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 2013  agosto 10 Sabato calendario

SULLE PENSIONI


A un certo punto l’altro giorno sono venuti fuori i nomi dei dieci “super-pensionati” d’Italia. Tutto è cominciato con un’interrogazione di Deborah Bergamini, Pdl, in commissione Lavoro della Camera, cui ha risposto il sottosegretario al Welfare, Carlo dell’Aringa, il quale le ha fornito i nomi che voleva sapere, poi resi pubblici.

Dunque, eccoli: al primo posto Mauro Sentinelli, ex manager e ingegnere elettronico della Telecom, con 91.337,18 euro lordi al mese, che fanno circa 3.000 euro al giorno, cui si sommano i gettoni di presenza che prende come membro del consiglio di amministrazione di Telecom e presidente del consiglio d’amministrazione di Enertel Servizi Srl. Misterioso invece il nome del secondo classificato, con i suoi 66.436,88 euro al mese. (Marco lo Conte, Sole-24 Ore 7/8)

Chi è Mauro Sentinelli. Romano, due figli, una passione per la campagna toscana (ha casa con vigneto a Montepulciano), laurea in Ingegneria elettronica, master al Politecnico di Torino, Mba all’Insead e alla Kellogg University. Simpatie socialiste. È stato uno dei padri del Gsm, è l’inventore della carta prepagata con cui Tim ha guadagnato miliardi. Si racconta che l’idea gli venne prima di una vacanza della figlia negli Usa: cercava un modo per limitarle la bolletta. Ancora oggi ha un posto nel consiglio di Telecom (190mila euro l’anno). La sua carriera iniziò nella Sip nel 1974, nel 2004, a 57 anni, andò in pensione. Percepiva circa 1 milione di euro da direttore generale (esclusi benefit, bonus e stock option). (Federico De Rosa, Corriere della Sera 9/8)

Tornando alla classifica, al terzo posto troviamo Mauro Gambaro: novarese, 67 anni, ex direttore generale di Interbanca e dell’Inter Football Club, con un vitalizio di poco meno 52mila euro al mese. Dietro, Alberto De Petris, ex Infostrada ed ex Telecom, che incassa circa 51mila euro, seguito dal manager specialista della componentistica elettronica e dei semiconduttori Germano Fanelli, 65 anni, poco sotto i 51mila. (Marco lo Conte, Sole-24 Ore 7/8)

Dal quinto a decimo posto della classica si resta nella fascia dei 40mila euro, esattamente da 47.934,61 a 41.707,54 euro. In questo ambito dovrebbero ritrovarsi manager come Vito Gamberale, amministratore delegato di F2i, oppure Alberto Giordano, ex Cassa di Roma e Federico Imbert, ex JP Morgan. (Antonella Baccaro, Corriere della Sera 8/8)

Dopo aver reso noti i nomi, la Bergamin ha commentato: «Benché gli interventi in materia siano delicati e avendo cura di evitare le colpevolizzazioni verso chi trae beneficio da tali trattamenti, è evidente che equità e solidarietà non sono temi trascurabili, specialmente in tempi di crisi e di gravi sacrifici per tutti». (Luisa Grion, la Repubblica 8/8) Ha confermato il sottosegretario Carlo dell’Aringa: «Qualcosa dobbiamo fare, una risposta la dobbiamo dare. I livelli di queste pensioni sono troppo elevati, c’è un problema di equità da risolvere». (Roberto Giovannini, La Stampa 9/8)

Vediamo la situazione delle pensioni in Italia. Il Rapporto annuale 2012 dell’Inps dice che dei circa 15,9 milioni pensionati Inps, il 73% percepisce una sola pensione per un valore medio mensile di 1.196 euro (media tra 876 euro per le donne e 1.486 euro per gli uomini), che il restante 27% cumula due o più pensioni con un reddito medio di 1.468 euro al mese. Quasi 900mila pensionati prendono un assegno superiore a 3mila euro al mese. (Andrea Carli, Il Sole-24 Ore 2/8).

I super-pensionati (che guadagnano, cioè, più di 40mila euro) sono circa centomila e tutti insieme costano all’Inps 13 miliardi di euro all’anno. (Antonella Baccaro, Corriere della Sera 8/8)

Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, propone di mettere un tetto a 5.000 euro, ricavando per questa via miliardi di euro da utilizzare per aumentare le pensioni più basse. Anche Fratelli d’Italia, tramite Giorgia Meloni, propone di «fissare un tetto oltre il quale è necessario ricalcolare le pensioni in essere con il sistema contributivo». Aderiscono pronti Mara Carfagna (Pdl) e Arturo Scotto (Sel). (Roberto Giovannini, La Stampa 9/8)

È bene ricordare che il governo Berlusconi, a decorrere dal 1 agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, istituì il pagamento di un contributo di solidarietà sulle pensioni superiori a 90mila euro l’anno (il quale stralciava il 5% della quota superiore a 90mila euro, il 10% di quella oltre 150mila e il 15% della parte sopra 200mila euro annui). Questo contributo di solidarietà, però, è stato giudicato illegittimo proprio quest’anno da una sentenza della Corte Costituzionale e i soldi prelevati devono essere restituiti. (Gianni Trovati, Il Sole-24 Ore 6/6)

Può essere legittimo il taglio di queste pensioni? Dice Giuliano Cazzola, di Scelta Civica: «Anche alla luce della recente sentenza della Consulta, per quanto riguarda questo problema non sembra sostenibile sul piano costituzionale una soppressione della rivalutazione automatica al costo della vita sui trattamenti più elevati. Diverso, sicuramente più giusto ed opportuno sarebbe un provvedimento di carattere strutturale che rimodulasse al ribasso le aliquote di rivalutazione in rapporto alle fasce di reddito. Oggi, in condizioni normali, le aliquote sono tre: una del 100% dell’inflazione fino a 1.400 euro mensili; un’altra del 90% per la fascia da 1.400 a 2.400 euro; oltre questa soglia opera l’aliquota del 75% sulle ulteriori quote di pensione. Basterebbe allora introdurre, magari per le fasce superiori a 5.000 euro un’aliquota più bassa, ad esempio del 50% e scendere ancora di più (al 30%) per la rivalutazione di fasce ancor più elevate. L’altra misura potrebbe riguardare il calcolo dei rendimenti. Oggi, nel sistema retributivo, alla prima fascia di reddito, intorno a 50mila euro, ogni anno di versamenti produce un rendimento del 2% (perciò con 40 anni si riceve un trattamento pari all’80% della retribuzione pensionabile). Nella fasce di retribuzioni più elevate il rendimento decresce fino allo 0,90% l’anno. Questa curva potrebbe essere rimodulata al ribasso per le quote più elevate. Queste misure sarebbero assolutamente in linea con la Costituzione, senza avventure e avrebbero un carattere strutturale». (Il Sole-24 Ore 7/8)

Non che la pensione di Sentinelli & Co sia illegittima. Ma come è possibile riuscire a prendere 91mila euro di vitalizio? Grazie a una legge approvata in fretta e furia nel 1994. Rizzo: «Si sparse subito la voce che era stata fatta apposta per Biagio Agnes, l’ex direttore generale della Rai che da qualche anno aveva traslocato alla Stet, la finanziaria telefonica pubblica. Non era una malignità infondata. Quella leggina favoriva il passaggio al fondo dei telefonici presso l’Inps di chi godeva già di una pensione di una gestione diversa. Fu così che Biagio Agnes, pensionato dal 1983, riuscì a decuplicare il suo assegno: da 4 milioni di lire a 40 milioni 493.164 lire al mese. (…) La leggina di cui stiamo parlando, in realtà, non fece che aggiungere un altro privilegio a quello monumentale già riservato al fondo Inps dei telefonici. Al quale non si applicava il tetto massimo dei 200 milioni di lire l’anno. La ragione? Semplice: nessuno dei dipendenti arrivava a quella cifra. Soltanto che a quel fondo si erano iscritti anche i manager. Tutti, anche se in teoria avrebbero dovuto versare i contributi all’Inpdai. Ma dato che all’Istituto previdenziale dei dirigenti d’azienda alle pensioni d’oro era in vigore appunto quel limite, avevano evidentemente preferito confondersi con gli operai e gli impiegati nel fondo dei telefonici. E quando gli stipendi hanno cominciato a lievitare come la panna montata, l’ondata di piena è stata terrificante. Anche perché le regole del contributivo garantivano pensioni praticamente identiche all’ultimo stipendio. Il capo della Sip Paolo Benzoni andò via con 39,2 milioni di lire al mese. Ernesto Pascale con 42. Francesco Chirichigno con 36. Umberto Silvestri con 38,5. Francesco Silvano con 37,3». (Sergio Rizzo, Corriere della Sera 9/8)

I privilegi non sono solo dei telefonici: «Basterebbe ricordare i sontuosi trattamenti previdenziali dei dirigenti dell’Enel, che potevano aggirare il limite dei 200 milioni annui grazie a un faraonico fondo integrativo aziendale pagato dagli utenti con le bollette. Memorabili alcune pensioni, come quelle dei due direttori generali che si sono succeduti prima della trasformazione in spa, Alberto Negroni e Alfonso Limbruno, che si ritirarono entrambi con assegni da 37 milioni (di lire) al mese». (Sergio Rizzo, Corriere della Sera 9/8)

Cifre che, tuttavia, fanno sorridere se paragonate a certi vitalizi garantiti dallo Stato: «L’ex segretario generale del Senato Antonio Malaschini, ex sottosegretario alla presidenza con Mario Monti, ha dichiarato di percepire una pensione di 519mila euro lordi l’anno. Somma alla quale si deve aggiungere ora lo stipendio da Consigliere di stato. Perché le pensioni d’oro, da noi, hanno una particolarità: spesso chi le incassa continua a lavorare, talvolta ricoprendo incarichi pubblici altrettanto dorati.
Per non parlare di altre micidiali stravaganze. La nomina a capo dell’Agenzia siciliana dei rifiuti, l’avvocato Felice Crosta, dirigente della Regione, fu accompagnata da un emendamento approvato anch’esso in un baleno dall’assemblea regionale grazie al quale gli venne riconosciuta di lì a poco una pensione di 460mila euro. Dopo un’estenuante battaglia legale quell’assurdità è stata cancellata. Ma la storia la dice lunga su come funziona ancora l’Italia: tutto sommato, non è poi così diversa da quella della leggina che favorì Agnes e forse pochi altri». (Sergio Rizzo, Corriere della Sera 9/8)