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 2013  agosto 05 Lunedì calendario

ARESE, L’EX CATTEDRALE DIVENTA SUPERMERCATO

Il traffico del pomeriggio corre spedito. Caldo, afa, cemento. Ad Arese via Valera incrocia il canale Villoresi. Qui partono e si perdono gli ex capannoni dell’Alfa Romeo. Da fuori, un lungo incedere di lamiere verde sbiadito. Due milioni di metri quadrati. Lo spazio per una città. Abitata, un tempo, da 19mila cittadini. Ingegneri, impiegati e tute blu, capaci, specializzati. Nobiltà operaia, insomma. Che nel tempo ha saputo farsi sentire. Tanto da far ribattezzare quegli stabilimenti, corsari e ambiziosi, “la cattedrale dei metalmeccanici”. Era il 1982. Anno di gloria per gli “alfisti”. Qui si producevano quattro modelli da leggenda: Alfetta, Nuova Giulietta, Alfa 6, Alfetta Gt e Gtv. All’epoca nella progettazione di un’Alfa Romeo “non si scendeva a compromessi”. Frase celebre tra ingegneri e operai per tradurre un modo di progettare lo sviluppo. Arrivato da lontano. Oltre 100 anni fa, quando un gruppo di imprenditori creò l’Anonima lombarda fabbrica automobili. Ventiquattro giugno 1910, via Gattamelata, zona Portello, Milano. Così si parte per approdare, 50 anni dopo, nella fabbrica-laboratorio di Arese.
EPPURE QUI , oggi, l’epopea delle grandi sportive appare liquefatta dal caldo, sfumata dietro la polvere dei vetri, dimenticata nelle piante che crescono spontanee all’interno dei capannoni abbandonati. Sul bancone un numero di Donna moderna, una Gazzetta dello Sport dalle pagine ispessite dal tempo, un’autoradio e vecchie tabelle che annotano passaggi di camion e bisarche. Sotto il vetro, il casellario postale di decine di imprese, il frutto di un indotto florido, ora prosciugato.
Sì, perché alla portineria Nord di via Valera il respiro dei camion è solo quello dei mezzi pubblici che qui fanno capolinea. Stampati sulle vetrate i simboli dell’Alfa. Quel biscione tutto milanese che mai è piaciuto alla militaresca Fiat. A Torino ordine e rigore. Sotto al Duomo, invece, un genio creativo da record. Nel 1925 l’Alfa vince il primo campionato mondiale di automobilismo. Alla sua corte lavora Enzo Ferrari. Qui crea la scuderia Ferrari dedicata alle corse. Nasce il rosso Alfa. Il Cavallino di Maranello arriverà solo dopo. Fiat e Alfa Romeo, dunque. Qualità diverse che miscelate con sapienza avrebbero potuto rilanciare il casato meneghino. Così non è stato.
Nel 1986 l’Iri (allora guidata da Romano Prodi) svende la casa automobilistica per limare i debiti. Il Lingotto acquista, ma ci crede poco. L’operazione è un diversivo per impedire alla Ford di entrare nel mercato italiano dalla porta principale comprando un marchio prestigioso. Un anno dopo, 6.000 lavoratori vanno in cassa integrazione. Nel 1992 termina la produzione dell’Alfa 75. Nel 2000 Arese crea gli ultimi modelli. Poi basta. Chiuso. Come la portineria Ovest. Cancelli bloccati. Area saccheggiata. Destino segnato, quello dell’Alfa. La produzione emigra (Mirafiori e Cassino). Via da Arese. Via, forse, anche dall’Italia. Come ha fatto capire il 30 luglio l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne. “In Italia le condizioni industriali sono impossibili, abbiamo le alternative necessarie per realizzare le Alfa ovunque nel mondo”. Parole che hanno fatto infuriare gli alfisti italiani, scatenati sui social network. Il commento più gettonato? “Marchionne è un idiota”. E mentre il manager italo-canadese si definisce “open minded, senza pregiudizi”, i capannoni ad Arese restano.
CORPI ESTRANEI in un territorio ormai al soldo della speculazione edilizia. Da un lato i blocchi industriali, ancora integri e granitici, ma svuotati. Dall’altro le gru dei cantieri. Appartamenti, villette e area giochi per i bambini. Eppure si fa fatica a integrarsi nel nuovo far west edilizio. Oltre via Valera, una rotonda, e la lancetta del tempo torna indietro. Sulla destra l’enorme struttura del centro-tecnico. Sembra una nave arenata sulla riva. Con le sue lunghe file di vetrate, incastrate tra rilievi di cemento. È l’unico luogo ancora attivo. Qui ha sede il Customer services centre del gruppo Fiat. Il resto parla al passato.
Oltre al degrado e all’abbandono, infatti, ci si mette anche la giustizia. Il 18 luglio scorso il gup di Milano ha rinviato a giudizio due persone per la bancarotta fraudolenta di una fiduciaria svizzera. Secondo l’accusa hanno sottratto fondi dei clienti per 24 milioni di euro. I titolari della società sono i fratelli Marco e Vittorio Salvini. Oltre a loro è coinvolto Bernardo Draghetti, commercialista nonché ex commissario della LM Management di Lele Mora.
Qualcosa che, però, non c’entra con l’inchiesta giudiziaria suona come un sinistro monito per l’area di Arese. Sì perché Marco Salvini dal 2006 è presidente del Consiglio di amministrazione della società immobiliare Aig-Lincoln. Società alla quale la stessa Fiat, nel 2002, vende una parte dei terreni dell’ex Alfa. Oggi, sottolinea lo Slai Cobas, Salvini, attraverso la Lincoln e la società Abp, detiene un terzo dei terreni. La Abp è risultata committente della società Innova service che due anni fa licenziò 60 dipendenti, tutti ex operai Fiat e tutti reintegrati dopo la sentenza della Corte d’Appello di Milano. Innova service, società di servizi, assieme alla sua titolare è stata coinvolta in un’indagine giudiziaria pe aver piazzato una microspia nel Comune di Milano. Ombre presenti e fantasmi passati. Tanti dubbi e una sola certezza. L’ex Alfa di Arese scomparirà. Al suo posto un quartiere polifunzionale e un centro commerciale, il più grande d’Europa. Sono d’accordo Regione, Provincia, Comuni, la società Euromilano e il marchio Iper. I lavori sono già iniziati. S’intravedono oltre le sbarre della portineria sud-ovest, verso quello che un tempo era il reparto carrozzeria. In via Valera, intanto, il traffico molla un po’. Poche auto e una fiammante Ducati Panigale che morde l’asfalto. Altro marchio leggendario. Destino simile a quello dell’Alfa. Destino lontano dall’Italia.