Alain Elkann, La Stampa 11/8/2013, 11 agosto 2013
“COSÌ ABBIAMO CONQUISTATO NEW YORK”
Francesca Pauli, distinta signora bionda vestita con un impeccabile tailleur verde azzurro e con collana e orecchini dello stesso colore, è la proprietaria della gelateria, pasticceria, bar, ristorante Sant Ambroeus di Southampton, nello stato di New York. Ma lei è qui fin dalla mattina?
«Sì. Bisogna essere presenti e controllare ogni particolare, altrimenti le cose non vanno».
Voi siete proprietari anche del famoso bar pasticceria Sant Ambroeus di Milano?
«Quel locale fu creato nel 1936: noi lo abbiamo rilevato dalla famiglia Cattaneo negli Anni 70 e ceduto nel 1986 perché non ce la facevamo più ad andare in tribunale per le continue cause di lavoro».
Che lavoro faceva prima?
«Vivevo a Zurigo con mio marito che è tedesco. Nel 1970 ci siamo trasferiti in Italia. Mia madre era proprietaria di un bar in piazza della Scala a Milano ma non aveva più voglia di gestirlo. Quindi siamo subentrati noi, e più tardi abbiamo rilevato anche il Sant Ambroeus».
Per quale motivo vi siete poi spostati in America?
«L’Italia era in declino, così nel 1980 mio marito ha deciso di vedere che cosa si poteva fare a New York, anche perché intanto avevamo registrato il nostro marchio in America e Asia».
Il primo Sant Ambroeus di New York, quello sulla Madison Avenue, è del 1982. Avete avuto subito successo?
«Ci sono voluti tre anni, i vari Steve Martin ed Harrison Ford hanno cominciato a frequentarlo e a dargli un bel po’ di notorietà. Woody Allen ha girato nel nostro locale un pezzo di un suo film, Lucio Dalla quando veniva a New York veniva sempre da noi. In pratica siamo cresciuti con loro».
Da che cosa era attratta la clientela americana?
«Il ristorante era bellissimo, tutto in mogano e con un aspetto molto italiano. Una cosa che piaceva molto».
Quali sono le vostre specialità?
«Facciamo tutto: colazione, lunch, caffè del pomeriggio. Ma anche gelati, torte e cene».
Perché avete aperto un Sant Ambroeus anche a Southampton?
«Perchè è un bellissimo posto di villeggiatura dove mio marito ed io venivamo in vacanza. Ci siamo accorti che lì non c’era nulla del genere, così abbiamo fatto una scommessa. Vinta presto, per fortuna».
Lei dove abita?
«Da vent’anni mi sono stabilita proprio qui, a Southampton, a Est di NewYork».
E chi si occupa del Sant Ambroeus di New York?
«Mio figlio Dimitri, che segue tutti i nostri cinque ristoranti newyorkesi e ha anche un partner italiano, Gerardo Guarducci».
Cosa si mangia a New York?
«Tutti i nostri menu, realizzati da cuochi italiani, sono uguali: risotto, pasta, cotolette alla milanese, pesce, gelato e poi i dolci tradizionali».
I vostri locali avvertono la crisi?
«Per fortuna no, anche se abbiamo prezzi leggermente superiori alla media».
A Southampton vengono clienti italiani?
«Sì, e sono piuttosto numerosi. Sia quelli che ci vengono in vacanza, sia quelli che abitualmente vivono negli Stati Uniti».
Dunque il brand Italia va forte in America...
«Assolutamente sì, almeno per quello che ci riguarda. Oggi i nostri locali sono considerati veri e propri emblemi della raffinatezza e del gusto».
Anche i politici del nostro Paese sono vostri clienti?
«A Southampton abbiamo visto in più di un’occasione Giuliano Ferrara e Antonio Di Pietro, quando quest’ultimo faceva ancora il giudice».
Ha nostalgia dell’Italia?
«No, per niente, anche se mia figlia Tatiana vive a Milano».
Lei è nel consiglio di amministrazione della Feltrinelli...
«È vero, ed è una cosa di cui sono particolarmente fiera».
Si dice che lei sia una grande viaggiatrice...
«Nel mese di febbraio di tutti gli anni, quando di solito chiudiamo il locale di Southampton per i soliti lavori di manutenzione, faccio con un’amica un viaggio importante. Così sono riuscita a vedere quasi tutto il mondo, soprattutto il Medio e l’Estremo Oriente. Tra i viaggi che ricordo con maggior piacere cito con una certa nostalgia il Nepal, la Cambogia e l’India, dove sono stata in più di un’occasione».
Dica la verità: lei che è così milanese e continua a leggere i giornali italiani, si è adattata alla vita americana?
«Ho vissuto un po’ dappertutto in Europa, ad esempio in Svizzera e in Germania, quindi non ho avuto alcuna difficoltà ad ambientarmi negli States. Poi se fossimo rimasti a Milano sono certa che prima o poi avremmo dovuto chiudere. Qui invece lavoriamo ancora tanto e stiamo molto bene. L’America è un Paese aperto, assetato di novità e di cose belle. E i suoi abitanti sono ottimisti, guardano il futuro e non si adagiano nel passato».