Fabrizio Caccia, Corriere della Sera 7/8/2013, 7 agosto 2013
Il neo procuratore antimafia «A me il potere di confisca Priorità il voto di scambio» – Si è insediato ieri a via Giulia: «La mafia non va in vacanza, bisogna lavorare»
Il neo procuratore antimafia «A me il potere di confisca Priorità il voto di scambio» – Si è insediato ieri a via Giulia: «La mafia non va in vacanza, bisogna lavorare». Un amico magistrato gli ha donato un cornetto rosso («Da buon napoletano penso che non sia vero ma ci credo...»), una sua collaboratrice gli ha lasciato sul tavolo un’ossidiana blu portafortuna. Di buona sorte certo avrà bisogno, Franco Roberti, 65 anni, il nuovo Procuratore nazionale antimafia, succeduto a Pietro Grasso e nominato due settimane fa dal Csm con 20 voti a favore («Ma non chiamatemi toga rossa — avverte —. Anzi mi vanto molto dei due voti presi dall’area del cosiddetto centrodestra...»). Sono molte le sfide che l’attendono («Tanto per cominciare la cattura del latitante numero uno, Matteo Messina Denaro...»), ma lui ha le idee chiarissime: «In Parlamento c’è in discussione un disegno di legge sul voto di scambio, che però a mio giudizio rischia di rendere la norma di ancor più difficile applicazione. Perché non tornare, piuttosto, alla 416 ter del decreto legge post Capaci, nella sua prima formulazione? Quando si diceva chiaramente che andava colpita la promessa di sostegno elettorale da parte mafiosa in cambio di denaro o altra utilità? Quel concetto di "altra utilità", che poi andò perduto nella legge di conversione, secondo me andrebbe reintrodotto per recidere il patto di scambio politico-mafioso». Franco Roberti non è tipo che si nasconda. La sua — premette — è solo «una struttura di servizio, perché come voleva Falcone al centro ci sono e ci devono essere sempre le procure distrettuali». Ma due sono le richieste immediate che si sente di rivolgere al Parlamento: «L’attribuzione al Procuratore nazionale del potere (che oggi non ha, ndr) di proporre autonomamente al tribunale competente misure di prevenzione patrimoniali», perché — spiega — con i sequestri e le confische «si toglie l’acqua al pesce». Mentre l’altro suggerimento riguarda terrorismo ed eversione: «Serve una guida centrale, un coordinamento nazionale — ammonisce Roberti —. Il legislatore scelga l’organo che vuole, non dev’essere per forza la Dna, ma è importante che ci sia una centrale a livello nazionale. Perché gli intrecci tra mafia e terrorismo ci sono sempre stati, uno degli attentatori di Atocha (la strage sui treni di Madrid dell’11 marzo 2004, ndr) fu arrestato a Napoli per traffico di droga. Senza dimenticare la bomba sul Rapido 904 (23 dicembre 1984, 16 morti, ndr) per cui fu arrestato Pippo Calò...». Già, Pippo Calò, il boss di Cosa Nostra, custode di tanti segreti e misteri d’Italia, oggi a 82 anni ancora in regime di 41 bis. La domanda è d’obbligo: andrà a trovarlo in carcere, procuratore? «Non glielo posso escludere», confessa un po’ a sorpresa Roberti. Di sicuro, quando era alla guida della Dda napoletana, fu lui a colpire a morte l’ala stragista dei Casalesi con la cattura del boss Giuseppe Setola. E per arrivare a tanti brillanti risultati anticamorra, fin dagli anni 90, fece tesoro anche di una naturale abilità personale mostrata nel convincere criminali efferati a collaborare con la giustizia: Carmine Alfieri, Pasquale Galasso, Oreste Spagnuolo. Ci provò e quasi ci riuscì anche con Raffaele Cutolo, nei confronti del quale forse va avanti il corteggiamento: «Oggi Cutolo ha 73 anni e potrebbe ancora rendere dichiarazioni utili, ma lui lo sa bene, è un uomo intelligente...». «I mafiosi si catturano anche con le intercettazioni», disse una volta. «Purché non se ne abusi — aggiunge oggi —. Perché sono uno strumento assai delicato e costoso, perciò vanno fatte mirate, io sono contrario a quelle a strascico». Della presunta trattativa Stato-mafia non vuol parlare. E non vuole neppure entrare in polemica con i colleghi di Palermo, Caltanissetta e Firenze che di recente hanno dato parere positivo alla revoca del 41 bis (per motivi di salute) a Bernardo Provenzano. Ma Roberti dice di «condividere il parere negativo» dato dalla Dna prima del suo arrivo. Non ha gradito l’intervista di ieri al Mattino del suo collega di Cassazione, Antonio Esposito, il giudice che ha condannato Silvio Berlusconi («I giudici parlano con le sentenze», chiosa). Infine, ripensa ai primi anni della Dna quando lavorò accanto al primo presidente Bruno Siclari e allo stesso Piero Grasso («Eravamo un gruppo di amici, ci chiamavamo per scherzo i "padri fondatori"...»). Grasso ora è diventato presidente del Senato, Roberti capisce, sta al gioco e se la cava con una battuta: «No, io in politica non mi ci vedo proprio, pensate che sia da destra che da sinistra mi fu proposto di candidarmi a sindaco di Napoli, ma tutte le volte ai miei cortesi interlocutori risposi sempre allo stesso modo: no grazie, a stento faccio il Pm». Fabrizio Caccia