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 2013  agosto 07 Mercoledì calendario

Non solo Jeff Bezos, il fondatore di Amazon che si è appena comprato il «Washington Post», ma anche Larry Page (Google), Richard Branson (Virgin), Bill Gates (Microsoft): sempre più miliardari investono al di fuori del loro core business

Non solo Jeff Bezos, il fondatore di Amazon che si è appena comprato il «Washington Post», ma anche Larry Page (Google), Richard Branson (Virgin), Bill Gates (Microsoft): sempre più miliardari investono al di fuori del loro core business. Lo fanno per filantropia, perché si inventano una missione sociale o per lasciare un segno. Ai giornalisti del «Washington Post» Bezos ha scritto: «Il giornalismo non è morto». «Richard Nixon ha cercato invano di cacciare la famiglia Graham dalla proprietà del Washington Post. Internet c’è riuscita 40 anni dopo» dicono, ancora con un misto di rabbia e incredulità, i redattori del giornale il giorno dopo la notizia dell’acquisto dalla testata da parte di Jeff Bezos. L’intervento del fondatore di Amazon, benché accettato dal personale come il male minore, suscita un’emozione enorme. Da oltre 80 anni i Graham erano una cosa sola col giornale e nessuno aveva contemplato la possibilità di un loro ritiro, nonostante la difficilissima situazione economica del Post , in forte deficit e col fatturato in calo continuo da sette anni. Ora il polmone finanziario di uno degli uomini più ricchi d’America fa rientrare i timori più immediati: Bezos pagherà per almeno tre anni l’affitto dell’attuale sede del giornale nel centro di Washington che era diventata troppo costosa e che la società aveva deciso di vendere. L’imprenditore di Seattle si è anche fatto carico della parte non finanziata del fondo previdenziale dei duemila dipendenti del giornale, a questo punto al sicuro almeno per quanto riguarda la pensione. Ma l’abbandono dei Graham segna comunque la fine di una storia. Il vecchio modo di fare il giornale non c’è più. Cosa verrà dopo? Che idee ha in testa Bezos? Se lo chiedono tutti. L’imprenditore ha promesso che per ora tutti — manager, direttori, giornalisti — resteranno al loro posto. Che non ci saranno licenziamenti. «Ho un lavoro a Seattle che mi impegna molto — ha detto —, non ne cerco un altro a Washington». Ma nessuno ci crede. Oltretutto, per usufruire dei benefici fiscali dovrà occuparsi del Post per circa 10 ore a settimana, e lui è uno che ha sempre cercato di non pagare le tasse. I cambiamenti non saranno immediati: Bezos è un uomo paziente e dall’approccio graduale. Ma perché un innovatore geniale avrebbe dovuto acquistare un organo d’informazione glorioso ma invecchiato se non per reinventarlo? Qualcuno ipotizza un intervento di tipo «filantropico»: un uomo reso straricco dalle tecnologie (patrimonio stimato tra 25 e i 28 miliardi di dollari) pronto a investire un centesimo delle sue risorse per rimettere in piedi un glorioso organo di stampa che di quella rivoluzione digitale è stata una vittima illustre. Qualcun altro pensa che Bezos abbia comprato il Washington Post semplicemente perché, come dice il capo di Business Insider (sito del quale Jeff è azionista), Henry Blodget, «avere un giornale è interessante, divertente e “cool”». Sarebbe in linea con la vecchia fama di sognatore di Bezos che, mentre investe in business molto concreti e redditizi, fa correre la fantasia finanziando avventure spaziali (ha fondato nel 2000 la Blue Origin, società spaziale rimasta segretissima fino al 2006, che due anni fa ha perso in un incidente il primo prototipo di astronave) o la costruzione dell’orologio atomico della «Long Now Foundation» capace di funzionare per diecimila anni senza intervento umano, ora in costruzione nelle viscere di una montagna del Texas. Ma col Washington Post , oltre ad accrescere il suo peso politico, Jeff Bezos sembra voler sviluppare un altro tipo di fantasia: quella necessaria per creare nuovi modelli di business sfruttando le sinergie possibili tra canali digitali di distribuzione delle news e reti digitali del commercio online di Amazon. Gli altri giganti della Internet economy , dice Michael Wolff nell’intervista che pubblichiamo qua sotto, potrebbero seguirne l’esempio. M. Ga.