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 2013  agosto 07 Mercoledì calendario

Il “maccarone” non provoca più italiani a dieta in fuga dalla pasta “Eppure non dimagriamo”

Il “maccarone” non provoca più italiani a dieta in fuga dalla pasta “Eppure non dimagriamo”. Consumi scesi da 43 a 30 chili a famiglia– Il maccarone in Italia non provoca più. E a dire “me te magno” sono sempre più spesso gli stranieri. La patria della pasta sembra stanca della solita dieta. Perfino gli spaghetti al sugo ci sembrano troppo lunghi da cucinare. Ecco allora che il consumo del nostro piatto simbolo cala in modo lento ma costante da almeno 15 anni. In Cina, al contrario, le esportazioni italiane sono aumentate nel 2012 del 60% rispetto al 2011. In Ucraina del 32%. Gli Stati Uniti hanno una produzione inferiore alla nostra solo di un terzo, seguiti a ruota dal Brasile. I dati sull’appetito delle famiglie nella penisola appena calcolati da Barilla, invece, disegnano una curva ostinatamente rivolta verso il basso. Nel 1999 una famiglia italiana acquistava ogni anno 42,9 chili di pasta. Il dato riguarda solo il consumo a casa, senza tenere conto di ristoranti, mense e tavole calde. Nel 2005 siamo scesi sotto quota 40. Oggi stiamo per varcare anche la soglia dei 30 (31,4 chili nel 2012 e 30,9 la stima a maggio di quest’anno). Che l’Italia stia scivolando via dalla tradizionale dieta mediterranea, attirata dalla forza di gravità dei menù anglosassoni, è stato misurato anche dallo studio “Moli-sani” dell’università di Campobasso, pubblicato l’anno scorso sul British Medical Journal. Tendenza diffusa soprattutto tra le persone che guadagnano meno e con un livello di cultura più basso. Il cessato idillio fra italiani e maccaroni, secondo un’indagine condotta dalla Nielsen per Barilla, è dovuta soprattutto alla convinzione che la pasta faccia ingrassare. Ne è persuaso il 51% del campione (nel 2008 era il 41%). L’idea è radicata soprattutto nel sesso femminile. Tra il 2008 e il 2012 questa percezione è aumentata del 18% tra le donne fra 31 e 40 anni, e del 16% tra gli uomini della stessa età. La cosa curiosa, fanno notare alla Barilla, è che intanto la quantità di italiani sovrappeso o obesi continui ugualmente ad aumentare. Ma c’è dell’altro. Sorprendentemente, il 24% degli intervistati pensa che preparare anche il sugo renda il nostro piatto nazionale troppo complicato. Il 18% si lamenta perfino per il tempo necessario alla cottura degli spaghetti e dei suoi fratelli. «Non c’è nulla di cui stupirsi» spiega Giuseppe Morici, direttore del global marketing del gruppo Barilla. «Il calo del consumo di pasta in Italia non è una moda, ma ha ragioni solide e chiare. Si mangia di più fuori casa e l’offerta alimentare negli ultimi decenni si è arricchita di surgelati, cibi pronti e prodotti del banco frigo». La vexata quaestio della pasta che fa ingrassare viene dipanata così dai nutrizionisti: «È vero che le diete spesso tagliano pane e pasta. Ma spaghetti o rigatoni sono essenziali per mantenere la varietà, anche perché hanno un ampio ventaglio di condimenti. L’olio e i sughi a base di verdure, legumi, carne o pesce danno quantità e qualità al nutrimento » spiega Gianvincenzo Barba, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Cnr ad Avellino. Esistono poi dei piccoli trucchi per abbassare l’indice glicemico, cioè l’effetto che hanno i carboidrati di aumentare rapidamente il livello di zuccheri nel sangue, richiedendo una maggiore produzione di insulina. «La cottura al dente e la scelta di semola di grano duro riducono un po’ l’indice glicemico. Ma il prodotto migliore da questo punto di vista è la pasta integrale». Spaghetti e rigatoni di colore scuro non conquistano però il palato degli italiani. «Il colore non incontra il gusto dei bambini, né il sapore quello degli adulti» spiega Morici. «Ma la ricerca sta facendo passi avanti. Le farine integrali in fondo erano il cibo che consumavamo prima che il boom ci rendesse ricchi. E allora non avevamo certo problemi di obesità. Anche se consumavamo più pasta».