Luigi Garlando, la Gazzetta dello Sport 8/8/2013, 8 agosto 2013
INTERVISTA A PRANDELLI
Tra cinque giorni Cesare Prandelli guiderà i suoi azzurri da Papa Francesco, in Vaticano. Seduto in faccia al mare della Maremma, accanto a Novella, sua compagna, riordina l’anima: Dio, la fede, l’impegno, l’amore, la morte...
Prandelli, l’idea è stata sua. Com’è nata?
«D’istinto, dopo le prime uscite del Pontefice, in quel clima di simpatia e consenso generali. Ho pensato a Italia e Argentina, le ‘sue’ nazionali, che partono insieme, dallo stesso albergo, per incontrarlo con gioia. La nostra Federazione ci ha lavorato. Martedì accadrà».
Cosa l’ha conquistata del Papa?
«Le direttive immediate e precise, le abitudini intatte, l’umiltà, le prime parole dedicate alla tenerezza e alla compassione. Oggi non sappiamo più di che materia sia fatta la compassione. Il coraggio della tenerezza significa accettare i propri limiti, la propria debolezza. Per questa società riconoscersi vulnerabili è inammissibile, è out. Papa Francesco si è posto subito come un punto di riferimento e non solo per i cattolici. Mi è piaciuta una cosa che ha detto Aldo Busi: “Vorrei essere l’assaggiatore preventivo dei pasti del Papa”. L’ho trovato un pensiero affettuoso, protettivo».
Il nome Francesco è un inno alla Chiesa povera, alla pace e alla giustizia sociale.
«Troppa disparità tra ricchezza e povertà: in un mondo civile è inaccettabile. La Confederations Cup mi ha lasciato l’impressione forte dei contrasti tra gli stadi nuovi e la miseria attorno. E poi la folla alle manifestazioni. Quando in strada vanno tanti giovani, devi ascoltare. La priorità non è il calcio: sono le scuole, l’assistenza ospedaliera, il lavoro».
Priorità sacrificate per la Coppa del Mondo.
«Io credo che il mondiale brasiliano possa coesistere con una migliore politica sociale. Di sicuro è impossibile giocare bene in uno stadio costato 800 milioni che sta a 100 metri da una favela di 120 mila persone di cui il 20% senza cibo. Ma non pensiamo solo al Sudamerica. I contrasti si stanno ampliando anche in Europa. Di questo passo anche noi vivremo blindati e avremo le nostre favelas».
Balotelli aiuta una favela di Salvador.
«Sì, quando mi ha chiesto di poter uscire perché una missionaria della favela era venuto a trovarlo, aveva una gioia negli occhi che gli ho detto di sì, anche se eravamo blindati in albergo. Mario ha la generosità e la sensibilità giuste per vivere intensamente l’incontro con questo Papa».
Papa Francesco ha raccolto milioni di giovani durante il suo viaggio in Brasile.
«È confortante, perché i giovani sono il futuro. La messa sotto la pioggia a Copacabana mi ha fatto venire in mente quando andai a vedere Papa Giovanni Paolo II a Caravaggio con le mie sorelle. Mai presa tanta acqua in vita mia. Ma il Papa, sceso dall’elicottero, disse: “Non temete, è acqua benedetta”. Infatti sembrava non bagnasse. Non si ammalò nessuno».
A proposito, c’era bisogno di regalare a Scolari la medaglietta della Madonna di Caravaggio? Il Brasile è già così forte…
«È stato mio cugino. Lesse della devozione di Scolari, mi procurò la medaglietta e io gliel’ho regalata. Felipe è stato felicissimo di riceverla. In effetti il Brasile è forte forte…».
Cosa dirà a Papa Francesco martedì?
«Vorrei dirgli: “Se domani sera non ha di meglio da fare, venga allo stadio con noi”. Ma temo che mi mancherà la voce per l’emozione».
Se le chiederà dei 120 milioni per Bale?
«Perché non destinare per legge parte di somme del genere in spese sociali? Perché non porre dei tetti? I calciatori sono gli ultimi a poter fare qualcosa e i primi a spendersi in solidarietà. Devono muoversi presidenti e istituzioni. Il calcio fa troppo poco per andare verso la gente e contro le ingiustizie sociali. Un calcio più povero potrebbe guadagnarci».
Ha più fiducia nella politica? Lei si è esposto per Matteo Renzi.
«Mi sono esposto perché ho conosciuto la persona. Da candidato sindaco aveva promesso di partecipare alla maratona di Firenze. Vinse e mi telefonò per chiedere aiuto. Gli procurai un programma d’allenamento. Ogni volta correva in strade diverse e se vedeva buche o semafori guasti, arrivato in Comune, provvedeva. Per me la politica è questa: risolvere i problemi restando in strada, tra la gente. Non destra o sinistra».
Se Renzi, da Premier, la convocasse?
«No. Ognuno deve fare ciò che sa».
Il primo Dio che ha incontrato?
«Quello che mi faceva pregare mia madre prima di mangiare e dormire. E quello di don Vanni all’oratorio, che perdonava sempre. ‘Qualunque cosa fai, Lui ti perdona’. Era confortante. Ogni tanto sento il bisogno di entrare in una chiesa a riflettere. Anche solo 5 minuti. Mi sento a casa».
Il Dio di padre Elia?
«È la mia spiritualità, la mia pace. Con padre Elia, a Calvi dell’Umbria, mi apro e posso parlare di tutto. Una persona speciale. Lo conobbi durante la malattia di mia moglie: un grande conforto».
Dio non ascoltò le vostre suppliche. Dubitò?
«Lo racconto perché può dare forza a chi soffre. La notte prima che Manuela ci lasciasse, eravamo nel suo letto: io, mio figlio, mia figlia. Parlavamo, l’accarezzavamo, abbiamo sorriso. Sono stati momenti di una spiritualità sorprendente, perfino belli, anche perché la mamma era stata brava a preparare i figli. Neppure in quel momento sono riuscito a pensare a un Dio cattivo».
Neppure quando a Coverciano vengono a trovarla i bambini malati di tumore?
«Chi sono io per chiedere a Dio: perché? Invece di incazzarmi, penso ad aiutarli, anche se magari hanno poco da vivere. Senza che nessuno lo sapesse, siamo stati più volte al Meyer di Firenze: io, Cassano, Balotelli e Buffon. Soprattutto loro tre. I dottori dicono che dopo l’emozione dell’incontro i valori dei bambini migliorano. Quasi una terapia».
Ha visto Dio nell’incontro con Novella?
«Nell’amore Dio c’entra sempre. Ho accettato l’amore di Novella perché è arrivato inaspettato, non lo stavo cercando. E’ innaturale rifiutare l’amore. Come insegna Papa Francesco: non ho avuto paura di nuove tenerezze».
Novella crede?
«È agnostica. Ma rispetta la fede e ne parliamo spesso.Diciamo che la sto allenando...».
Ricorda i pellegrinaggi notturni durante l’Europeo, con suo figlio Nicolò e lo staff azzurro?
«Il primo, soprattutto. Pensavamo di camminare 13 km, invece erano 24. Al km 18 piombò il silenzio della fatica. La radio polacca venne a saperlo e diede l’annuncio in diretta: ‘Chi vuole incontrare lo staff dell’Italia, lo trova in marcia verso il monastero dei Camaldolesi’. Si accendevano le luci delle case, la gente scendeva in strada per salutarci».
In ottobre la Nazionale giocherà a Napoli. L’occasione per sostenere chi combatte la camorra.
«Sì, lo faremo. Il mio orgoglio è che i giocatori non hanno mai dato segni di insofferenza per questi impegni sociali che spesso costano fatica. Sentono il dovere delle rappresentanza, di avvicinare la gente, il privilegio di vestire l’azzurro».
Condiviso in pieno anche il codice etico?
«Dai giocatori sì. Meno all’esterno. Abbiamo istituito qualcosa di importante che mancava. I comportamenti dettano l’esempio. Invece per qualcuno il codice etico è diventato il buonismo di Prandelli, causa della sconfitta ai rigori con la Spagna. Che delusione…».
Porta Osvaldo dal Papa augurandosi l’esorcismo?
«Dovrei portarne tanti… Scherzi a parte. Osvaldo nella mia testa è titolare. Se sta bene e gioca, lo chiamo sempre. Vediamo».
Preoccupato della crisi di fame della Juve?
«No. Ci sta che Conte, avendo caricato molto i muscoli, abbia allentato la pressione mentale. Quando stringerà le redini, tornerà la solita Juve».
Argentini: faticherà di più Tevez o Higuain?
«Nessuno dei due. Sono diversi, ma faranno tanto entrambi. Come tanti argentini d’Italia».
Messi si mangerà Neymar come Ibra?
«No. Neymar sa stare largo e girargli attorno. Alla Confederations mi ha impressionato. I due funzioneranno. Poi il numero uno resta Messi, chiaro. E’ pericoloso come una sirena: ti incanti a guardarlo anche se gli giochi contro».
Il 19 agosto Cesare Prandelli compirà 56 anni e la sua nipotina Manuela, figlia di Nicolò, ne farà 2. «Ora che Manuela ha imparato a dirlo, mi sento nonno per davvero. “Nonno, nonno, nonno…”. Mi piace. E’ bello sentirsi nonno».
Senza paura della tenerezza.