piccolo ha iniziato da lì con un mare complicato, senza spiaggia, con il rischio dei ricci e delle rocce. Tutt’altra cosa rispetto al canotto e alla ciambellina di Varazze: la sabbia è stata a lungo sconosciuta, infine scoperta con gioia. Eccoci qua dunque per un mese all’anno, si parte in gruppo con cani, gatti e tartaruga, è sempre un grande travaso di cose e di affetti: a Pantelleria è tutto magico perché i telefonini vanno sì e no, c’è spazio per la lettura. Certo, qualche volta mi viene voglia di fuggire altrove, penso a un coast to coast americano o alla vacanza orientale che da sempre cerco come meta esotica: ah, l’Oriente misterioso... Ma Pantelleria è qualcosa di unico, irripetibile: ai figli sento di regalare un’idea di infinito, guardando il mare e le stelle, questo tramonto davanti all’Africa per cui tutte le sere ci si appoggia insieme sulla duchena, un muretto coi cuscini, un divano di pietra a guardare il tramonto facendo il conto alla rovescia. Il cielo ci sovrasta, godiamo del profumo del rosmarino e degli odori diversi portati ogni giorno dal maestrale o dallo scirocco, si colgono le more e si mangiano all’istante. Alla sera ceniamo sui tetti, facciamo la conta delle stelle, col mare a 360 gradi: come sentire un altro mondo, è quello che ti cambia».
Ma anche a Pantelleria oltre a mare, cielo e stelle, c’è un supermercato: «A turno i ragazzi fanno la spesa al paese ed è una botta di vita. A me piace che non ci siano troppi negozi, mi piace il quasi nulla, anche il ferirci ai piedi perché si gira scalzi sui campi di capperi. Pur ripetendo il rituale, torni cambiata dentro, l’energia e il sangue sono mutati, c’è uno spazio all’interno del quale sei libero di diventare un altro. Non vedo l’ora di arrivare a Pantelleria, dove risento le mie origini di campagnola. Amo questo posto non per snobismo ma perché mi piace girare per i campi, sporcarmi, non vestirmi e scoprire una fantastica geografia interiore che ti entra nell’animo, mette radici dentro e poi non se ne va per tutto l’anno».