Marco Valsania, Luca Veronese, Il Sole 24 Ore 7/8/2013, 7 agosto 2013
OBAMA VARA LA GRANDE RIFORMA DELL’IMMOBILIARE [2
pezzi] –
NEW YORK.
Il settore immobiliare americano è uno dei pilastri della ripresa economica di Barack Obama. E le prove sono sotto gli occhi di tutti: prezzi e vendite di abitazioni, dai giorni bui del 2008, hanno recuperato. Ma oggi questo simbolo rischia di appannarsi: sostenere e accelarere il passo di questo risanamento, necessario alla salute di un’espansione ancora modesta, è tornata a essere una priorità, per evitare nuovi stalli della crescita. Il tasso di proprietà delle case resta ai minimi da quasi 18 anni e molti degli acquisti sono trainati da fondi d’investimento a caccia di opportunità. Mentre aumenti dei tassi d’interesse sui mercati, ha ammonito la stessa Federal Reserve, minacciano di soffocare la riscossa.
Phoenix, dove il presidente si è recato ieri sera per presentare il suo ultimo piano di sostegno all’immobiliare, è il micrososmo di un settore ancora lontano dalla normalità. Epicentro del collasso che vide bruciati settemila miliardi di ricchezza immobiliare e diffondersi epidemie di pignoramenti e palazzi abbandonati, ora ha visto il valore delle nuove costruzioni salire al passo del 18% solo nell’ultimo anno. «Il testimone, sul mercato, deve però passare dagli investitori alle famiglie che comprano la prima casa», ha detto Mark Zandi di Moody’s Analytics. Una svolta che per avvenire davvero deve essere accompagnata da rafforzamenti del mercato del lavoro.
I dati nazionali descrivono un quadro simile, di risanamento ancora incompleto. La percentuale nazionale di americani che possiede un’abitazione è scivolata nel secondo trimestre al 65%, il minimo dai primi anni Novanta. Il record era stato raggiunto nel 2004 quasi al 70 per cento. E i programmi messi in campo per aiutare modifiche dei prestiti e evitare pignoramenti hanno ottenuto risultati, ma circoscritti: l’Home Affordable Modification Program anziché soccorrere 4 milioni di americani ne ha raggiunti 865.000, che per meta’ hanno poi sofferto nuovi default.
Se l’eredità del passato resta pesante, in agguato sono inoltre nuove incognite. La domanda di mutui langue. A fine luglio è scesa al minimo in due anni, in calo del 13% da maggio. La Mortgage Bankers Association ha riportato che contemporaneamente il tasso medio fisso nei prestiti trentennali è ormai risalito al 4,59%, oltre un punto percentuale piu’ caro rispetto a primavera. Un indicatore che nel clima di incertezza sulla solidità della crescita potrebbe soffocare il rilancio: la Fed, nell’ultimo vertice che ha confermato per ora gli stimoli straordinari all’economia, ha notato esplicitamente le tensioni sui mutui. Le vendite di abitazioni pre-esistenti, intanto, sono calate dell’1,2% in giugno, attorno 5 milioni l’anno, anche se i prezzi sono saliti e le cessioni di nuove case sono aumentate dell’8,3% ai massimi da cinque anni, al passo annuale di 497.000.
Per l’amministrazione, così, puntare sull’immobiliare torna a essere una priorità, necessaria a sostenere uno sviluppo economico equilibrato e mirato ai ceti medi. Il presidente chiede oggi 15 miliardi per intervenire subito in comunità tuttora disastrate, anzitutto Nevada, Arizona, Michigan, Florida e Georgia. E un continuo sostegno federale al mercato dei mutui, pur delineando una graduale transizione verso la scomparsa degli attuali pilastri pubblici, i colossi nazionalizzati del settore Fannie Mae e Freddie Mac che oggi assieme alla Federal Housing Authority garantiscono ancora l’80% dei mutui. Andranno sostituiti da una maggior presenza di società private, per evitare distorsioni e pericoli che il governo debba farsi nuovamente carico di salvataggi costati al contribuente quasi 190 miliardi. Obama prevede un futuro ruolo federale anzitutto sotto forma di garanzie mirate alla copertura di perdite catastrofiche. «Un ruolo del governo limitato _ ha fatto sapere _ che incoraggi il ritorno di capitali privati».
Una strada di riforma potrebbe essere quella indicata da una proposta di legge bipartisan in discussione in Congresso e che darebbe vita a un inedito organismo pubblico di supervisione e garanzia: il modello sarebbe quello della Fdic, l’agenzia che garantisce i depositi bancari degli americani. Tra le altre strategie di sostegno all’immobiliare l’amministrazione prepara facilitazioni per gli affitti, per il rifinanziamento dei prestiti e per gli acquisti di prime case. Il dibattito è pero’ acceso e dagli esiti incerti. Nuovi interventi pubblici nell’immobiliare sono ostacolati dalle correnti repubblicane più conservatrici, le cui proposte prevedono invece una drastica sparizione di Fannie e Freddie nei prossimi cinque anni.
Marco Valsania
SPAGNA, IL MATTONE TOCCA IL FONDO –
Dopo aver chiuso il 2012 con un calo record, e dopo un primo trimestre ancora di grande difficoltà, il settore immobiliare spagnolo sta mostrando alcuni segni di miglioramento: i prezzi delle case potrebbero essere vicini a toccare finalmente il fondo mettendo fine alla discesa senza freni che ha accompagnato, se non anticipato e causato, la crisi economica e finanziaria del Paese dal 2007 in poi.
Da aprile a giugno i prezzi delle abitazioni sono scesi del 10,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato, un dato ancora pessimo che tuttavia segnala un rallentamento della caduta del prezzo sul mercato del nuovo e dell’usato: nel primo trimestre infatti il ribasso era stato del 12 per cento. Sono dati elaborati dal gruppo multinazionale Tinsa analizzando i mercati locali, numeri spesso più ottimistici di quelli ufficiali diffusi dall’Ine, l’Istituto di statistica spagnolo. Che con questi ultimi e con le relazioni del governo condividono però la sensazione che che la bolla speculativa si sia ormai sgonfiata del tutto.
«I prezzi delle case sono tornati ai livelli del 2003 con un decremento del 37% rispetto ai valori massimi toccati nell’ultimo trimestre del 2007», spiegano gli esperti di Tinse. Mentre dal ministero dei Lavori pubblici sottolineano che «dopo 21 trimestri consecutivi in calo, il prezzo al metro quadrato tra aprile e giugno è sceso del 7,8% rispetto al 2012, scendendo ai valori che si pagavano all’inizio del 2004».
Il crollo del settore immobiliare ha coinvolto tutte le regioni spagnole ma ha colpito con più intensità le aree affacciate sul Mediterraneo dove i prezzi erano stati gonfiati maggiormente dalla speculazione. A differenza che negli Stati Uniti e in Irlanda, inoltre, il crollo è stato meno improvviso e meno rapido: l’anno peggiore è stato il 2012 con una caduta dei valori di mercato del 13,7 per cento, il trimestre nero è stato il terzo dell’anno passato con un -15,2% consegnato alle statistiche dell’Ine.
Lo scoppio della bolla immobiliare ha travolto l’economia spagnola già traballante nella crisi finanziaria internazionale. Le casse di risparmio iberiche troppo esposte sul mattone hanno mostrato tutta la loro debolezza portando anche il governo a un passo dal default, poi scongiurato solo grazie agli aiuti europei. Il Paese - tra austerity e conti pubblici in rosso - non si è più risollevato: anche quest’anno la contrazione del Pil sarà dell’1,6% con un tasso di disoccupazione sempre vicino al 27 per cento. Per far fronte alle difficoltà delle famiglie, indebitate e senza reddito, il governo di Madrid è intervenuto con leggi speciali, una fra tutte quella sugli sfratti chiesti dalle banche, che tuttavia sembrano avere risolto poco.
«È dai dati dell’immobiliare che potremo avere le indicazioni di come stiamo uscendo dalla recessione. Speriamo che qualcosa si muova, che ci sia una ripresa del mercato», dicono alla Moncloa nello staff del premier Mariano Rajoy, spiegando che una stabilizzazione del mattone «è fondamentale anche per la gestione della bad bank Sareb che si è accollata le proprietà invendute delle banche fallite».
Sul miglioramento del settore immobiliare ci sono, assieme ai segnali positivi, anche notevoli motivi di preoccupazione. Per gli analisti dell’Fmi - molto critici sulla ripresa della Spagna - «i prezzi della case sono ancora sopravvalutati di almeno un 15%». Gli esperti di Standard&Poor’s prevedono che «il calo sarà nel 2013 vicino all’8% e nel 2014 ci sarà un ulteriore ribasso del 5%».
Per tutti tuttavia il rischio maggiore per l’immobiliare spagnolo riguarda le decisioni della Sareb, la bad bank che ha in pancia il 30% dello stock di case tornate alle banche. «Se la dismissione dovesse avvenire in modo troppo rapido - dicono da S&P’s - l’eccesso di offerta potrebbe far precipitare di nuovo il mercato, con tassi a doppia cifra nei prossimi anni». E in questo contesto anche l’interessamento manifestato da alcuni grandi gruppi americani di private equity, come Apollo e Blackstone, potrebbe avere effetti imprevisti e non sempre positivi per la Spagna.
Luca Veronese