Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 6/8/2013, 6 agosto 2013
CONTRATTI «A ZERO ORE» PER UN MILIONE DI BRITANNICI
CONTRATTI «A ZERO ORE» PER UN MILIONE DI BRITANNICI –
LONDRA. Dal nostro corrispondente
Più che il "labour hoarding" probabilmente poté il "labour zero". Un survey spiega, in parte, l’arcano di un’economia in recessione che crea lavoro, sfidando economisti e sociologi britannici dove il fenomeno s’avverte da tempo, in evidente controtendenza rispetto al trend euromediterraneo. La ricerca, firmata dal Chartered Institute of Personnel and Development (Cipd), smentisce l’ufficio nazionale di statistica e indica che i lavoratori con "contratti a zero ore" sono quattro volte in più di quanto calcolato, ovvero almeno un milione, il 3,5% della manodopera totale.
Basta questo per spiegare la capacità di creare occupazione che l’economia del regno di Elisabetta ha messo in campo? Lo giustifica in parte, ma soprattutto potrebbe spiegare il cosiddetto "labour hoarding", quel fenomeno che vede le imprese in crisi evitare i licenziamenti e trattenere i dipendenti, a condizioni economiche ridotte in attesa di tempi migliori. È evidentemente più semplice mantenere personale a zero ore, piuttosto che dipendenti con impieghi tradizionali. La statistica è, in ogni caso, ritoccata perché il contratto a zero ore appare come full employment.
Per capire a che punto sia arrivata la flessibilità del lavoro in Gran Bretagna è utile esaminare come sono strutturati i "zero hours". Si tratta di impieghi che non garantiscono un minimo di lavoro, ma sono dettati solo dalla domanda. In altre parole il lavoratore attende di essere chiamato per impegni di qualche giorno o di qualche settimana, seguiti da pause variabilmente lunghe per poi, magari, ritornare al lavoro sull’onda di nuove richieste. Contratti che non prevedono copertura in caso di malattia, anche se le norme europee sul lavoro impongono il riconoscimento delle ferie. In un’intervista a Radio 4 della Bbc un’assistente sociale ha detto di aver accettato il contratto e di aver poi atteso «sperando in bene, perché tutto può cambiare radicalmente: cominci una settimana con l’idea di essere impegnata 40 ore e la finisci scoprendo di averne fatte una dozzina».
Precarietà totale, dunque. Apprezzata sia dal privato, ma soprattutto dal settore pubblico - Buckingham Palace incluso - che ne fa largo uso per rimpiazzare, probabilmente, le posizioni chiuse in nome della spending review. Precarietà che parrebbe non essere del tutto disprezzata neppure dai lavoratori, per quanto paradossale possa sembrare. Il survey, infatti, suggerisce che solo il 14% del milione di persone che si presume siano impiegate a queste condizioni sostiene di voler lavorare di più. Il mantra della flessibilità dominante nel Regno, da Margaret Thatcher in poi, ha davvero mutato i comportamenti sociali verso l’occupazione? Soprattutto, contestano i sindacati, a favore del datore di lavoro: «La realtà è che i dipendenti non hanno alternativa: si devono accontentare». È il caso di quelli di Sports Direct, colosso del retail sportivo che impiega 20mila persone, la quasi totalità, a "zero ore". Situazione inaccettabile per le Unions, tanto da aver indotto il Governo ad agire. Una review è in corso, ma le statistiche continuano a premiare la performance di Londra.