Danilo Taino, Corriere della Sera 3/8/2013, 3 agosto 2013
LA VIOLENZA TRA GLI UOMINI? DIPENDE ANCHE DAL CLIMA
Tre scienziati americani hanno dimostrato che quando dite «piove, governo ladro» state affermando una verità. Anche se diceste «fa caldo, che cada il governo» sareste nel giusto. Non solo: sostengono che l’aumento della temperatura sul pianeta, in corso e previsto per il futuro, aumenta la violenza tra gli umani e può favorire guerre civili e al limite la caduta di regimi. In sostanza: dicono che più fa caldo e più ci sono inondazioni o siccità, più i conflitti tra le persone e nelle società aumentano. Lo studio, pubblicato dalla rivista Science, è stato realizzato assemblando in modo accurato 60 studi e documenti rigorosi elaborati da archeologi, criminologi, economisti, geografi, storici, psicologi, scienziati della politica (ma non scienziati del clima). Attenzione, però: si tratta di uno studio che apre un’ipotesi, dichiaratamente non spiega i meccanismi attraverso i quali le ondate di caldo diventano violenza e non consente di saltare a conclusioni facili tipo «le popolazione del Sud sono più violente perché stanno al sole».
Solomon Hsiang, Marshall Burke e Edward Miguel — che lavorano alle università di Princeton e Berkeley — sono partiti dal fatto che ogni anno nel mondo muoiono tra 500 mila e un milione di persone per atti violenti. Dal momento che da tempo ci si interroga sulla relazione tra clima e violenza, conflitti, rivolte, hanno voluto andare a fondo. Raccolti e resi omogenei e scientificamente credibili 60 lavori già effettuati sul passato e sul presente, sono arrivati alla conclusione che, per ogni deviazione standard del cambiamento nel clima (che è una misura della fluttuazione tipica anno su anno) verso temperature più alte o verso piogge più estreme, si può stimare che la frequenza delle violenza tra individui aumenti del 3,9 per cento e che la frequenza dei conflitti tra gruppi cresca del 13,6 per cento. Dal momento che si prevede che le zone popolate del pianeta si riscaldino tra le due e le quattro deviazioni standard entro il 2050, si dovrebbero prevedere aumenti consistenti della violenza tra individui e tra gruppi.
Gli autori stessi mettono in guardia da conclusioni facili ma fallaci e avvertono che i cambiamenti del clima non sono l’unica e nemmeno necessariamente la prima causa della violenza. In effetti, un libro pubblicato di recente da due altri professori americani — Perché le Nazioni falliscono, di Daron Acemoglu e James Robinson — ha mostrato che sulla formazione delle civiltà più della geografia influiscono le istituzioni. Hsiang, Burke e Miguel assicurano però di avere ben presente che «non tutte le correlazioni implicano una causa»: non gli è bastato notare che in una giornata di sole ci sono stati più crimini, sono andati molto più a fondo nello studio. Soprattutto, hanno misurato «mele con mele», cioè dati omogenei. Se, per esempio, avessero confrontato Norvegia e Nigeria avrebbero notato che — come sappiamo — in Norvegia fa freddo e c’è meno violenza, in Nigeria fa caldo e c’è più violenza: banalità che non prova nulla. Lo studio, invece, confronta dati di un Paese con quelli del Paese stesso in tempi diversi, per garantire che la struttura, la geografia e la popolazione siano quasi identiche.
L’influenza del caldo e delle precipitazioni estreme è — secondo lo studio che comprende un periodo di 12 mila anni — oggi molto simile a quello dei secoli passati. Per dire, «i sedimenti alluvionali del Bacino Cariaco (al largo del Venezuela, ndr) indicano sostanziali siccità pluriennali coincidenti con il collasso dei Maya». La siccità provocò anche la fine dell’impero Angkor nell’Asia del Sudest. I collassi delle dinastie cinesi Tang e Yuan coincisero rispettivamente con quelli dei Maya e dell’impero Angkor. «Anelli sugli alberi europei indicano che periodi di freddo anomalo furono associati a importanti periodi di instabilità sul continente europeo». In India, i conflitti sociali tra hindu e musulmani tendono a essere più probabili in seguito a precipitazioni estreme (troppe o poche). Lo studio sostiene che ci sono «associazioni causali che appaiono robuste» anche tra caldo e intemperanze individuali: non solo ad alte temperature gli automobilisti suonano più spesso il clacson e i giocatori di calcio o football litigano di più: aumentano anche gli assalti, gli stupri, la violenza domestica e durante il training i poliziotti sono più propensi a usare la forza. «Ampie deviazioni dalle precipitazioni normali — dice lo studio — hanno anche dimostrato di portare alla riallocazione forzata di ricchezza o al rimpiazzo non violento di leader al potere», appunto «piove, governo ladro».
I meccanismi che collegano clima e violenza non sono scientificamente provati, per ora. Si può immaginare che il clima influisca sulla produttività e quindi sul benessere e sul reddito; che allarghi le diseguaglianze sociali; che riduca i raccolti; che forzi migrazioni e spinga l’urbanizzazione; oppure che stimoli l’aggressività attraverso meccanismi psicologici. Tempi caldi e rissosi in vista, dunque. Il messaggio buono è che l’aria condizionata può aiutare.