Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 11 Domenica calendario

L’ aumento di produzione di shale oil & gas in Nordamerica minaccia il futuro dell’Opec, l’organizzazione dei principali Paesi produttori di petrolio

L’ aumento di produzione di shale oil & gas in Nordamerica minaccia il futuro dell’Opec, l’organizzazione dei principali Paesi produttori di petrolio. È un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) a descrivere gli sconvolgimenti all’orizzonte nel mercato mondiale del greggio, facendo suonare un campanello d’allarme per gli sceicchi del Golfo Persico. «L’aumento della produzione negli Stati Uniti e in Canada sarà decisivo per l’assetto dei mercati nel prossimo» si legge nel documento, secondo il quale nel mese di luglio la produzione dei Paesi non-Opec è aumentata di 570 mila barili al giorno - arrivando a 54,9 milioni di barili - dovuti al 40 per cento all’incremento registrato in Nordamerica di shale oil, ovvero di greggio estratto in profondità grazie a trivellazioni orizzontali e al fracking, quella tecnica che consente di raggiungere giacimenti imprigionati nelle rocce per molti anni considerati irraggiungibili. Si tratta di «una tendenza in costante crescita» osserva l’Agenzia internazionale per l’energia e dunque «l’Opec si trova di fronte alla scelta di ridurre la produzione per fare spazio ai crescenti volumi di shale oil oppure di affrontare l’impatto di prezzi in discesa sul mercato» a seguito dell’offerta in arrivo dal Nordamerica. A complicare per l’Opec lo scenario della sfida con lo shale oil ci sono le difficoltà che stanno incontrando alcuni dei Paesi membri a far arrivare il greggio sul mercato mondiale, a cominciare da Libia, Iraq e Nigeria a causa dell’aumento dei sabotaggi agli oleodotti. Il risultato è stato che in luglio il totale della produzione Opec è diminuito di 165 mila barili al giorno, scendendo a 30,41 milioni di barili. «In settembre vi saranno ulteriori riduzioni alla produzione Opec a causa di importanti lavori di riparazione in programma in alcuni dei maggiori terminal iracheni aggiunge il rapporto - e ciò porterà conseguenze negative per i clienti europei, asiatici e nordamericani» con il risultato di spingerli a dare più attenzione per l’offerta di shale oil. «L’Opec si trova ad affrontare nell’immediato un problema di produzione mentre all’orizzonte è in arrivo la concorrenza del Nordamerica» si legge nel testo, secondo il quale l’unico Paese produttore ad aver compreso la pericolosità di questa doppia emergenza è l’Arabia Saudita. Riad infatti in luglio ha adottato la decisione di far lievitare l’estrazione fino a 9,8 milioni di barili al giorno, toccando il record degli ultimi 12 mesi. Ciò che preoccupa gli sceicchi è, fra l’altro, che la carenza di greggio Opec comporta una conseguenza positiva per lo shale oil sul fronte dei prezzi perché con il costo del Brent a 107,43 dollari - il record degli ultimi quattro mesi - l’esplorazione con il fracking diventa sempre più a buon mercato, avendo un costo stimato di circa 85 dollari a barile. «Al momento il forte aumento di produzione in Nordamerica dipende in gran parte dal Canada» aggiunge il rapporto, prevedendo che «la tendenza continuerà nell’ultimo trimestre facendo lievitare la produzione non-Opec fino a 55,4 milioni di barili al giorno». Riguardo alla domanda di greggio, la previsione in merito al prossimo anno è di un declino in Europa, un forte aumento in Africa, Asia e Medio Oriente, e un mantenimento degli attuali livelli nelle Americhe e nell’ex Unione Sovietica.