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 2013  agosto 03 Sabato calendario

LIBERATE "DON RAFELE" UNA PETIZIONE PER CUTOLO

Liberate ’o professore. È l’appello lanciato da Francesco Franzese, assistente sociale e criminologo, perché vengano concesse “misure alternative al carcere” a Raffaele Cutolo, boss dei boss e fondatore della Nuova camorra organizzata. Franzese ha attivato internet e i social network, scritto una lunga petizione al ministro di Grazia e Giustizia e iniziato una raccolta di firme che, al momento, ha raccolto scarse adesioni, come rivela il quotidiano Il Mattino. Il 41 bis, il carcere duro previsto per i mafiosi, è una misura afflittiva pesantissima. “Lo Stato deve rieducare e non cercare vendetta”, è la sua tesi, per questo bisogna liberare Cutolo concedendogli misure alternative, visto che don Rafele oggi è un uomo di 73 anni, 50 dei quali passati in carcere.
FRANZESE ha studiato criminologia discutendo una tesi col professor Isaia Sales, analista e storico della camorra tra i più noti. “Franzese – ci dice – parla su un piano strettamente umanitario, giudica disumano il carcere duro per i mafiosi e non mi pare che ammanti di innocentismo la sua battaglia. Detto questo c’è da dire che lo Stato con Cutolo è stato generoso concedendogli di concepire un figlio attraverso l’inseminazione artificiale”. Ma chi è Raffaele Cutolo? “Il camorrista più importante e più crudele della storia della camorra, un personaggio che ha segnato la vicenda della Campania dagli anni Settanta agli anni Novanta del secolo scorso. Il depositario dei segreti del caso Cirillo, uno dei più importanti misteri d’Italia. Sulla trattativa tra Stato, Brigate Rosse e camorra per liberare l’assessore Ciro Cirillo non sappiamo tutta la verità. Cutolo non l’ha mai raccontata”. Non è la prima volta che qualcuno si mobilita per la scarcerazione di don Rafele. All’inizio degli anni Duemila monsignor Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, lanciò un appello analogo. Cutolo non si è mai pentito “per un senso di coerenza morale”, scriveva Nogaro. “Invece, ne sono convinto, egli si è convertito. Ripetutamente ho sollecitato le persone e gli organi competenti a mitigare la severità della sua pena. Non ho ottenuto risultati. La sua sofferenza che diventa sempre più drammatica, non può lasciarmi indifferente. Raffaele Cutolo, è un carcerato, ma che ha tanto pagato e che ora è un uomo di buona volontà”. Parole scritte dal religioso nella prefazione ad un libro-intervista di Francesco De Rosa (Un’altra vita. Le verità di Raffaele Cutolo), nel quale il boss racconta la sua versione sugli anni della Nuova camorra organizzata. Si sarà pure convertito don Rafele, ma pentito mai.
Il boss che per un ventennio ha tenuto in scacco la Campania costruendo un ramificato sistema di potere camorristico ma anche ricco di relazioni politiche, non ha mai voluto dire tutta la verità sul suo ruolo nella liberazione di Ciro Cirillo, il potente assessore regionale fedelissimo di Antonio Gava, rapito dalle Brigate Rosse il 27 aprile 1981 e liberato 89 giorni dopo. Per Cirillo, Stato e Democrazia cristiana fecero quello che non vollero fare per Aldo Moro. Trattarono con Brigate Rosse e camorristi. Nel carcere di Ascoli Piceno, dove Cutolo era detenuto, c’era un andirivieni di agenti dei servizi segreti, politici e personaggi legati alla massoneria. “Enzo Casillo e Corrado Iacolare (due suoi luogotenenti, ndr) – rivela lo stesso Cutolo nel libro di De Rosa – entravano in carcere, benché fossero latitanti, con i tesserini dei servizi segreti. Dico questo perché voglio essere lasciato in pace e continuare a pagare quello che ho fatto nel mio passato”. Di più, sia nel libro che nel processo, il boss non dice, si limita a lanciare messaggi.
NEL 1994 CUTOLO era in procinto di pentirsi. Ci furono incontri con i magistrati nel penitenziario di Carinola dove era detenuto, ed era addirittura già stato individuato il carcere dove sarebbe stato trasferito. A Carinola si fiondò Franco Roberti, l’attuale capo della Direzione nazionale Antimafia per iniziare a verbalizzare. Ma Cutolo fece una clamorosa marcia indietro. “Le mie donne (il riferimento è alla sorella Rosetta e alla moglie Tina, ndr) mi hanno detto di non pentirmi”, ma tre anni fa Roberti raccontò una verità diversa. “Raffaele Cutolo indietreggiò sulla strada del pentimento perché fu minacciato dai servizi segreti”. Insomma, la verità sul caso Cirillo non deve venir fuori, e Cutolo non è disposto a raccontarla, forse perché i segreti di quella vicenda sono la sua assicurazione sulla vita.