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 2013  agosto 08 Giovedì calendario

Come tutti gli slogan che semplificano troppo, ridurre Lando Buzzanca al Merlo Maschio significherebbe sfigurare il ritratto di un ottimo e versatile attore (quel genio capriccioso di Carmelo Bene, suo insospettabile ammiratore, considerava Buzzanca «il più completo» tra i colleghi) e cancellare tanti capitoli del cinema, del teatro, della tv italiani

Come tutti gli slogan che semplificano troppo, ridurre Lando Buzzanca al Merlo Maschio significherebbe sfigurare il ritratto di un ottimo e versatile attore (quel genio capriccioso di Carmelo Bene, suo insospettabile ammiratore, considerava Buzzanca «il più completo» tra i colleghi) e cancellare tanti capitoli del cinema, del teatro, della tv italiani. Soprattutto significherebbe non fare giustizia della sua vita privata, della sua personalità. Se davvero qualcosa si è spezzato nella mente e nell’anima di Lando Buzzanca, tutto è avvenuto per la morte della sua adorata moglie Lucia, 55 anni di matrimonio, vita condivisa, due figli e assoluta complicità, morta nel novembre 2010 in pochi mesi di malattia. Altro che Merlo Maschio. Lo aveva ammesso, allora: «Avevo preparato tutto, avevo riempito la vasca d’acqua calda, ero pronto a tagliarmi le vene. A fermarmi sono stati i miei figli Mario e Massimiliano». Come spesso capita agli attori, verità e finzione si fusero. Buzzanca stava finendo le riprese della fiction «Il restauratore». Il giorno dopo i funerali della sua Lucia («quando mi ha conosciuto non aveva ancora 18 anni e io 20, siamo cresciuti nell’amore») era in programma la scena in cui il protagonista va al cimitero per piangere sulla tomba della moglie. Lui recitò — benissimo — e a casa urlò di dolore. Ecco perché il Merlo Maschio è solo una tessera, mediaticamente la più fortunata, di un ben più complesso mosaico. Una nascita a Palermo, che è stata la sua fortuna e, insieme, un po’ una trappola a partire dal debutto a 26 anni in «Divorzio all’italiana» di Pietro Germi e, tre anni dopo, in «Sedotta e abbandonata» sempre di Germi. Perfetto, per interpretare l’amante del Sud: alto, magro, atletico, lo sguardo spiritato e intrinsecamente sessuato. Buzzanca non è tipo da scorciatoie e infatti nel ’64 rifiuta 400 mila lire, una fortuna dei tempi, che Franchi e Ingrassia gli offrono dopo Germi per il remake satirico «Sedotti e bidonati». L’etichetta del sicilian lover inevitabilmente lo caratterizza per anni attraversando film di Steno, Nanni Loy, Bruno Corbucci, Luigi Zampa, Pasquale Festa Campanile, fino alle due fatali etichette «Il merlo maschio» di Pasquale Festa Campanile e «Homo eroticus» di Marco Vicario, entrambi del 1971. Forse per merito della formazione ricevuta alla raffinata Accademia Sharoff, Buzzanca mantiene un distacco da Actors Studio verso il suo personaggio: «Non capivo perché, ma le donne mi corteggiavano. Mai stato Paul Newman ma acchiappavo, le donne sentivano il maschio». Il simbolo Buzzanca è così radicato che a metà anni 70 appaiono fumetti erotici come «Lando», «Il Montatore», «Il tromba». Storiacce di letto e corna. Col volto di Lando, ovviamente suo malgrado. Fatalmente il filone Merlo-Heroticus si esaurisce, e lui poco fa per fermarlo dopo tanta sbornia, evitando accuratamente le derive della commediaccia erotica. E così offre l’altra faccia di Lando Buzzanca, preferendo per esempio un difficile «Secondo Ponzio Pilato» di Luigi Magni ai Pierini e alle Liceali. Appare un Buzzanca ottimo caratterista in tv («Signore e signora» con Delia Scala). Soprattutto ritorna l’attore di teatro: «La scuola delle mogli», «La cena delle beffe», «Liolà». Carattere sempre difficile, al punto da rifiutare il ruolo di Mangiafuoco nel «Pinocchio» di Benigni perché non vuole finire nel mucchio degli attori in locandina («Benigni non ha voluto concedermi il nome da solo. Meglio così, odio truccarmi»). Difficile ma chiaro, come nelle scelte politiche. In un mondo dello spettacolo virato tutto a sinistra dal dopoguerra a oggi, rivendica la sua fede di destra, il suo sostegno prima al Msi e ad An e poi a Berlusconi: «La destra sostiene valori per me cari: ordine, famiglia, merito». Per Buzzanca il Sessantotto significa «sbornia collettiva, l’ignoranza al potere». Un’appartenenza, così lui sostiene da anni, che gli è costata cara: «Mi hanno negato premi, la lobby di sinistra non mi ha mai sopportato». Gli anni Duemila sono quelli del miglior Buzzanca. Consapevole, misurato, elegante. Addirittura cattivo, un debutto nel genere, ne «I Viceré» di Roberto Faenza. Padre che scopre l’omosessualità del primogenito nel film tv «Io e mio figlio», tanto amato a sinistra («mio padre si è riconosciuto in lui», raccontò Nichi Vendola) quanto detestato dalle parti della sua destra (Il secolo d’Italia: «La fiction rappresenta in maniera normale le persone omosessuali, rischiando di legittimare il mondo gay»). Buzzanca resta Buzzanca, nel commento: «Pensavo che i "caporali" ci fossero solo a sinistra...». Adesso questo inciampo. Un’estate di stanchezza. Quella perenne malinconia che solo i vedovi che hanno davvero amato conoscono. Sì, il Merlo Maschio è solo una stupida semplificazione.