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 2013  agosto 11 Domenica calendario

QUEI FALCHI IN VOLO SULLA POLITICA COSTRETTI A VINCERE O RITIRARSI

C’è un destino ornitologico anche nei partiti. Se il Pd di Bersani si smarrì tra passeri e tacchini, il Pdl sta infiammando la sua estate nel duello tra falchi e colombe. A rigor di metafora, la differenza tra i due pennuti dovrebbe consistere nella diversa propensione all’uso della forza. Nasce infatti nella politica estera americana l’immagine che tanta fortuna sta conoscendo sulle pagine dei giornali italiani. Ma mentre negli Usa sembra risalire alla crisi di Cuba del 1962, quando si trattò di decidere se scatenare la guerra termonucleare con l’Urss, e si è poi ripetuta molte volte fino agli epici scontri tra l’ala Cheney-Rumsfeld e l’ala Powell dell’amministrazione Bush sull’Iraq, qui da noi il conflitto riguarda più modestamente il ricorso all’uso della forza elettorale. Di cui i falchi del Pdl pensano di poter disporre a ottobre, facendo cadere il governo e con un Berlusconi ancora semieleggibile, e le colombe no. A dire la verità, secondo i maligni ci sarebbe anche un altro criterio classificatorio, persino più efficace: e cioè che le colombe sono quelli che stanno al governo e i falchi sono quelli che sono rimasti fuori. Ma, pur confermato dalla rumorosa militanza di Renato Brunetta tra i predatori e dalla presenza nell’esecutivo perfino di una «quaglia», lo segnaliamo qui solo come un gossip destituito di ogni fondamento politico.
È comunque la forza, la chiave di tutto; l’intendere la lotta politica come conflitto e guerra. E infatti, non a caso, falchi e colombe appaiono poco nella storia della Prima Repubblica, quando l’essenza stessa della politica era il compromesso. Finché i partiti potevano vivere solo in coalizione, ha prevalso il modello machiavelliano della «volpe», il cui indiscusso campione fu Andreotti. Al massimo, ogni tanto compariva un «lione» come Craxi, che le volpi voleva mandarle in pellicceria a «tirare le cuoia«. Ma poi sono arrivati i partiti che si fingono coalizione e il bipolarismo muscolare della Seconda Repubblica, e la metafora guerresca ha preso il sopravvento, perché il problema della politica non è più come trattare con gli alleati, ma come trattare il nemico, se «fare prigionieri» oppure no (citazione di un altro noto falco, Cesare Previti).
Stando così le cose, sembrerebbe facile pronosticare che vinceranno i falchi. Sono loro quelli veloci, dotati di artigli capaci di ghermire la preda, e di becchi robusti e arcuati per finirla. E del resto, basterebbe confrontare il profilo affilato della Santanchè con quello da teenager della Lorenzin per scommettere che la prima può azzannare la seconda, ma non viceversa. Eppure è interessante scoprire che sia la «teoria dei giochi» di Maynard Smith, sia il «gene egoista» di Richard Dawkins, e cioè due grandi chiavi interpretative della sempiterna lotta per la sopravvivenza, danno le colombe certamente più prudenti, ma anche meno perdenti dei falchi. Perché le prime hanno l’alternativa tra vincere e ritirarsi, non pagando così mai lo scotto della sconfitta; mentre i falchi, poverini, dispongono sempre di una sola alternativa, o vincere tutto o perdere tutto. E quando Berlusconi prenderà la decisione finale, è difficile che accetti l’opzione di perdere tutto, perché il suo tutto, che oltre a un partito comprende anche aziende, famiglie, ville e capitali, è tanto. (Seppure chi lo conosce ammonisca che l’istinto naturale del Cavaliere è il combattimento, e come lo scorpione della favola non esiterà a pungere la rana che lo tiene a galla).
D’altra parte non si può mai dire. Ariel Sharon, falco per antonomasia, guerriero senza tregua, ha finito la sua vita politica da colomba, al punto da far nascere un partito di colombe, Kadima, a una cui eventuale versione italica — ne siamo sicuri — due colombe come Letta e Alfano si iscriverebbero di corsa. Mentre Raffaele Fitto, democristiano mite per discendenza genetica, sembra oggi trasformato dall’antipatia politica per Alfano nel più rapace degli avvoltoi.
Di certo è nelle stanze di un ministro, dove si dice circolino più libri che a casa Verdini, forse il capostipite dei falchi Pdl, che è stata trovata in queste ore la metafora alternativa, quella che rivaluta le colombe contro i falchi, anzi, i passerotti contro le aquile.
È di Gaetano Salvemini, in uno scritto del 1955 dal titolo «Empirici e teologi». «Vi sono insomma — scriveva il grande storico — due specie di filosofi: a) quelli delle idee chiare e distinte, come diceva Cartesio; b) quelli delle idee oscure e confuse. Quelli della categoria a) sono i passerotti dell’empirismo; e quelli della categoria b) sono le aquile della teologia idealista». L’autore si annoverava tra i «passerotti»: «Quando non capisco, mi sento umiliato ma confesso di non capire. Invece le aquile dell’idealismo quanto meno capiscono, tanto più sono convinte di capire e tanto più intensamente lavorano alla fabbrica del buio». Bisogna dire che, come definizione delle elezioni anticipate, la «fabbrica del buio» calza a pennello.