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 2013  agosto 07 Mercoledì calendario

CICLONE BEZOS DÀ LA SCOSSA AI MEDIA AMERICANI

William Randolph Hearst o Warren Buffett? Forse Jeff Bezos, nonostante i suoi miliardi, non assomiglia a nessuno dei due titani americani. Né allo storico barone dei media dalle immense ambizioni e controversa personalità immortalata da Orson Welles in Quarto potere, né al leggendario finanziere con gli occhi, per quanto benevoli, puntati senza batter ciglio sul business, sulle fredde cifre dei giornali. Bezos, piuttosto, con l’acquisto del Washington Post si candida a capostipite di una nuova stirpe di editori-mecenati che sta emergendo negli Stati Uniti. Nata e cresciuta nei nuovi media e che ora torna alla radici, ai vecchi giornali dal contenuto di qualità con un obiettivo, o meglio una sfida: trasformarli, sperimentare, innovare, unendo le forze di Internet alla tradizione della carta stampata di qualità. Una frontiera tuttora da esplorare e sfruttare, come ha ammesso lo stesso Bezos. La scommessa, per il fondatore del leader dell’e-commerce Amazon.com, è un rischio irrisorio: i 250 milioni pagati per il giornale del Watergate sono l’1% della sua fortuna personale, stimata in 25 miliardi. L’avventura è tutta intellettuale e imprenditoriale: togliendo il Post dalla borsa, darà tempo al giornale per una riorganizzazione senza il fiato sul collo di Wall Street. A mancare, adesso, è solo il progetto di rinnovamento, che metterà alla prova anche le riconosciute doti di pioniere di Bezos. Fu lui stesso a dichiarare che in vent’anni i quotidiani cartacei sarebbero scomparsi.
La lunga crisi della carta stampata americana è oggi costellata di momenti foschi e tentativi di riscossa. Il declino e il passaggio di poteri a Silicon Valley, al Web, è nelle statistiche: oggi un gruppo quale Google ha un fatturato in crescita e nettamente superiore all’intera carta stampata, 50,2 miliardi contro i 38,6 miliardi. Nel 2012 le entrate pubblicitarie sono ancora scese del 6% e in cinque anni la raccolta sulle pagine stampate è crollata del 55 per cento. Sono emersi segnali di miglioramento nel digitale, che rappresenta tuttavia solo il 15% del totale. E la diffusione nei primi sei mesi di quest’anno è ulteriormente diminuita dello 0,7%, anche se c’è un incremento delle "copie" online al 19,3% del totale dal 14,2 per cento.
La trasformazione in atto ha coinvolto testate grandi e piccole. Tra gli esempi più incoraggianti affiora il New York Times. Ha appena ceduto il Boston Globe per soli 70 milioni, ma ha messo a segno progressi nei risultati, soprattutto nelle attività su Internet: è l’unico quotidiano americano ad avere più abbonati digitali che sulla carta, il 61% del totale. Mentre in piccolo la rivista The New Republic sta già percorrendo il tentativo di rilancio di Bezos: è stata rilevata dal co-fondatore di Facebook, Chris Hughes.
I casi allarmanti, però, non mancano. L’iconica rivista Newsweek, venduta per 1 dollaro più oneri nel 2010, è appena passata nuovamente di mano, al gruppo online Ibt, solo sette mesi dopo aver fatto sparire l’edizione cartacea. I due principali quotidiani di Philadelphia sono passati di mano per poche decine di milioni. Un gruppo globale come quello di Murdoch è reduce dallo scorporo della zavorra dei giornali, compreso il Wall Street Journal. E Buffett, nonostante la passione per i giornali, privilegia testate ultra-locali, dall’audience "prigioniera". Lo stesso Washington Post ha sofferto perdite per 50 milioni compresi oneri pensionistici e visto evaporare il 7% delle copie nei primi sei mesi del 2013. Dal picco di quasi 900.000 copie il quotidiano è oggi dimezzato, i giornalisti da mille scesi a 640.
Bezos, nel prendere le redini del Post, non è alla prime armi nel giornalismo. Il suo e-reader Kindle, protagonista dell’editoria digitale, era stato studiato per permettere la lettura della stampa e l’utilizzato da parte dei giornalisti. Quest’anno ha investito nel sito d’informazione Business Insider di Henry Blodget. Ed è accorto uomo d’affari: Amazon controlla le spese - gli executive viaggiano in economica - e guarda ai consumatori. Né ha paura di investire: in azienda sacrifica i profitti ai piani di espansione, tanto che qualcuno l’ha definito il proprietario ideale di un giornale, abituato a costruire aziende senza utili. Il dibattito è però aperto sul suo futuro nella stampa. I super-ricchi di Internet comprano giornali come trofei, lamenta Andrew Ross Sorkin sul New York Times. Altri temono di peggio, eccessive concentrazioni di potere: che nonostante le promesse da editore puro Bezos rafforzi un impero che con Amazon gli assicura già il controllo d’un quarto dell’editoria libraria. Bezos non è neppure nuovo a progetti eclettici: possiede Blue Origin, dedicata a navicelle spaziali, e sta facendo costruire un orologio di 70 metri. La stampa americana si augura che nei panni di proprietario del Post non sia né Hearst e né Buffett e nemmeno un magnate a caccia di trofei o fantascienza. Piuttosto che resti fedele all’immagine di grande innovatore creata con Amazon.