Paola Pilati, l’Espresso 9/8/2013, 9 agosto 2013
TORNA A CASA ENEL
Meno male che c’è Civitavecchia: è grazie alla grande centrale a carbone che l’Enel riesce a dare una lucidata al suo bilancio, mentre il mercato, da noi ma anche in tutta Europa, non è mai stato così cattivo per i produttori di elettricità. Scesi i consumi in Italia del 2 per cento nel 2012, il primo semestre di quest’anno è andato giù del 4 per cento, e giugno del 6, seppellendo la regola che dovessero sempre salire. Eppure la caporetto dei conti del campione nazionale, che il ministero dell’Economia mette in pole position nella lista di vendite per raddrizzare il debito pubblico, è stata evitata. Nella semestrale appena presentata, l’amministratore delegato Fulvio Conti ha sorpreso il mercato, che era fuggito dal titolo in luglio: gli analisti hanno definito il risultato "decente"e sopra le fosche attese; alcuni hanno persino consigliato il "buy", comunque nessuno il "sell". La cosa più sorprendente è che, mentre dall’estero - che è stato lo scenario delle grandi campagne di conquista e della crescita dell’indebitamento degli ultimi anni - arrivano come uccelli del malaugurio notizie di grane (controversie legali in Romania, mercato al palo per Slovenske, il produttore slovacco) e mentre in Spagna il governo decide una nuova tassa sui produttori che si abbatterà sulla controllata Endesa (una batosta da 275 milioni sul mol quest’anno e da 400 l’anno prossimo), e persino l’America Latina con i suoi ritmi di crescita non offre significative nuove risorse, è l’Italia a metterci una pezza. L’Italia batte le stime, ammettono all’unisono gli analisti.
Ma come è possibile, vista la crisi economica, che l’Italia sia la panacea del fatturato Enel? In effetti gli italiani, benché al lumicino, pagano una bolletta sempre più cara. Innanzitutto quelli del mercato libero, che hanno visto lievitare notevolmente le cifre fatturate (e l’Enel ha tagliato il traguardo di 8 milioni di clienti "liberi"), ma anche quelli del mercato tutelato. «Le tariffe, che nel 2010 stavano a 15,77 centesimi a kilowattora», calcola Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, «con l’aumento del primo di luglio sono arrivate a 19-20 centesimi». È un più 22 per cento.
I produttori obiettano che, per fare i margini, sono i costi di produzione che contano. Il prezzo medio dell’elettricità alla Borsa elettrica è sui 6 centesimi a kilowattora: chi produce energia con le centrali a ciclo combinato, cioè a gas, ha un costo di 6,5 centesimi. Un bagno di sangue, che mette fuori gioco la maggior parte degli elettrici italiani, Sorgenia in testa (la società appartiene al gruppo Cir proprietario di questo giornale), ma anche molte municipalizzate e molte centrali dell’Enel, da Piombino a Rossano calabro a Montalto, a La Casella. Si stima che nel complesso 20 miliardi di euro di investimenti dei vari player siano al palo e che le turbine vadano al 30 per cento di potenza. Chi produce a carbone, invece, lo fa a un costo di soli 4 centesimi. Molto competitivo, e con notevole margine di guadagno. Per non parlare dell’idroelettrico, praticamente a costo zero. Carbone (Civitavecchia in testa ma anche Brindisi e persino la vecchia centrale di Genova) e idroelettrico sono andati a tutta birra sia nel 2012 sia nei primi sei mesi di quest’anno, salvando l’onore di Conti.
Ma gli anni a venire non saranno una passeggiata. «L’obiettivo del 20/20/20 (la riduzione delle emissioni di CO2 al 2020 e lo sviluppo dell’energia pulita, ndr.) è fallito», dice l’economista Alberto Clò: «Ogni paese in Europa va per i fatti suoi e la Germania, che ci aveva imposto le rinnovabili, ora brucia carbone a tutto andare. Quanto a noi, conquistiamo il Guinness dei primati: rendere più difficile la situazione per chi vende energia e peggiorare le cose per il consumatore». La difficoltà, per i nostri produttori, ha un nome: energia rinnovabile. Sovvenzionata con 12 miliardi l’anno, la produzione da rinnovabili ha il privilegio della priorità nella rete di distribuzione, cioè deve essere venduta prima di tutte le altre. E il suo prezzo basso (non ha costo del combustibile) condiziona l’intero mercato. Così molti produttori convenzionali, che producono energia a prezzi più alti, vengono tagliati fuori o vendono sottocosto, o restano relegati nelle ore fuori picco: per esempio quelle serali (quando il fotovoltaico scema). Il risultato è che le campagne per il risparmio sono diventate obsolete e i consigli dati alle casalighe pure: è di mattina che costa meno far andare la lavatrice, mentre di notte adesso costa di più (e Legambiente sospetta un cartello tra produttori per far salire i prezzi). Come ha appena messo in luce un rapporto dell’Autorità guidata da Guido Bortoni, quando la produzione fotovoltaica è assente, i prezzi aumentano del 6 (tra l’una del mattino e le sei) e del 12 per cento (dalle 17 a mezzanotte).
Cosa c’entra tutto questo con l’Enel? Che nonostante il suo fatturato di 85 miliardi sia per metà all’estero e sebbene abbia anche un bel parco di energie rinnovabili, l’Enel, come primo operatore nazionale, è comunque vulnerabile dalla situazione domestica, da dove come abbiamo visto trae la sua forza, ma dove ha visto arretrare la sua quota di mercato del 7 per cento negli ultimi sei anni. E vedere l’Enel trasformata in un’anatra zoppa, se si presentasse l’occasione di venderla, magari a un bel fondo sovrano, per il governo è puro autolesionismo. Così si stanno mettendo in campo dei rimedi. Che rispondono a un obiettivo di fondo: trasferire un po’ dei benefici dei produttori rinnovabili a quelli termoelettrici.
Una ricetta sicura ha il nome esotico di "capacity payment". Consiste in pratica nel remunerare una capacità produttiva considerata "di sicurezza" per il paese, in quanto messa a disposizione, indipendentemente che essa venga utilizzata oppure no. Già prevista a partire dal 2017, ora si studia come anticiparne l’applicazione per via della crisi. Un aiuto, per tutti i produttori, che vale tra i 400 e i 600 milioni, e che potrebbe beneficiare anche le vecchie centrali a olio e a gas meno efficienti che l’Enel tiene come riserva invernale, le cui sovvenzioni (sui 150 milioni) stanno per scadere.
L’altra strada è quella fiscale: nel decreto del fare, è stata estesa la Robin Tax alle aziende sotto i 10 milioni e fino a 3 milioni di fatturato. Sono i produttori di rinnovabili, che si stima che sborseranno 200 milioni, pronti ad andare a finanziare subito il capacity market.
Infine, c’è il sistema di scaricare sulle bollette. Ecco come funziona. Il fabbisogno di energia viene previsto un giorno per l’altro, e quindi i produttori si prenotano per vendere la propria energia dal giorno prima. Ma visto che i prezzi correnti sono bassi, spesso restano a guardare, contando di essere poi chiamati da Terna a partecipare a quel cuscinetto del 20 per cento di potenza disponibile perché non si sa mai, oppure al gruppo della riserva di regolazione, quella necessaria a tenere in equilibrio la rete elettrica. In entrambi i casi, sia che venga utilizzata sia che no, il produttore viene ben pagato, e il costo trasferito in bolletta.
Infine, una "regoletta" che ha avvantaggiato in particolare l’Enel. Si chiama "coefficiente di dispersione" e così la spiega il professor Federico Testa, ex deputato Pd: «Chi consuma energia paga anche quella quota di energia che viene dispersa dalla rete: consuma 100, ma paga 110. Una parte di quel 10 per cento è stata tolta ai produttori "distribuiti sul territorio" (che quindi utilizzano meno la rete) e, anziché andare in diminuzione della bolletta, è stata lasciata ai distributori. Quindi nessun beneficio per i consumatori». Manco a dirlo, tra i distributori l’Enel fa la parte del leone, visto che controlla l’80 per cento della rete di distribuzione nazionale. E il fatturato di Conti sale.
Basterà tutto questo a far navigare l’Enel fuori dalle secche della crisi economica? Il vertice della società ha riconfermato tutti gli obiettivi che si era dato, a cominciare dalla riduzione del debito, un moloch che a fine giugno era di 58,5 miliardi lordi, ridimensionato a 44,5 miliardi netti grazie a 14 miliardi di cash. La società ha mezzi sufficienti a far fronte alle scadenze, garantiscono da viale Regina Margherita, per ora non procederà all’emissione del nuovo prestito "ibrido" che aveva annunciato e fugano come dicerie le voci di un aumento di capitale. E poi il grosso del debito andrà rimborsato dopo il 2017, quindi lontano - si potrebbe malignare - dal raggio di azione di Conti, il cui incarico scade l’anno prossimo, ma che quel debito ha contribuito a creare.
Sul raggiungimento dei 16 miliardi di ebitda (il margine operativo lordo) anche per quest’anno non ci sono perplessità tra gli analisti, visto il piano di taglio dei costi, e quello di vendite alquanto ambizioso già avviato: promette incassi per un totale di 6 miliardi e vede intanto la centrale belga di Marcinelle passare ai russi di Gazprom per 227 miloni di euro. Solo qualche preoccupazione la dà il fatto che l’energia già pre-venduta per il 2014 abbia prezzi in discesa. E che la produzione spagnola e slovacca sia stata prenotata per l’anno prossimo solo al 40 per cento. Segno che quei due mercati faticano, e che dunque sarà nella dimensione autarchica che dovranno continuare a realizzarsi gli utili. E trovare le risorse per pagare i dividendi (2,2 miliardi l’ultimo), il vero appeal dell’Enel per il mercato.