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 2013  agosto 08 Giovedì calendario

L’ospite– L’«ospite dal futuro» arrivò in un pomeriggio d’autunno. Era il 25 novembre 1945 e il trentacinquenne primo segretario dell’ambasciata inglese a Mosca ardeva «dall’impazienza di rivedere la città nella quale avevo trascorso quattro anni della mia infanzia»

L’ospite– L’«ospite dal futuro» arrivò in un pomeriggio d’autunno. Era il 25 novembre 1945 e il trentacinquenne primo segretario dell’ambasciata inglese a Mosca ardeva «dall’impazienza di rivedere la città nella quale avevo trascorso quattro anni della mia infanzia». Figlio di un commerciante ebreo di Riga, ora cittadino britannico, Isaiah Berlin aveva vissuto a San Pietroburgo, la vecchia capitale russa, prima di seguire la famiglia nell’emigrazione a Londra. Per lui, storico e filosofo prestato alla diplomazia, tornarci era un’emozione speciale. Che ora si chiamasse Leningrado, non cambiava molto. Il Teatro Mariinskij, l’Hermitage, l’Hotel Astoria, le librerie sulla Prospettiva Nevskij: bastavano quei nomi a esercitare un’attrazione irresistibile. Viaggiava con Brenda Tripp, direttrice del British Council in Unione Sovietica. Fu tra gli scaffali della Libreria degli Autori che Berlin, nel suo russo fluente, cominciò a conversare con il critico Vladimir Orlov, che in quel periodo lavorava a un volume di poesie di Anna Achmatova. «È ancora viva?», chiese emozionatissimo. «Anna Andreevna? Certo — rispose Orlov —, abita non lontano da qui, in Fontannij Dom. La vuole incontrare?». Achmatova era una leggenda, musa amatissima dai russi che ne conoscevano i versi a memoria, ma anche intellettuale vista con sospetto dalla dittatura, da quando, nel 1921, il suo primo marito Nikolai Gumiliev era stato arrestato dalla Ceka, accusato di cospirazione e condannato a morte dopo un processo segreto. L’uomo telefonò alla poetessa e organizzò un primo incontro per le 3. Lui e il filosofo si avviarono insieme per ponti e canali fino all’antico palazzo dei conti Seremetev, ribattezzato casa delle Fontane e trasformato dal regime in un’affollata e promiscua komunalka, una famiglia per stanza e i servizi in comune. Scale buie e sporche condussero Berlin al cospetto di Achmatova, che gli apparve imponente come una regina, la testa nobile, i capelli grigi, uno scialle bianco gettato sulle spalle. Era stata una donna bellissima, anche Amedeo Modigliani l’aveva amata. I suoi 56 anni non erano riusciti ad aggredirne il fascino conturbante. Lui si inchinò: «Mi sembrò il caso di farlo». Ma l’esordio fu impacciato e breve, interrotto dopo pochi minuti da qualcuno che in cortile urlava il nome di Isaiah. Era Randolph Churchill, il figlio dello statista britannico, corrispondente per alcuni giornali inglesi e amico di Berlin. Aveva saputo che era in città, lo aveva cercato e ora voleva che tornassero insieme in albergo per acquistare del caviale. Molto imbarazzato, Berlin si scusò con l’Achmatova e le chiese se poteva tornare. «L’aspetto questa sera alle 9», fu la risposta. Ritornò. E fu un incontro straordinario, una notte e un giorno destinati a lasciare un segno indelebile sui due protagonisti e, secondo la narrativa della poetessa, sulla storia del mondo. Come ha raccontato con eleganza Gyorgy Dalos in «Innamorarsi a Leningrado», pubblicato qualche anno fa in Italia da Donzelli, dopo quella sera l’Achmatova entrò definitivamente nel mirino di Stalin, censurata, cacciata dall’Unione degli Scrittori, sottoposta a ogni sorta di angherie e privazioni, marchiata dall’ideologo Zdanov come «suora e sgualdrina». «Due arcobaleni che si incrociano/così la nostra conversazione si avvia». Furono poche ore di magia e reciproca seduzione. Isaiah le diede notizie degli amici scrittori che avevano scelto l’esilio, divenne il collegamento con un passato mai dimenticato. Lei gli raccontò le tragedie della sua vita, condivise con lui le più intime emozioni, pianse evocando la fucilazione del marito. Poi gli recitò «Requiem» e una parte dell’ancora inedito «Poema senza eroe». Lui rimase stregato dal genio di lei, entusiasta di vedersi accordata una tale confidenza. Poco dopo la mezzanotte comparve il figlio di lei, Lev. Mangiarono insieme patate lesse, l’unico cibo che Achmatova potè offrire all’ospite. Poi, intorno alle 4, Lev andò a dormire in una stanzetta attigua. Anna e Isaiah rimasero di nuovo da soli. Parlarono fino alle 9 del mattino. Di tutto: libri, autori, amori, storie personali. Al mattino, dopo averle baciato la mano, Berlin uscì e tornò in albergo. Brenda Tripp raccontò di averlo chiaramente sentito dire, mentre si gettava sul letto: «Sono innamorato, sono innamorato». Quanto alle emozioni di Achmatova, ci svela tutto la prima poesia del ciclo Cinque, datata 26 novembre 1945: «Come sul lembo di una nube/rimembro le tue parole/Ma ti rendevano le mie parole/più luminose dei giorni le notti/Disgiunti, così, dalla terra,/in alto passavamo come stelle./E né disperazione, né vergogna/né adesso, né poi, né allora./Ma vivo e non in sogno/tu senti come ti chiamo». Furono amanti, come chiunque legga Cinque è portato a credere? Il mistero rimane, probabilmente non si sfiorarono nemmeno. Rimasero quasi sempre seduti a due angoli opposti della stanza. Ma quella notte prodigiosa li legò per sempre. Ancora nel 1963, in Visita Notturna, lei sognava un nuovo incontro: «Non dovrai su un asfalto di foglie cadute/Attendermi a lungo/Tu ed io nell’adagio di Vivaldi/C’incontreremo di nuovo». Si rividero due anni dopo. Lui, baronetto del Regno e ormai felicemente sposato, la ospitò per qualche giorno nella sua bella casa, in occasione del conferimento alla poetessa della laurea honoris causa della Oxford University. Lei, più tardi, non avrebbe nascosto un fremito di gelosia all’amica Lidija Cukovskaja verso l’«ospite dal futuro»: «Nessun uomo dovrebbe farsi rinchiudere in una gabbia d’oro».