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 2013  agosto 07 Mercoledì calendario

IL PERSONAGGIO:

Paolo Dall’Oglio
«A farmi impazzire è l’ottusità, la determinazione di chi si chiude gli occhi con i pregiudizi e rifiuta di guardare il mondo che cambia» mormorava qualche mese fa padre Paolo dall’Oglio al relatore invitato con lui dal Cipax a dibattere di «Guerra e pace in Siria». Nella piccola e gremita sala parrocchiale del quartiere capitolino Ostiense una variegata rappresentanza del pacifismo catto-comunista lo incalzava con domande poco benevole sul suo sostegno ai nemici del «legittimo» presidente Assad.

Il gesuita nato nel 1954 spiegava pacatamente agli accalorati coetanei la violenza della repressione del regime, ma a bassa voce tradiva insofferenza: «Non capisco come sia possibile dare dell’imperialista magari al soldo dell’America, d’Israele o di chicchessia a uno come me».

Uno come lui, già. Uno scout amante delle montagne passato dalla militanza nella sinistra romana dei primi Anni 70 al noviziato nella Compagnia di Gesù e poi sempre più lontano, a Beirut, un 23enne nel Libano prossimo a precipitare nella guerra civile. La passione per il Medioriente corroborata dalla doppia laurea in lingua araba e in teologia (con una tesi sulla speranza nell’Islam) nasce lì, nel paese simbolo del melting pot confessionale, le sue sfide, le sue potenzialità, i suoi rischi. Padre Paolo tiene gli occhi sgranati su quanto vede intorno a se e quando nell’estate del 1982 arriva ai ruderi siriani di Deir Mar Musa per dieci giorni di ritiro spirituale decide di non tornare indietro.

«Ci trovai il “corpo” dei miei sogni e desideri, quelli mistici, ma anche comunitari, culturali e politici» racconterà alla platea del Consorzio San Giovanni di Vicchio nel 2009, due anni prima che la sua patria d’adozione sprofondasse nella guerra civile. Si trasferisce lì, nel deserto a un centinaio di chilometri dalla capitale, dove tra l’ordinazione a sacerdote a Damasco secondo il rito siriaco cattolico e il lavoro di ricostruzione del monastero con l’aiuto di un esercito di volontari mette in piedi la comunità che l’avrebbe reso famoso, il testimone del dialogo interreligioso, il padre da cui ogni venerdì si recano in pellegrinaggio i musulmani, il sognatore inossidabile al conflitto delle civiltà esploso globalmente dopo il 2001 e resiliente alla delusione per le speranze riformiste accese e subito spente dall’avvento di Bashar Assad. Una roccia padre Paolo, resistente come quelle della sua dimora fin quando l’una come le altre vengono minate dal regime e si polverizzano nell’espulsione dal paese annunciata e poi eseguita il 12 giugno 2012.

«Di Mar Musa mi è sempre rimasto in mente il carisma di padre Paolo, uno con la pazienza di seguire il restauro dei meravigliosi affreschi del monastero ma capace di infuriarsi con chi sporcava» ricorda una visitatrice. Pochi giorni prima di sparire aveva scritto una lettera aperta a Papa Francesco perchè non dimenticasse la Siria, irriducibile a guardare e raccontare a suo modo il mondo che cambia.