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 2013  agosto 10 Sabato calendario

«Era un signore che allora non mi intimidiva affatto. Non lo ricordo neanche, giusto quelle manine bianche che si alzavano e si agitavano emergendo dal buio della platea, dove lui stava in piedi, affiancato dal suo stato maggiore, anche quello invisibile, tutti immersi nell’oscurità come in un pozzo

«Era un signore che allora non mi intimidiva affatto. Non lo ricordo neanche, giusto quelle manine bianche che si alzavano e si agitavano emergendo dal buio della platea, dove lui stava in piedi, affiancato dal suo stato maggiore, anche quello invisibile, tutti immersi nell’oscurità come in un pozzo. Sul palcoscenico c’era Giancarlo Cobelli, stavano provando Il dito nell’occhio , se non mi sbaglio. Arrivammo noi per le audizioni e le prove si interruppero. Cobelli, invece di andarsene, salì in graticcia…». In graticcia? «Sì, la graticciata che sta sopra il palcoscenico, da dove si manovrano le quinte, i fondali. Be’, insomma, Cobelli s’era annidato lassù e aveva curiosato per tutto il tempo. Venne giù: “Guarda che a Strehler sei piaciuta. Dopo la tua audizione era soddisfatto, ha detto: bene, bene”. Anch’io, del resto, avevo l’impressione di avere fatto una cosa buona». Non fu fatale, il primo incontro fra Giulia Lazzarini e Giorgio Strehler. Nonostante la soddisfazione di entrambi, rischiarono di non incontrarsi più, o di rincontrarsi troppo tardi. Troppo tardi per diventar parte della stessa storia, la stessa avventura, lo stesso spazio, «uno spazio, un luogo fisico e intellettuale – dirà poi lei - dove non si facevano semplicemente spettacoli: si faceva nascere il teatro». Intanto però - passa un giorno passa l’altro - in quel luogo magico Lazzarini non veniva riconvocata. «L’audizione l’avevo fatta perché Flam Bollini, un regista amico di Strehler, che avevo conosciuto in tivù, m’aveva detto che al Piccolo cercavano un’attrice giovane per la parte di Anja nel Giardino dei ciliegi . Dopo quello che mi aveva riferito Cobelli m’aspettavo che mi chiamassero, lo ammetto. Invece niente». Sono i primi Anni 50, Milano pullula di giovani attori avidi di affermarsi. Si conoscono tutti, la città è ancora piccola, ferve la ricostruzione, s’inventa la tv. Una tv che più diversa da quella di oggi non si potrebbe immaginare, e non solo perché c’era un unico canale in bianco e nero. «Era una tivù dove si faceva tantissimo teatro. La compagnia di prosa della Rai comprendeva gente come Giorgio Albertazzi, Laura Solari, Carlo Giuffrè, Renato De Carmine… Mucchi di attori. Molti venivano dalle Accademie, altri, come me, dal Centro Sperimentale cinematografico di Roma. Scuole solide, e la tv s’era rivelata una scuola ulteriore, superproficua». Ad ascoltare la Lazzarini, si fa fatica a crederle: «Lavoravamo come Giorgio Strehler insieme ai suoi attori del Piccolo in una riedizione del mitico «Arlecchino» Giulia Lazzarini, classe 1934, ha iniziato a calcare le scene giovanissima e si è fatta le ossa con i grandi sceneggiati Rai dei matti, in tivù. In neanche 18 giorni mettevamo su una commedia, García Lorca, Pirandello, Ugo Betti, Shakespeare, Ibsen… Nessuno degli attori importanti, quelli coi nomi grandi in cartellone, faceva volentieri la tivù, e così noi ci davamo sotto, e imparavamo. Del resto ai mattatori non garbava neanche il Piccolo, che era uno stabile, dove contava il nome del teatro, non quello degli interpreti». Visto che dal Piccolo nessuno la manda a chiamare, Lazzarini accetta la proposta dell’impresario Ivo Chiesa, che la vuole nella compagnia Laura Adani-Gianrico Tedeschi: «Era in programma una Dodicesima notte con la regia di Renato Castellani e una Rosa tatuata , protagonista Laura Adani, regista Luchino Visconti. Chiesa mi propone a Visconti come figlia della Adani: “Che ne dici?”. “Ok”, Luchino mi vede e mi prende. Sono al settimo cielo: avevo 19 anni. La notizia gira, arriva anche al Piccolo, dove nel frattempo avevano deciso che andavo bene per Anja. Mi convoca Paolo Grassi, mi redarguisce: “Sei stata scorretta”. Scorretta? Ma cosa avrei dovuto fare…» Poteva finir lì, il Piccolo da una parte e Lazzarini dall’altra, ma succede che Castellani sfora coi tempi della Dodicesima notte e Visconti molla La Rosa tatuata : «Addio cari, troppo tardi, me ne lavo le mani…». Lazzarini resta col cerino in mano: «Quella che se l’è presa in quel posto sono stata io». Invece, è la sua fortuna: «Il Piccolo mi ripesca. Telefonano: “Senta, ci sarebbe la parte di Clarice nell’ Arlecchino . Le andrebbe?”». Eccome. Accetta al volo, e la sua vita cambia: «Ho cominciato a conoscere Strehler, a essere una sua attrice. Entro finalmente in un teatro – prima, con la compagnia, passavamo semplicemente da un palcoscenico all’altro - un teatro con gli uffici, con la direzione… Grassi aveva il suo ufficio, non ci si poteva neanche avvicinare… E in quel teatro, scopro il teatro. Prima lo facevo come mestiere; adesso, lì, sento un’appartenenza, partecipo a un progetto. Un progetto che va oltre l’esibizione, diventa offerta alla collettività, esperienza etica». Gli spettacoli strehleriani mirano a essere «teatro civile, teatro al passo con la storia». L’intento è portare la città «a riconoscersi nel suo teatro, a capire, diceva Grassi, che il teatro è una necessità della vita collettiva, come il tram, come l’acqua». Lazzarini sospira: «Le cose sono cambiate. Quando uno di noi si incontra non facciamo che ripeterci: “Ti ricordi? Quegli spettacoli che segnavano la società, marcavano una svolta, aprivano orizzonti?”. Oh, adesso ci sono ancora begli spettacoli, bellissimi. Ma la tensione è svanita. Milano s’è svenduta. Io però, con la testa e col cuore, sono ancora là, in quel teatro».