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 2013  agosto 09 Venerdì calendario

GOZZANO NUOTAVA CONTROCORRENTE PUSKIN TRA I GHIACCI


«Quante volte ho attraversato quelle onde… col gesto rapido del nuotatore ricacciavo indietro i capelli intrisi, poi alzavo sorridendo le labbra al di sopra del mare, che le carezzava», ricordava Lord Byron. Aveva attraversato a nuoto il lago di Ginevra per approdare dalla stupita Madame de Staël. A Venezia non si era limitato a nuotare la notte nei canali, facendo luce con una torcia in mano, ma aveva vinto due concorrenti in una gara di nuoto dal Lido fino al Canal Grande: quattro ore e venti di bracciate con qualche breve sosta. Ma l’impresa per cui era più noto era l’attraversamento dei Dardanelli, reso particolarmente arduo dalla corrente contraria: un’ora e cinque. «Ho fatto a nuoto più miglia, si vantava, che tutto il resto dei poeti contemporanei su un vascello». E si diceva che per combattere il caldo mangiasse e fumasse il sigaro in acqua.
L’acqua, questa versione fluida della materia, ha sempre attratto gli scrittori, a cominciare da Shelley che, pur non sapendo nuotare, aveva insistito per uscire in barca in un giorno di tempesta, annegando al largo di La Spezia.
Esente dall’istinto di morte, Lamartine si compiaceva: «L’acqua ci porta, ci culla, ci addormenta, ci restituisce la madre…». Ai mari in tumulto amati dai romantici, il futurista Marinetti preferiva le docili acque di Capri. «Ora io nuoto come un pennello nel blùblù tra lunghissime occhiate d’acqua». D’altronde Fitzgerald riduceva i suoi rapporti col mare a brevi tuffi nell’acqua bassa. A sua moglie Zelda bastava avere le «gambe lisce e abbronzate per andare a nuotare d’estate».
Per Valery il nuoto era una «fornicazione con le onde». «Niente felicità senza il mare», tagliava corto lo sportivo Morand, attento però a distinguere i tuffi senza problemi nelle acque del Mediterraneo dalle insidie dell’Atlantico – «Un bagno meraviglioso per la violenza e il sale» – che tendeva a risucchiare e a spingere al largo i nuotatori, impedendo loro di ritornare a terra. Ancora più audace, T. E. Lawrence aveva raggiunto un’isola al largo di Akaba, malgrado i pescecani.

Freud come Nettuno. London sosteneva che la sua massima aspirazione era vincere una gara di nuoto. D’Annunzio si sentiva davvero fresco solo dopo un’ora di nuoto, «il corpo interamente nudo». Grande nuotatore, in fusione mistica con le onde, Hemingway assaporava anche le soste in cui, facendo il morto, poteva immergersi nella contemplazione del gioco delle nuvole nel cielo.
Yourcenar coglieva l’insidiosa ambivalenza dell’acqua: «Bisogna affaticarsi e lottare fino in fondo, nuotare nella corrente che al tempo stesso ci porta e ci trascina via». Solo a ventisette anni Mishima era riuscito a vincere i suoi timori e aveva imparato a nuotare. Tra i diffidenti si distingueva Gide, che però teorizzava un abile uso delle onde, in grado di sfruttare il movimento dei flutti con un vigile abbandono. Battuto solo dal suo rivale Cocteau, che scendeva a malincuore dalla barca dell’amica, restando però avvinghiato alla scaletta. D. H. Lawrence scherzava sulla propria goffaggine acquatica: «Nuoto malissimo e in acqua sono ridicolo».
Non sempre l’imperizia è un freno. Si dice che Rimbaud, al largo di Sant’Elena, l’ultimo esilio di Napoleone, si fosse tuffato in acqua, benché sapesse appena nuotare. Una audacia che avrebbe potuto costargli la vita se un marinaio non l’avesse inseguito tra le onde per riportarlo a bordo, malgrado i suoi tentativi di liberarsi.
Senza uguagliare Puskin, che anche d’inverno si alzava presto per tuffarsi nell’acqua ghiacciata, Freud non perdeva un’occasione per tuffarsi. «Abbiamo potuto ammirare ancora una volta l’abilità di papà nel nuoto: con le sue spalle robuste e la grigia barba somigliava a Nettuno», notava il figlio Martin. Ben presto il povero Lombroso, in visita al conte Tolstoj, dovette ammettere che il pur anziano scrittore non era, come si aspettava, «cretinoso e degenerato». Dopo un carosello di esibizioni di forza, Tolstoj l’aveva invitato a seguirlo nell’acqua dove aveva nuotato vigorosamente, fingendo di non accorgersi dell’annaspare del visitatore. Solo quando Lombroso aveva rischiato visibilmente di annegare, Tolstoj l’aveva trascinato fuori dall’acqua tirandolo per i capelli. Salvare un inglese in difficoltà aveva aperto a Maupassant, un atleta del nuoto, un mondo di sconosciute perversioni. L’incosciente bagnante infatti era il poeta Swinburne.

La guerra secondo Kafka. Quando, sul lago Maggiore, l’anziano Shaw era andato a posare da uno scultore, il principe Trubetskoy non aveva preso la carrozza, né aveva affrontato la lunga passeggiata necessaria, ma aveva semplicemente traversato il lago a nuoto. Del resto Bertrand Russell, a settantasei anni, era sopravvissuto a un incidente aereo grazie alla sua abilità nel nuoto.
Il nuoto può mettere per qualche ora tra parentesi la storia. «La Germania ha dichiarato guerra alla Russia. Nel pomeriggio il nuoto», notava il 2 agosto del 1914 Kafka. Superate le umiliazioni patite nelle lezioni di nuoto paterne, lo scrittore era diventato un ottimo nuotatore.
Per alcuni il nuoto è un’abitudine che scandisce le giornate, rinfrescando la mente oberata dal lavoro. Goethe, a Weimar, amava nuotare nel fiume che scendeva vicino al suo giardino. Flaubert amava l’acqua e nuotava almeno due volte al giorno nella Senna che scorreva sotto il suo studio. Finché ne aveva avuto la forza, Cechov aveva nuotato nel mare della Crimea.
Il quindicenne Poe, ardente ammiratore di Byron, l’aveva celebrato nuotando a lungo controcorrente nel fiume James. Il giovane Gozzano si misurava in gare di tuffi con gli amici e si divertiva a nuotare contro corrente. Insegnando a nuotare al figliastro, Colette lo sedusse. Sulla Costa Azzurra, la scrittrice evitava la ressa immergendosi all’alba o al tramonto.

L’amante perduto di Proust. Tennessee Williams, non perdeva occasione per esaltare la sua muscolatura da nuotatore. Ma venne surclassato da Françoise Sagan, che aveva appena conosciuto. Il mattino seguente si aspettava di trovarla davanti alla macchina da scrivere, ma gli fu spiegato che l’autrice era andata a nuotare, salvo poi portarlo con sé, il pomeriggio, in alto mare.
«Un nuotatore per me è già un annegato», si immalinconiva Proust, che aveva perso in mare l’amante Agostinelli, che purtroppo non sapeva nuotare. Ma non era così facile. Lo sperimentò Evelyn Waugh che, malgrado avesse lasciato la citazione di Euripide – «Il mare lava tutti i dolori degli uomini» – sugli abiti ammucchiati sulla spiaggia, all’ultimo era stato costretto a desistere dalle punture di un branco di meduse.