Franco Venturini, Corriere della Sera 8/8/2013, 8 agosto 2013
UNO SCHIAFFO MISURATO
Maltrattato ripetutamente dalla linea dura di Putin e umiliato dall’asilo che Mosca ha concesso alla «talpa» Snowden, Barack Obama non poteva non reagire.
Con qualche ragione l’opinione pubblica statunitense e il Congresso avrebbero accusato il presidente di debolezza, la colpa più grave. E se l’inquilino della Casa Bianca ha scelto di infliggere al collega del Cremlino uno schiaffo misurato (subito dopo il loro mancato incontro bilaterale i due siederanno insieme al tavolo del G-20 di San Pietroburgo, il 5 settembre), sarebbe errato sottovalutare il segnale di stanchezza e di frustrazione che gli Usa fanno pervenire alla Russia. In un Paese ossessionato dal suo status sulla scena internazionale, essere snobbati dal presidente americano fa male. Per quanto possa impegnarsi a far finta di niente, Putin non avrà più il trionfo che sperava di avere nella «sua» Pietroburgo. Soprattutto se Obama eviterà anche lì di incontrarlo a quattr’occhi, come è stato previsto. Dissidenti e classe media anti-putiniana ricevono una tacita dichiarazione di appoggio. E per chi guarda ai corsi e ricorsi storici, sarà questa la prima volta dalla fine della guerra fredda che un presidente americano cancella un incontro già annunciato con un leader sovietico o russo. Per quanto ragionevolmente circoscritta considerando che gli Usa hanno bisogno della collaborazione russa nel disimpegno dall’Afghanistan già pienamente in corso, la mossa di Obama non è dunque soltanto una esibizione di diplomazia muscolare a fini interni. Washington vuole segnalare in modo serio a Vladimir Putin che la misura è colma, e che se risulterà davvero inevitabile mandare all’aria il progetto di «reset» celebrato nel 2009 da Lavrov e Hillary Clinton, l’America ne prenderà atto. È lungo, infatti, l’elenco dei contrasti che si sono andati accumulando tra Usa e Russia da quando Vladimir Putin è tornato al Cremlino. L’antico dossier dello «scudo anti-balistico», anche dopo che gli americani hanno rinunciato allo stadio finale di difesa missilistica che maggiormente preoccupava gli stati maggiori russi. La proposta lanciata da Obama a Berlino su più profondi tagli agli arsenali nucleari, liquidato da Putin fino a nuovo ordine (probabilmente perché alla Russia il nucleare costa meno della tecnologia convenzionale che non hanno). In Siria Usa e Russia armano due parti che si massacrano tra loro, e il progetto congiunto di una conferenza Ginevra II langue da mesi. Le leggi liberticide introdotte da Putin a danno anche di Ong statunitensi, la campagna anti-gay che rischia di pesare sulle olimpiadi di Sochi l’anno venturo, i processi intimidatori di cui quello contro Navalny è soltanto l’ultimo, gli scambi di dispetti legislativi per il caso Magnitsky, sono irritanti continui. E poi, a coronamento di una situazione già compromessa, il caso Snowden. Occorre capire che dopo l’arrivo della «talpa» all’aeroporto di Mosca dove è rimasto per oltre un mese, Putin non avrebbe potuto consegnarlo agli americani senza prestarsi ai colpi dei nazionalisti. Ma se un fronte interno esiste anche per lui, è proprio qui che si colloca il vero problema al di là degli eccessi putiniani: la società russa non è, e probabilmente non è mai stata, portatrice di quella partnership con l’Occidente, e in particolare con l’America, di cui si è tanto parlato dopo la caduta del comunismo sovietico. E lo stesso è vero della società americana, e in minor misura delle società europee (con la differenza non lieve dei legami energetici e industriali). I leader politici, perciò, oltre certi livelli di cooperazione non possono spingersi senza rischiare in proprio. Edward Snowden è piombato dal cielo su questo ingranaggio, strappando l’asilo per un anno, infuriando gli americani e lasciando verosimilmente poco spazio di manovra a Putin (il che non esclude che i servizi russi intendano utilizzare la compagnia del fuggiasco per spremergli tutto quello che sa). La sfida complessiva era diventata troppo pesante, Obama doveva rispondere. Il dialogo però non si interrompe: i ministri della difesa e degli esteri delle due parti si vedranno a Washington nei prossimi giorni. Ma sullo sfondo resta un interrogativo pesante: Putin è interessato ad evitare una escalation negativa nei rapporti con l’America? Fino ad oggi, la risposta è stata no. Perché preferisce coprirsi le spalle in casa, come accade agli insicuri.