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 2013  agosto 05 Lunedì calendario

LAURA, TERZOMONDISTA BORGHESE CHE PIANGE SOLO PER LE MINORANZE

Non è accattivante ma ne­anc­he antipatica la pre­sidente della Camera, Laura Boldrini. Solo che, aven­do l’aria di chi si carica di tutti i mali della terra, comunica una tristezza infinita. Mai un sorri­so sul bel volto di cinquanta­duenne giovanile. Sempre im­bronciata e superciliosa, con la voce esasperata di chi ha la ri­cetta per un mondo migliore ma è inchiodata a questa valle di lacrime dai trogloditi che non la pensano come lei.
Fieramente consapevole di appartenere a un’élite come borghese benestante e militan­te della sinistra mondialista, Laura ha tuttavia degli sbalzi umorali che manifesta nel cam­bio continuo del look. Un gior­no ha i capelli sciolti, l’altro a co­da di cavallo, a volte ha occhia­li, altre è senza, alterna abiti da clausura a maliziosi decolleté, vesti arcobaleno a cupe tenute da esistenzialista. Metamorfo­si che, come in un uomo il quale passi da glabro a barbuto, dalla barba al pizzetto, dalla mosca ai baffi, denotano un carattere malfermo aldilà delle apparen­ze.
Deputato debuttante in mar­zo con Sel, il partito di Nichi Vendola, e subito eletta presi­dente di Montecitorio dalla sini­stra, Boldrini ha un’idea del­l’Italia tutta sua, derivata da una visione globalista della ri­partizione dei compiti. Della Pe­nisola ha una considerazione, per così dire, solo «geografica» come di piattaforma galleggian­te adagiata nel Mediterraneo per servire da attracco ai barco­ni provenienti dall’Africa. Altri elementi, storiografici, cultura­li, eccetera, le paiono accessori. Quando, alcuni anni fa, Maroni strinse accordi con Gheddafi per frenare i flussi dalla Libia, Laura - allora funzionario Onu - li bollò come contrari al diritto di asilo. Osservò che l’Italia ave­va meno rifugiati di altri Paesi Ue e le intimò di accoglierne in massa, facendosi più europea. Avrà, perciò, salutato con gioia l’avvento della primavera ara­ba che, sgozzato il Colonnello, ha ripristinato il viavai, favoren­do il nostro incivilimento.
Alcuni episodi come terza ca­rica dello Sta­to ci daranno un’idea più precisa di Bol­drini. È molto sensibile ai di­ritti delle persone. Ma non quel­li cui aspira la maggioranza degli italiani: meno soprusi, più li­bertà, più merito e altre banali­tà. I diritti che a Laura premono sono quelli delle minoranze. Così, in giugno, è andata al Gay Pride di Palermo a caldeggiare matrimoni, adozioni, feconda­zioni e altri diritti del Duemila. Si è però rifiutata, sembrandole forse ottocentesco, di andare in luglio all’inaugurazione di uno stabilimento Fiat in Val di San­gro dove era stata invitata da Marchionne. Invito che il mana­ger le aveva rivolto dopo il suo affettuoso incontro a Monteci­torio con i capi della Fiom in rot­ta con Fiat, con l’intenzione di mostrarle che anche l’azienda faceva la sua parte. Lei, però, per schie­rarsi con il sin­dacato contro il padrone, ha puntato i piedini, restando a ca­sa. Una posizione talmente ide­ologica che fu addirittura un piddino, il vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti, a ri­mediare, andandoci lui.
Molto gauchiste anche il giu­dizio boldriniano sull’attenta­to di aprile del disoccupato Lui­gi Preiti contro due carabinieri (uno tuttora paralizzato) davan­ti a Palazzo Chigi: «È il disagio sociale che trasforma le vittime in carnefici». Una sorta di asso­luzione che fa pensare a una Laura che guarda con simpatia ai poveri cristi. Ma quando è toc­cato a lei subire un torto, si è in­vece infuriata come un’Erinni, ordinando una rappresaglia mi­litare. È successo appena sul web è circolata una sua foto (fal­sa) che la ritraeva in costume adamitico. Indignata, ha aizza­to contro il colpevole la polizia Postale che ha fatto irruzione in casa, sequestrato computer, fat­to denunce. Qui, non le è passato per le meningi che anche co­stui fosse un disagiato o un ba­nale buontempone da trattare con indulgenza. Così come, lei sempre pronta a difendere le donne, si è fatta pizzicare dal Giornale per avere ignorato che le squadracce di Sel, al corteo Pdl di Brescia (maggio), aveva­no aggredito delle manifestan­ti. «Dov’era Boldrini?» chiedemmo di fronte al suo silen­zio. «Non sapevo- si è giustifica­ta lei - Ma esprimo tutta la mia solidarietà a quelle donne che hanno ricevuto insulti in quan­to donne». In quanto berlusco­niane - sottinteso - ben gli sta.
Prima di cinque figli (oltre a lei, tre fratelli e una sorella), Laura appartiene a una cospi­cua famiglia, molto cattolica, dell’anconetano. Il ceppo è di Matelica, il borgo di Enrico Mat­tei e dell’amico Massimo Bol­drini, pezzo grosso dell’Eni e lontano parente di Laura. Do­po le prime scuole in campagna, la ragazza si trasferì a Jesi ­città natale di Federico II - per il liceo. Era uno spirito ribelle, un simil maschiaccio che non sta­va mai con le ragazze. Col pa­dre, austero avvocato conserva­tore, che le aveva insegnato le preghiere in latino, rompe i ponti quando, dopo la licenza, decide di partire per il Venezue­la a fare la campesina tra le risa­ie, tirando poi a lungo con un gi­ro in Centro America prima di approdare a New York. Tornata in Italia, traslocò a Roma per fre­quentare Legge alla Sapienza, mentre l’idea di occuparsi dei drammi del mondo si faceva sempre più strada. Fino alla lau­rea, prese l’abitudine di trascor­rere sei mesi l’anno nei Paesi a rischio, con il babbo sempre più arrabbiato e la mamma, an­tiquaria, a tenerle teneramente bordone.
Dopo il diploma, abbracciò il giornalismo (oggi ha rubriche nei giornali di De Benedetti). Iniziò come precaria Rai, poi fu portavoce all’Onu. In questa ve­ste, si occupò prima di fame alla Fao, poi di emigrazione all’Alto commissariato, viaggiando in tutti i posti che la Farnesina sconsiglia ai turisti: Irak, Afgha­nistan, Kossovo, Sudan, eccete­ra. Tra i giornalisti prese il mari­to, Luca Nicosia, da cui ebbe Anastasia, oggi di vent’anni. Presto divorziata e amareggiata si tuffò nel lavoro. C’è chi la ri­corda, anni fa, invitata a un ma­trimonio, fare un discorsetto bi­li­ngue alla coppia di amici italo­inglese in cui, agli auguri, ag­giungeva ammonimenti sui tra­nelli della vita in comune. Una petulante proiezione della pro­pria esperienza fallita e indizio della sua incapacità di vedere il lato lieto dell’esistenza. Che è, per chi scrive, l’esatta immagi­ne negativa che la presidente Boldrini rimanda ogni volta che appare in tv.
Va detto però che Laura è re­duce da una tragedia che ha del­l’incredibile. Nel giro di un an­no - due anni fa - ha perso il pa­dre, la madre, l’unica sorella e una zia, cui era legatissima, per un’identica, crudele malattia. Si resta basiti e verrebbe di ab­bracciarla. A starle accanto, per fortuna, c’è il catanese Vittorio Longhi, altro giornalista, suo compagno da anni e anima ge­mella: patito anche lui dei temi dell’emigrazione e collaborato­re del gruppo De Benedetti. Ac­comiatandoci da lei, la lascia­mo dunque in buone mani.