Gianfrancesco Turano, l’Espresso 9/8/2013, 9 agosto 2013
BANCHIERE APOSTOLICO ROMANO
Imperturbato da chi lo considera il principe delle tenebre finanziarie vaticane, Giampietro Nattino ha firmato la semestrale di Banca Finnat Euramerica venerdì 2 agosto. Nel pomeriggio ha abbassato la saracinesca della boutique di palazzo Altieri in piazza del Gesù e si è diretto come d’abitudine verso il suo buen retiro in Val Gardena. In un anno e mezzo Banca Finnat ha perso oltre 1 miliardo di euro di massa amministrata, passando da quasi 9 miliardi di fine 2011 ai 7,7 dello scorso giugno. Ma da un certo grado in su, ogni uomo di potere applica la regola delle tre esse: sono solo soldi. Vanno, vengono. Tanto in Italia sono le relazioni che ti fanno durare. E in questo campo i Nattino hanno acquisito un’esperienza ineguagliabile. La famiglia romana è su piazza dal tempo di Leone XIII (anno Domini 1898). Ed è già scesa in campo la quinta generazione con Giampietro junior. Figlio dell’erede designato Arturo, maggiore azionista e amministratore delegato della banca, il ragazzo ha preso un master in business administration alla Columbia university di New York il 21 maggio scorso. Come racconta con orgoglio il nonno, a giugno è già entrato in Jp Morgan, primo istituto al mondo per i servizi finanziari e, nell’immediato dopoguerra, partner dell’allora Euramerica Finanziaria Internazionale. L’altro socio dei Nattino era la Santa Sede. A quei tempi, Giampietro senior aveva poco più di vent’anni, faceva il procuratore di borsa insieme al fratello minore Angelo, agente di cambio. Nel tempo libero faceva l’addetto all’anticamera del pontefice ossia l’accompagnatore di chi è ricevuto dal papa. Un impegno di relazione dove si conoscono persone di livello e dove il giovane procuratore ha imparato che per aiutare la chiesa a battere il comunismo servono alleati americani, denaro e, appunto, relazioni.
Mezzo secolo dopo, la politica del basso profilo suggeritagli dal patrono politico Giulio Andreotti ha fatto di Nattino un bersaglio molto sfuggente per i magistrati romani e salernitani che indagano sul viavai di milioni in contanti piazzati su conti dell’Apsa (amministrazione del patrimonio della Sede apostolica) presso lo Ior (Istituto per le Opere di religione). Monsignor Nunzio Scarano, arrestato dai finanzieri del nucleo valutario, ha fatto il nome di Nattino ma ancora non è chiaro in quale contesto e il banchiere ha negato di conoscere il prelato salernitano, addetto contabile dell’Apsa. È chiarissimo invece che la rete Finnat dalle parti di San Pietro è solida. Il dominus laico dell’Apsa, Paolo Mennini, fratello del nunzio apostolico a Londra monsignor Antonio, ha il figlio Luigi nel consiglio della Finnat gestioni di Lugano e della romana Finnat fiduciaria, cassaforte dell’imprenditoria locale e non. Luigi Mennini è omonimo del nonno, che ha diretto lo Ior per quasi quarant’anni, dai tempi del principe Massimo Spada all’era di monsignor Paul Marcinkus. Nattino stesso è stato consultore per anni della Prefettura agli affari economici, su invito del cardinale Sergio Sebastiani. In questa funzione, che lui paragona a quella di un magistrato contabile, ha imparato a controllare, dunque a conoscere i bilanci della chiesa cattolica come pochi altri.
Sulla sponda laica del Tevere il banchiere apostolico, nato nel giugno del 1935, ha costruito un modello alternativo a quello di Mediobanca sotto Enrico Cuccia, il banchiere più detestato da Andreotti e più amato dal banchiere andreottiano per eccellenza Cesare Geronzi, coetaneo ed amico declinante del sempreverde Nattino. Dove Mediobanca impostava la sua regia sugli incroci azionari, le architetture finanziarie e i patti di sindacato, Nattino ha sempre preferito i rapporti personali e il gioco della nomenklatura. Ai palazzinari in espansione e ai rentier dell’aristocrazia papalina, la boutique di palazzo Altieri ha offerto la possibilità di investire a livello internazionale e di proteggere gli assetti azionari dietro lo schermo discreto delle due fiduciarie del gruppo. Finnat e Fedra hanno tuttora un parco clienti che sfiora le 700 società. Per fare qualche nome, nella lista delle intestazioni fiduciarie figurano i costruttori Marchini, Toti e Caporlingua, la famiglia Jacorossi (energia), Gemma Bracco, sorella di Diana e moglie di Paolo Baratta, gli stilisti Laura Biagiotti e Alberto Moretti, il proprietario dell’hotel Hassler Roberto Wirth con Hassler Roma e Hassler investments. In Finnat fiduciaria c’è anche il capitale di Sorgente group, società di fondi immobiliari attiva in Italia, negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Lussemburgo che negli anni ha comprato pezzi di storia dell’architettura come il Chrysler building e il Flatiron a New York o la galleria Colonna a Roma, e ha un portafoglio da 4,3 miliardi di euro.
E poi ci sono i fondi immobiliari creati dalla stessa Finnat e raccolti in Investire Immobiliare. Uno dei più importanti è il Fip, che nel 2004 si è aggiudicato insieme a Bnl e Pirelli la gara per privatizzare 3,3 miliardi di euro di palazzi pubblici quando al ministero dell’Economia Domenico Siniscalco aveva sostituito Giulio Tremonti, uno dei pochi non amici di Nattino.
Profeta della finanza glocal, il presidente di Finnat Euramerica è andato ben oltre i confini della capitale e ha prestato la sua esperienza ai consigli di amministrazione di Ina-Assitalia (gruppo Generali), di Fideuram (Intesa San Paolo), di Borsa Italiana. Inoltre ha costruito una rete di partecipazioni con gruppi come Benetton, Del Vecchio e Pirelli (Marco Tronchetti Provera). Eppure il gruppo resta un affare di famiglia.
Fra gli azionisti di Banca Finnat, quotata in borsa dopo essersi fusa con l’altra holding Terme di Acqui, ci sono due sole eccezioni al cognome del fondatore Pietro. Una è quella di Celeste Buitoni, moglie di Giampietro e discendente della famiglia tosco-umbra proprietaria dei pastifici e della Perugina. L’altra è della GL investimenti di Giovanni Malagò e Lupo Rattazzi. Cioè, rispettivamente, il presidente del Coni e il figlio di Urbano Rattazzi e Susanna Agnelli. Due tipi sportivi come lo stesso Giampietro, esperto sciatore, e come suo figlio Arturo, maratoneta e socio fondatore della Futbol 22, che gestisce un circolo calcistico al Villaggio Olimpico in una compagnia molto assortita dove appaiono l’ex portiere della Nazionale Luca Marchegiani, il costruttore Claudio Toti, lo stratega dei comitati elettorali Pdl Ignazio Abrignani e i figli di Leonardo Caltagirone, Allegra e Edoardo.
Lo zio dei ragazzi, Francesco Gaetano detto Franco, azionista di Vianini, Cementir, Acea, Messaggero e Unicredit, è amico e punto di riferimento per il business familiare. Da decenni i Caltagirone e i Nattino si scambiano posti nei rispettivi consigli di amministrazione. In Banca Finnat c’è il figlio di Franco, Francesco junior, e fino a marzo c’è stato l’ex commissario Consob Paolo Di Benedetto, marito di Paola Severino, ministro della Giustizia con Mario Monti ma anche avvocato difensore di Franco e Leonardo Caltagirone nel processo perugino su Enimont e di Geronzi nel processo Cirio.
La logica dei circoli esclusivi, essenziale alla gestione del potere a Roma, ha portato Nattino dentro la Fondazione Cassa di risparmio di Roma. Lì si è consolidato il suo rapporto con Geronzi, ex direttore generale della Cassa e pietra angolare della fusione di osservanza andreottiana fra la stessa Cariroma, il Santo Spirito e il Banco di Roma insieme a un altro habitué del Vaticano e dello Ior, Pellegrino Capaldo. E quando Banca di Roma-Capitalia è stata incorporata da Unicredit, Nattino si è trovato a gestire da consulente qualche dossier delicato come i 365 milioni di euro di debiti della Compagnia Italpetroli dell’ex presidente romanista Franco Sensi.
Alcuni sostengono, e il diretto interessato ha ribadito, che Finnat ha preso le distanze dalla finanza vaticana già da qualche anno. Troppe ispezioni antiriciclaggio, troppa pressione da parte di Bankitalia. E Nattino è da sempre attento a stare ben coperto con via Nazionale. Per lui, come ha avuto modo di dire, lo Ior, l’Apsa e i comparti finanziari del Vaticano sono clienti come altri. Oddio, magari non proprio come altri. Ma presto dovranno diventarlo, per amore o per forza, dopo alcuni anni vissuti pericolosamente lontano dalle banche italiane. Non è detto che per Nattino sia un male, anzi. Qualche pecorella smarrita potrebbe tornare all’ovile.