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 2013  agosto 07 Mercoledì calendario

Notizie tratte da: Massimo Amato, Luca Fantacci, Come salvare il mercato dal capitalismo. Idee per un’altra finanza, Donzelli Roma 2012, 17 euro

Notizie tratte da: Massimo Amato, Luca Fantacci, Come salvare il mercato dal capitalismo. Idee per un’altra finanza, Donzelli Roma 2012, 17 euro.

(vedi anche biblioteca in scheda
e libro in gocce in scheda 2246731)

«L’umanità oggi è a un bivio. Una via conduce alla disperazione, l’altra all’estinzione totale: speriamo di avere la saggezza di scegliere bene» (Woody Allen) (20)

«Con le etichette delle bottiglie non ci si ubriaca né ci si disseta» (Paul Valéry) (23)

«Fino al 2007, la crescita è stata resa possibile dall’accumulazione sistematica di squilibri finanziari, la cui esplosione nella forma di default privati socializzati da spese pubbliche è all’origine dell’attuale crisi dei debiti pubblici. […] Finché la ripresa della crescita ci si ostina a farla attraverso iniezione di liquidità, il rimedio genera il male, in una spirale senza fine che mette le economie ancora di più sotto il ricatto dei mercati finanziari» (24)

«Quella che è iniziato nel 2007 come una crisi di liquidità dei mercati finanziari si è ben presto rivelata una crisi della liquidità come fondamento della finanza di mercato» (25)

«Che cosa intendere con "liquidità"? Ancora in una formula: il principio per cui debiti non sono fatti per essere pagati ma per essere comprati e venduti su quel mercato sui generis che è il mercato finanziario. La liquidità trasforma il rischio inerente ogni atto di credito, ossia il rischio che il debitore si trovi nella condizione di non poter pagare, in un rischio ben differente: il rischio che i titoli che rappresentano i debiti non trovino più acquirenti. La liquidità trasforma il rischio di credito in rischio di liquidità» (26).

«L’insolvenza emerge quando il mercato non assorbe più le nuove emissioni. Però, appunto, "emerge", non è che si produce in quel momento. Lo diremo più tecnicamente nella seconda parte, ma è bene affermarlo subito: i debiti che ora appaiono tutti come impagabili, come per esempio quello greco, erano già tali fin dall’inizio, quando cioè si è cominciato finanziarli senza alcuna precauzione; la novità è ora che questi debiti da sempre impagabili sono divenuti anche invendibili» (26).

«Nessun aumento della liquidità complessiva del sistema, nessuna creazione di moneta può indurre coloro che la ricevono a usarla, mettendola in circolazione» (27).

«Questo stesso sistema che ora deve savonarolescamente negare tutto a tutti, prima della crisi non negava niente a nessuno» (29).

«Eraclito diceva che quando gli uomini sono svegli abitano in un mondo a tutti comune, mentre quando dormono, ognuno è nel suo "mondo". Buon per lui, ci siamo detti. E abbiamo provato a costruire un "mondo economico" il cui tratto accomunate fosse precisamente il sonnambulismo indotto dalla liquidità» (30).

«Il desiderio di detenere moneta come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nelle nostre capacità di calcolo e nelle nostre convenzioni sul futuro […]. È un elemento che opera, per così dire, a livello più profondo rispetto alle nostre motivazioni. […] Il possesso fisico di denaro mitiga la nostra inquietudine, e il premio che pretendiamo per separarci da esso è la misura del nostro grado di inquietudine» (Keynes) (30).

«Quando è in gioco la parola data, ossia quella promessa che è il rapporto fra debitore e creditore, il creditore ha il dovere, anche per il bene del debitore, di non concedere più credito di quanto il debitore sia verosimilmente in grado di ripagare al momento pattuito. Invece, dare tutto a chiunque è divenuta la sola pedagogia finanziaria che si è scientemente praticata negli ultimi trent’anni allo scopo di rendere "democratica" la finanza» (32).

«La situazione da incubo in cui oggi si trova l’economia e il puro rovescio della situazione in cui si è vissuti sognando fino al 2007. La massima finanziaria imperativamente in vigore oggi è il puro rovescio della precedente: non prestare niente a nessuno e la sola regola a cui ci si possa attenere quando la crisi di liquidità si trasforma in trappola della liquidità» (33).

«Nemmeno il banchiere è onnisciente: nessun soggetto economico può sottrarsi a quella che che Keynes chiamava "incertezza fondamentale"» (34).

«La liquidità è quella scissione del rapporto fra debitori e creditori che si basa sulla trasformazione del rapporto in una merce, in un pezzo di carta comprato e venduto in base alla monetizzazione del rischio inerente alla sua compravendita» (37).

«Con il 2007 i debiti accumulati fino a quel momento, e la cui impagabilità aveva potuto non costituire un problema solo grazie all’illusione della liquidità, sono apparsi come impagabili, e sono dunque divenuti incomparabili e dunque invendibili» (37).

«In attesa che qualche economista si trasformi definitivamente in alchimista, capace di trasformare la posizione creditoria in una posizione assumibile da tutti gli attori economici contemporaneamente (o semplicemente in attesa di inondare Marte con le nostre esportazioni), preferiamo pensare che il creditore abbia un obbligo simmetrico (simmetrico si badi bene, e non uguale) a quello del debitore.
Il debitore deve pagare. È tanto semplice quanto onesto. Il creditore deve spendere. Entrambi, pagamento e spesa, sono usi propri della moneta, ma sono usi diversi che non dobbiamo confondere. E che di fatto non possiamo confondere se non quando iniziamo a trattare la moneta come una merce e come una forma di ricchezza» (39).

«È noto che cosa spinse il generale Marshall, il quale non era un economista, ma il capo supremo dell’esercito americano durante la seconda guerra mondiale, a proporre nel 1947, da segretario di Stato, il piano che porta il suo nome. Gli Stati Uniti uscivano dal conflitto con una posizione creditoria netta nei confronti del mondo, un’economia in crescita e una capacità di esportazione enorme, e avevano dall’altra parte dell’Atlantico dei partner ridotti alla fame e con le casse vuote. Colpa loro e dunque affari loro, avrebbero potuto dire gli americani dopo la seconda guerra mondiale, così come avevano detto dopo la prima. Capita invece talvolta che le lezioni della storia vengano apprese, e persino prima dai generali che dagli economisti. Marshall convince il congresso a finanziare a fondo perduto la ricostruzione europea, e non per bontà d’animo, ma perché, citiamo quasi letteralmente, "in questo modo il favore lo facciamo innanzitutto a noi stessi"» (40).

«Un paese che si trovi in posizione di creditore netto rispetto al resto del mondo dovrebbe assumersi l’obbligo di disfarsi di questo credito [enter into an obligation to dispose of this credit] e non dovrebbe permettere che esso eserciti nel frattempo una pressione contrattiva sull’economia mondiale e, di rimando, sull’economia dello stesso paese creditore. Questi sono i grandi benefici che esso riceverebbe, insieme a tutti gli altri, da un sistema di compensazione multilaterale. […] Non si tratta di uno schema umanitario filantropico e crocerossino, attraverso il quale i paesi ricchi vengono in soccorso ai poveri. Si tratta, piuttosto, di un meccanismo economico altamente necessario, è utile al creditore tanto quanto al debitore (Keynes)» (41).

«I paesi creditori devono spendere i loro crediti all’interno del circuito di compensazione» (41).

«Il commercio internazionale è in equilibrio solo quando tutti importano tanto quanto esportano. Altrimenti si creano situazioni di deficit e di surplus strutturale che polemizzano gli scambianti separandoli invece di tenerli insieme. Prima o poi, bisogna comprare ai debitori semplicemente per poter continuare a vendere» (43).

«La mancata assunzione di obbligazioni simmetriche spinge alla rottura del rapporto fra debitori e creditori, e la rottura porta alla ricerca spasmodica di un’assicurazione contro i rischi da essa stessa ingenerati» (44).

«C’è ancora di più. Forme di finanza cooperativa autogestita dalle imprese si stanno diffondendo. Il nome con cui sono più note, almeno in ambito anglosassone, è "corporate barter", o "peer to peer ending": baratto fra imprese e prestito fra pari. Uno studio commissionato dalla City di Londra ne ha repertoriate circa settecento. Un comitato interministeriale francese ha commissionato uno studio sul tema. In Italia una piccola realtà in forte crescita, Sardex, promuove lo stesso business e sta creando un interesse sempre più vivace. A Nantes chi scrive è impegnato nella messa a punto di un circuito di compensazione locale fra imprese concepito per integrare negli scambi anche i lavoratori e in generale i cittadini. Esperimenti di moneta locale sono in cantiere in Francia, in Inghilterra e in Italia, spesso con il sostegno delle amministrazioni locali» (51-52).

«Se per strumento non hai che un martello, tutto tende ad assomigliare a un chiodo, recita un vecchio adagio giapponese. Se il modello dell’attività economica è la redditività dei titoli, se il suo obiettivo è di garantire il pagamento della rendita ai redditieri, allora il solo obiettivo economico perseguibile è la crescita. Siamo sicuri che l’economia serva a rendere possibile la finanza? Non è piuttosto il contrario?» (52).

«Si è venuta a creare così una strana situazione, in cui il produttore mondiale emergente è divenuto anche un creditore mondiale netto, a patto però di non chiedere mai il pagamento dei debiti» (53).

«I debitori sono stati innanzitutto dei compratori» (54).

«Tutto ciò che abbiamo descritto si è potuto produrre perché la doxa economica dominante ha assunto dogmaticamente la moneta come una merce fra le merci» (55)

«Nel film "Margin Call", uno dei tanti finanzieri spregiudicati giustifica così il suo ruolo: "Ci odiano, ma senza di noi non avrebbero potuto vivere al di sopra delle loro possibilità".» (57).

«Una teoria dell’economia di mercato in grado di dimostrare con un certo grado di ragionevolezza che un mercato concorrenziale ampio e ben strutturato produce i migliori prezzi per tutti, compratori e venditori, viene applicata a qualcosa, la moneta e il credito, di cui non è affatto sicuro che si possa dire che sono merci» (57).

«Sono economie trainate dalle esportazioni, ed è pertanto inevitabile che soffrano della stagnazione della domanda globale» (65).

«Il problema non è, dunque, di questa o quella parte, ma di come si tiene assieme il tutto. Oggi il mondo è tenuto assieme dai mercati finanziari globali. Si sono conosciute in passato altre globalizzazioni. L’Occidente ne conta, tradizionalmente, altre due: la prima all’epoca delle cosiddette scoperte geografiche e la seconda tra fine Ottocento e inizio Novecento. Tutte, compresa la presente, sono accomunate da una dimensione politica e militare, in cui si dispiegano i rapporti di forza. Tuttavia, sul piano strettamente economico, ciascuna ha caratteri nettamente diversi dalle altre. Sotto questo profilo, infatti, la prima globalizzazione era caratterizzata dall’integrazione del commercio: erano soprattutto le merci a spostarsi da una parte all’altra del mondo. Con la seconda, si sono avuti anche ingenti movimenti di capitali, ma perlopiù nella forma di investimenti diretti: i soldi si spostavano, ma per trovare impiego stabile, a lungo termine, investimenti reali, per lo sviluppo delle industrie e delle infrastrutture nei paesi emergenti di allora. Soltanto la globalizzazione presente ha portato all’emergere degli investimenti di portafoglio, ossia dei movimenti di capitali a breve termine: oggi la stragrande maggioranza del denaro che passa da un paese all’altro non serve per acquistare beni o servizi, e nemmeno per costruire fabbriche o ponti, bensì per comprare azioni, obbligazioni, valute, strumenti derivati o altre attività finanziarie che possono essere vendute un istante dopo. I movimenti di capitali avvengono oggi su scala prima inimmaginabile e senza alcun rapporto con i movimenti commerciali» (65-66).

22 luglio 1944 Bretton Woods

«L’introduzione di una sostanziosa imposta governativa su tutte le transazioni potrebbe rivelarsi la riforma più praticabile di cui disponiamo per mitigare il predominio della speculazione sull’impresa» (Keynes) (74).

Tobin tax a pagina 76

«Le banche anziché creare moneta per accelerarne il corso, contribuiscono a far stagnare la moneta e, di fatto, a distruggerla, sottraendola alla circolazione.
Le banche agiscono oggi da spugna per la liquidità creata dalla Banca centrale. Il 16 novembre 2011, venticinque amministratori delegati delle principali banche europee incontrano Draghi a pranzo e gli chiedono soldi. L’8 dicembre, il consiglio della Bce delibera un’offerta illimitata di prestiti a tre anni al tasso dell’1%. Per Natale, 523 banche chiedono e ricevono 489 miliardi di euro nel quadro dell’"operazione di rifinanziamento a lungo termine" appena deliberata» (81).

«Certo, di questi tempi (e con questi tassi!), Si corre il rischio che anche gli Stati falliscano. Ma, se proprio dovesse accadere, nessuno potrà darne la colpa ai banchieri, no? Come ricorda sempre Keynes, "la sapienza del mondo insegna che è meglio per la propria reputazione fallire in maniera convenzionale piuttosto che avere successo in maniera non convenzionale"» (84).

16 febbraio 2012: Moody’s infligge un downgrading a un gran numero di banche (85)

«Affinché il sistema bancario nel suo insieme si orienti secondo logiche differenti, occorre una riforma capace di togliere non solo al mercato finanziario ma anche alla moneta il tratto della liquidità, ossia, nel caso della moneta, il suo carattere di riserva di valore. Per far questo, si potrebbe pensare, per esempio, che la Bce imponga alle banche un onere sulle riserve che eccedono le riserve obbligatorie. Si tratterebbe di una sorta di tasso d’interesse negativo, da applicare sul denaro che le banche potrebbero prestare, ma che decidono di trattenere. Se la moneta che la Bce crea fosse gravata da un simile costo di detenzione, le banche avrebbero un incentivo concreto a metterla effettivamente in circolazione» (86)

Le agenzie di rating a pagina 99

«Dal 2000, per oltre sei anni, il tasso di inflazione è stato straordinariamente stabile nella zona euro, fra 2 e 2,5%. Poi è raddoppiato, da 2 a 4%, allo scoppiare della crisi dei "subprime", fra l’estate del 2007 e l’estate del 2008. Quando la crisi ha investito le banche, con il fallimento della Lehman in settembre 2008, l’inflazione è precipitata sottozero: per qualche mese, a fine 2009, la zona euro è stata in deflazione. Poi, il tasso di inflazione ha cominciato a risalire. Oggi è tornato a livelli normali. Fino a quando?» (107-108)

«L’espansione monetaria è alla base di un incremento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli, e non solo del petrolio» (109).

«Chi teme l’inflazione contribuisce a crearla. Fino ad arrivare, potenzialmente, all’iperinflazione. In Italia, il rischio di inflazione derivante dall’aumento dei prezzi dei carburanti importati è tanto più grave quanto più il nostro sistema distributivo dipende dal trasporto su strada: l’aumento del prezzo del petrolio si traduce immediatamente in un aumento dei prezzi di tutti i beni trasportati su gomma.
Sarebbe più semplice ammettere che le banche centrali hanno perso ormai il controllo della quantità di moneta. Infatti, la quantità di moneta che effettivamente circola dipende assai più dai comportamenti di coloro che dovrebbero usarla che dalle decisioni di chi la crea. Teniamo buona l’equazione quantitativa, anche perché si tratta di un’identità contabile: MV = PT, la quantità di moneta (M), moltiplicata per la sua velocità di circolazione (V), è uguale al livello dei prezzi (P), moltiplicato per il volume delle transazioni (T). Ma bisogna riconoscere che l’andamento di P dipende assai più dalle variazioni imprevedibili di V, e dunque dai comportamenti dei possessori della moneta, che dai cambiamenti deliberati di M, ossia dalle strategie della banca centrale» (110).

«Sia il Regno Unito che gli Stati Uniti sono partiti creditori per finire debitori» (111).

«Gli Stati Uniti godono di un premio per la liquidità dei loro mercati che consente loro di remunerare i propri debiti (pubblici e privati) a un tasso inferiore rispetto a ogni altro paese. Questo premio consente loro di vivere di rendita sui propri debiti. [...] Non si può escludere che le guerre valutarie si traducano in guerre commerciali o addirittura (come si diceva un tempo, Dio non voglia) in guerre guerreggiata» (117)

«Nella Clearing Union non vi sono né depositi, né capitale, né riserve. I paesi non devono versare alcunché nel proprio conto. Questo significa che tutti i conti si aprono con un saldo iniziale pari a zero. Gli scambi vengono finanziati, accordando a ciascun paese uno "sconfinamento", ossia la possibilità di "andare in rosso" sul proprio conto, fino a un ammontare prefissato. In altri termini, per ciascun paese è fissata una quota, proporzionale al volume dei suoi scambi con l’estero, che determina il valore massimo non solo del suo saldo negativo, ma anche, simmetricamente, di quello positivo» (125).

«L’euro è sull’orlo del baratro, con il rischio concreto di cadere e sfracellarsi. I piani di risanamento dei paesi in difficoltà potrebbero non dare i risultati sperati. Anche senza pensare al default, il deprezzamento dei titoli di Stato si traduce in ingenti perdite per le banche che li detengono. Inesorabile, arriva il declassamento di queste ultime da parte delle agenzie di rating. Nel frattempo, l’aumento dei tassi d’interesse, le difficoltà delle banche e le politiche di rigore dei governi concorrono a deprimere la domanda aggregata e a compromettere la già debole ripresa in tutto il continente. Germania compresa.
La depressione economica, a sua volta, alimenta le tensioni sociali e politiche. I lavoratori dei paesi debitori, oppressi dagli inasprimenti fiscali e dai tagli alla spesa sociale, si indignano e scioperano contro l’oltraggio di politiche imposte dai creditori internazionali. I lavoratori dei paesi creditori, che sono più produttivi, che ricevono stipendi più bassi in rapporto alla loro produttività e vanno in pensione più tardi, si indignano e protestano contro il ripianamento degli sprechi altrui. I governanti degli uni e degli altri sono incapaci di formulare e perseguire in maniera autorevole una soluzione concertata, coerente e praticabile. Non sono leader ma follower, come qualcuno ha giustamente osservato: vanno al traino del populismo e del nazionalismo, nel tentativo di blandire il proprio elettorato, e di rimanere in sella a un "asino" che nel frattempo rischia di azzopparsi» (129).

«La Bce detiene oggi 214 miliardi di euro in titoli pubblici dei paesi dell’eurozona» (134).

«I motivi della dissimmetria sono molteplici. Innanzitutto in ordine all’insorgere dello squilibrio: la posizione di paese creditore è sempre assunta volontariamente, mentre quella di debitore può essere dettata da uno stato di necessità, più o meno stringente. Il creditore può sempre spendere di più, mentre il debitore a volte si indebita perché non può fare a meno di comprare, anche se non ha i soldi. Un paese può essere costretto al deficit, perché non può permettersi di spendere di meno; viceversa, un paese non è mai costretto al surplus, giacché potrebbe sempre spendere di più. Una volta insorto il debito, e per tutta la sua durata, esso dà luogo a una dissimmetria ancor più evidente: il paese in deficit sostiene un onere, mentre il paese in surplus riceve un beneficio, nella forma dell’interesse corrisposto dall’uno all’altro. Se, poi, un paese intende ridurre la propria posizione debitoria o creditoria, si manifesta un ulteriore dissimmetria: per riequilibrare i propri conti con l’estero, un paese in deficit deve attuare politiche restrittive, mentre un paese in surplus deve attuare politiche espansive - e le prime sono assai più dolorose delle seconde, come sanno i greci e sempre più anche gli italiani. Infine - e anche questo è cronaca - il processo di aggiustamento è obbligatorio per il paese in deficit è facoltativo per il paese in surplus.
Se si vuole davvero uscire dall’impasse, occorre dunque che gli oneri dell’aggiustamento siano ripartiti equamente fra debitori e creditori, così come simmetricamente si sono ripartiti, finché sono durati, i benefici dello squilibrio. Un modo per farlo è stato disegnato proprio da Keynes con la proposta della Clearing Union Internazionale, che è stata malauguratamente accantonata a Bretton Woods a favore di un sistema fortemente asimmetrico, fondato sull’utilizzo del dollaro come moneta internazionale» (149).

«Una moneta locale che non sia riserva di valore può oggi essere vista come complementare a una moneta di riserva a vocazione globale come l’euro» (158).