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 2013  agosto 07 Mercoledì calendario

La smentita di Esposito– La tesi della «manipolazione additiva» dell’intervista regge fino a sera, quando Il Mattino di Napoli mette sul suo sito il file audio della conversazione tra il giornalista Antonio Manzo e il presidente Antonio Esposito

La smentita di Esposito– La tesi della «manipolazione additiva» dell’intervista regge fino a sera, quando Il Mattino di Napoli mette sul suo sito il file audio della conversazione tra il giornalista Antonio Manzo e il presidente Antonio Esposito. I due, entrambi napoletani, si conoscono da 35 anni: il togato ha visto crescere il «giovane cronista» giudiziario fin da tempi in cui lui esercitava le funzioni di pretore in un piccolo ufficio del Cilento: «Eravamo amici, l’ho visto crescere quel ragazzo e chi se lo aspettava che registrava la telefonata... Nel testo concordato non c’era la frase incriminata. Io non ho mai detto che “Berlusconi è stato condannato perché sapeva”». Antonio Esposito, 71 anni, entrato in magistratura nel ‘65, presidente della II sezione penale della Cassazione, fratello dell’ex Procuratore generale della Corte, Vitaliano Esposito, padre del pm milanese Ferdinando (noto anche per la sua cena con Nicole Minetti) vede sgretolare la sua difesa col passare delle ore: in linea di principio ha ragione, perché quella frase così netta forse non è gli è mai uscita di bocca, ma il solo fatto di aver parlato con un tenace giornalista a pochi giorni dalla sentenza del secolo rende lui, che era il presidente di quel collegio giudicante, un magistrato ad altissimo rischio. Confida il presidente Esposito che a Manzo aveva concesso altre interviste esclusive: «Ai tempi della sentenza Cuffaro mi ero fatto inviare le domande scritte e avevo inviato le risposte con il mio fax. Ero io ad avere in mano la situazione...». Invece, lunedì tra la redazione del Mattino e l’ufficio in Cassazione del giudice gli scambi di mail e di fax diventano frenetici: «Tra le 17 e le 17.30 abbiamo fatto l’intervista, poi mi è arrivato un primo testo che io ho corretto abbondantemente. Poi alle 19.30 mi è stato inviato un secondo testo che andava bene ma che certamente non conteneva il blocchetto di frasi incriminate: “... Tizio, Caio o Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po’ diverso dal non poteva non sapere”». Dunque, l’intervista è stata «manipolata», detta all’Ansa il giudice Esposito: «È sufficiente confrontare il testo pubblicato con il testo inviatomi alle ore 19.30 per rendersi conto della gravissima manipolazione...». Però, ammette il giudice, al giornalista viene accordata oralmente la licenza di apportare quelle limature di scorrevolezza, talvolta necessarie se l’intervistato parla in «giuridichese stretto». Esposito, dunque, lunedì va a dormire tranquillo e soddisfatto («L’intervista inopportuna? L’ho fatto per il giornalista, insisteva tanto...»). Ma il risveglio è da incubo con quel titolo di prima pagina («Condannato perché sapeva») che anticipa (se davvero anticipa) il contenuto della motivazione della sentenza, in corso di redazione sulla scrivania del giudice Amedeo Franco, e mette alla berlina l’intera Suprema Corte di Cassazione. A quel punto, Esposito va in udienza (fino al 10 agosto presiede la feriale), poi si chiude nel suo ufficio e organizza una difesa che appare subito ardua. È cortese, risponde al telefono, mostra di essere stato tradito da un amico. Poi detta alle agenzie: «Nella misura più assoluta e categorica ho detto che “il condannato sapeva e condannato perché sapeva non perché non poteva non sapere». La sintassi, però, diventa presto un labirinto inestricabile. Alle 19.20, l’Ansa batte: «Esposito: intervista manipolata». Poi qualcuno fa sommessamente notare a Esposito che Il Mattino ha messo sul sito il file audio della conversazione con il giornalista: «Io nel comunicato ho scritto... Però, in effetti, nella registrazione ho detto che noi, cioè noi magistrati, non noi Cassazione... Che Tizio Caio e Sempronio, in astratto avessero potuto riferire....». Insomma, un vero pasticcio lessicale che però, da ore, è passato in giudicato sulla prima pagina del Mattino. Alle 22 il presidente Esposito è a casa. Risponde al telefono. È gentile, affabile: «La prego, non citi le mie parole, il primo presidente della Cassazione è furioso...». Dino Martirano