Nicola Fano, www.succedeoggi.it 10/8/2013, 10 agosto 2013
RE SILVIO VIII
Ora il problema sono i figli. Lui è quella maschera patetica che s’è vista in diretta su tutte le reti televisive dal palchetto costruito nel cortile di casa in via del Plebiscito: difficile immaginare la furia iconoclasta di un tempo. Guizzi geniali, nemmeno a parlarne: continuerà a fare un giorno la colomba e un giorno il falco; anzi, cinque minuti la colomba e cinque minuti il falco. E poiché accanto a sé ha consiglieri e parassiti che sanno di poter sopravvivere (in senso stretto) solo se la sua icona sopravviverà, saranno costoro a farsi carico di ricoprire i ruoli di falchi e colombe, ritenendo essi stessi che questa dialettica sia quella che ha garantito al nostro una così lunga vita politica. Insomma: tutti loro (colonnelli, capetti, truppe) continueranno nel gioco sperando di sopravvivere anche alla perdita dei diritti civili e politici del loro capo.
C’è un guaio pratico, però. Il centrodestra fonda se stesso sulla forza trascinante dell’ignoranza e della dittatura dell’immagine. È l’icona Berlusconi – ritengono quelli del centrodestra – a catalizzare voti e consensi: non ci sono progetti politici, tensioni ideali, analisi critiche a sostenere questa brigata. Solo il nome li unisce. Che poi questo “nome” sia anche sinonimo di potere e denari è un incidente di percorso sul quale si è arenato tutto il resto dell’Italia negli orribili vent’anni appena trascorsi. Tant’è: il nome dovrà continuare a fare da collante. Salvo che quello del capostipite non è più spendibile poiché il titolare ha violato alcune regole di sana convivenza civile e tre gradi di giudizio lo hanno certificato. E qual è, allora la soluzione? Se non si può usare il cognome di Silvio sulle schede elettorali, bisognerà usare il cognome dei figli. Ecco perché ora il problema sono i figli.
O meglio, non sarebbero un problema, i figli, se il partito del papà, per la comoda strategia che abbiamo visto, non fosse diviso in falchi e colombe. Nel senso che, vedrete, gli uni e gli altri si accaparreranno uno dei figli iscrivendolo di diritto alla propria sottocorrente. Non è difficile pronosticare che la signora (o signorina) Marina sarà arruolata dai falchi, lei avendo costruito la propria fama su una sana e gagliarda sfrontatezza da figlia di papà che s’aggiusta il mondo e le regole come vuole lei. E non è neanche difficile pronosticare che il signorino (o signor) Pier Silvio entrerà nelle fila delle colombe, giacché lui, da sempre, ha a che fare non solo con l’onnipotenza ma anche con gli affari, il dare e avere. Favori compresi: i quali si conquistano con la mediazione paziente e non con le grida sguaiate. Già, Ma gli altri figlioli? La giovane virgulta che tanto ama il calcio e il Milan, per esempio? Se costei è – come pare – molto legata anche alla mamma, è possibile che una terza fazione si componga intorno a lei, per sottrarre forze e spazi a falchi e colombe: l’Italia è piena di fautori di benaltrismo e di terze vie. Tra cerchiobottismo e né con lo Stato né con le Br, gli esempi di terzisti abbondano. Nel caso, può darsi si ritrovino sotto il segno della terza figliola del capo.
Forse parrà un sacrilegio, ma è già successo tutto sotto Enrico VIII, in Inghilterra, nel cuore del Cinquecento. Morto (anche fisicamente) il capo, i luogotenenti si litigarono i resti del potere accaparrandosi i figli. Lì per lì, vinsero i falchi che avevano adottato quel ragazzino gracilino che poi è stato il re decenne Edoardo VI rimasto in carica un pugno d’anni, abbastanza da infierire sul languente cattolicesimo del Regno. Gli successe, per reazione, la sorellastra Maria, cattolica, detta poi “la Sanguinaria” per gli eccidi di anglicani di cui si macchiò nei pochi, tristi anni in cui rimase al potere facendosi guidare dalle ex colombe e, soprattutto, dai “poteri forti”: la Spagna ultracattolica di quel Filippo II che gli andò in sposo. Anche lei cadde, come si sa, in favore di Elisabetta che, a detta degli storici, liquidò falchi e colombe e fece da sé, senza mai esacerbare troppo gli animi quieti dei suoi sudditi. Salvo che dall’ultima parte del regno di Enrico VIII (a proposito, anche lui ebbe guai a josa per questioni di donne e annessi di dubbia moralità…) alla fine di Maria, l’Inghilterra conobbe uno dei suoi periodi più bui: non solo sangue, ma anche povertà, crisi economica e irrilevanza internazionale segnarono quel trentennio che va dal 1530 (la rottura con la Chiesa romana per via del divorzio con Caterina d’Aragona) al 1559 (l’incoronazione di Elisabetta).
Insomma, a vedere le cose con gli occhi della storia, ci aspettano ancora dieci anni di guai, dopo di che, se fossimo elettori moderati (cosa che non siamo) parteggeremmo per Barbara: dalla repubblica delle banane alla repubblica del pallone.