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 2013  agosto 04 Domenica calendario

GIORNALE E LIBERO, FANGO SUL PRESIDENTE ESPOSITO

Il “trattamento Mesiano” tocca questa volta ad Antonio Esposito. Poca cosa, i calzini azzurri che erano stati rimproverati al giudice del Tribunale di Milano Raimondo Mesiano, autore della sentenza civile che obbligherà Silvio Berlusconi a pagare un risarcimento milionario per aver scippato la Mondadori. Contro Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che ha confermato la sentenza Mediaset, si fa ben di più: gli sono addebitate “cravatta impataccata, scarpe da jogging, camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera”. E di peggio: il Giornale strilla in prima pagina “Le cene allegre di Esposito. Così infangava Berlusconi il giudice che l’ha condannato”. È il giornalista Stefano Lorenzetto ad allineare le presunte scorrettezze del magistrato, raccontando una serata di quattro anni fa, del marzo 2009, in occasione della consegna di un premio all’ex magistrato Ferdinando Imposimato da parte del Lions club di Verona.
IL GIUDICE ESPOSITO non intende replicare “se non nelle sedi competenti” a quelle che ritiene calunnie e falsità. Accetta però di spiegare che cosa non quadra nella ricostruzione del Giornale. “Intanto le sbandierate (in prima pagina) ‘cene allegre’ si sono risolte in un’unica cena dopo la premiazione. Quanto all’abbigliamento, basta guardare le numerose foto scattate quel giorno e controllare le riprese televisive per constatare che era impeccabile, del tutto conforme al rilievo della manifestazione pubblica a cui stavo partecipando. Una cosa comunque è certa: io in vita mia non ho mai posseduto, né calzato (e dico mai senza tema di smentita) scarpe da jogging, attività che non ho mai praticato”.
Ma Esposito, secondo il racconto di Lorenzetto, “nel bel mezzo del banchetto cominciò a malignare, con palese compiacimento, circa il contenuto di certe intercettazioni telefoniche riguardanti a suo dire il premier Berlusconi... Si soffermò sulle presunte e specialissime doti erotiche che due deputate del Pdl, delle quali fece nome e cognome, avrebbero dispiegato con l’allora presidente del Consiglio”.
“È falso”, risponde il magistrato. “Quelle affermazioni non sono state fatte, né potevano essere fatte, perché io non ho mai avuto conoscenza dell’esistenza – se mai sono esistite – di intercettazioni che riguardano la vita privata dell’onorevole Berlusconi. È un’affermazione gravissima, poiché il giornalista mi accusa di essere illecitamente a conoscenza di presunte conversazioni coperte da segreto, delle quali io invece ignoravo e tuttora ignoro l’esistenza”.
Il cuore delle “rivelazioni” del Giornale è che Esposito avrebbe anticipato, durante quella cena, il giudizio che 48 ore dopo avrebbe espresso in Cassazione nei confronti di Wanna Marchi . Lorenzetto estrae dal cilindro un suo libro del 2011 in cui aveva già raccontato l’episodio, pur senza fare il nome del magistrato. “Nella mia lunga carriera non ho mai anticipato un giudizio. Questo si forma”, spiega Esposito, “sempre e solo al termine dell’udienza, dopo il contraddittorio tra le parti. Ma anticiparlo è ancor più impensabile in Cassazione, ove la decisione viene presa, liberamente e autonomamente, da cinque magistrati. La verità è ben diversa: quella sera, all’invito dell’organizzatore a rimanere ancora un giorno a Verona, io risposi che avevo urgenza di ritornare a Roma perché dovevo trattare un processo abbastanza impegnativo di truffa nel quale era coinvolta Wanna Marchi, notizia ampiamente già pubblicizzata dalla stampa. Tutto qui, senza alcun impossibile anticipo di decisione”. E poi: se Lorenzetto è “trasecolato” per l’accenno a Wanna Marchi, come mai non è “trasecolato” per i ben più gravi (e giornalisticamente ancor più appetitosi) accenni a Berlusconi e alle sue deputate, di cui invece non parla nel suo libro?
Lorenzetto concede comunque al giudice una “misericordiosa attenuante”: “Forse era un po’ brillo”, aveva “ecceduto con l’Amarone”. “Ma il giornalista non poteva non notare che io non ero un ‘po’ brillo’ perché sono, da una vita, completamente astemio. Non c’è persona al mondo che possa testimoniare di avermi mai visto bere vino o altre bevande alcoliche”.
C’È DI PEGGIO: Lorenzetto racconta che il giudice, prima della consegna del premio, secondo un testimone avrebbe fatto affermazioni pesanti su Berlusconi, reputato “un grande corruttore” e “il genio del male”. “Dice anche che io mi sarei lasciato andare perché non ero a conoscenza per quale testata lavorasse: invece lo sapevo bene, sia perché avevo più volte letto articoli a sua firma, sia perché gli organizzatori ci avevano segnalato chi fosse il moderatore della serata, come si usa in questi casi. Quelle parole non le ho mai dette: ma le pare che avrei potuto pronunciare giudizi di quel tipo, mentre ero al tavolo ove si presentava un libro e si consegnava un premio, innanzi a oltre 500 persone?”.
Un altro quotidiano, Libero, riempie una pagina, firmata da Franco Bechis, per spiegare che la sentenza di Antonio Esposito è arrivata poche ore dopo che il Pdl aveva votato in Senato il “licenziamento in tronco” di suo fratello Vitaliano, a cui è stato tolto “un posto da 200mila euro all’anno come garante dell’Ilva”. “Non ho seguito né seguo le vicende di mio fratello all’Ilva”, replica il presidente, “certo che se c’è chi dice che una mia sentenza è una vendetta contro qualcuno, dovrà risponderne nelle competenti sedi giudiziarie”.

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BACINI & CALZINI GLI SCOOP BUFALA DEI MEDIA DI B. -
IL RISULTATO È MATEMATICO. Ogni volta che un magistrato si ritrova a indagare o a giudicare su Silvio Berlusconi finisce in prima pagina. A suonare la gran cassa della delegittimazione, naturalmente, i media del Cavaliere. Giornali o tv. La ricetta è semplice: prendere un particolare della vita privata, ingigantirlo fino a trasformarlo nel paradigma di una moralità discutibile. Tutto vale. Per questo il grottesco è sempre dietro l’angolo. Ultima vittima di questo giornalismo è il giudice della Cassazione Antonio Esposito che giovedì ha confermato i 4 anni di condanna per frode fiscale all’ex premier. E così ieri Libero e il Giornale gli hanno dedicato un bel paio di pagine. Ritratto scontato: Esposito non era il giudice adatto perché di parte, perché, annota il cronista del quotidiano di via Negri, una sera a cena nel 2009 definiva il Cavaliere “genio del male”. Convivi improbabili o, ancora peggio, semplici passeggiate per le vie di Milano bastano per screditare e diffamare. Capita nell’ottobre 2009 a 24 ore dal verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori con Berlusconi condannato a pagare 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti. Le telecamere di Canale 5 entrano in azione. Nel mirino Raimondo Mesiano, il giudice che ha scritto la sentenza. Il servizio va in onda nel contenitore del mattino. Conduce il direttore di Videonews Claudio Brachino. Ecco allora “l’uomo Mesiano” che “passeggia”. Poi davanti al barbiere attende “ma proprio non riesce a stare fermo”. Ancora il giudice seduto sulla panchina. Accavalla le gambe e fanno capolino i calzini turchesi. Scandalo. Anzi peggio, stranezze e stravaganze. Risultato: quel servizio viene definito “pestaggio mediatico”, mentre l’Ordine dei giornalisti sospende Brachino per 60 giorni. Dal Lodo Mondadori al Rubygate. Da Mesiano al procuratore aggiunto Ilda Boccassini . Il 27 gennaio 2011, a poche settimane dalle prime perquisizioni nel residence delle Olgettine, il Giornale pubblica un articolo dal titolo: “La doppia morale della Boccassini”. Si ricorda un episodio accaduto nel 1982. Un bacio. Nulla più. Tra l’allora giovane pubblico ministero e il suo fidanzato ufficiale, un ex giornalista di Lotta continua. Effusioni in strada, vicino a Palazzo di Giustizia. Ilda Boccassini finisce davanti alla sezione disciplinare del Csm.
TUTTO SI SGONFIA. Ma il Giornale rilancia la sua “doppia morale” nei giorni più caldi dell’inchiesta sulle cene eleganti di Arcore. Sempre Ilda “la rossa” è il bersaglio di un altro giornale berlusconiano. Si tratta del settimanale Chi diretto da Alfonso Signorini. Nel dicembre 2012, in prima pagina la fotografia del magistrato mentre fa shopping in via Montenapoleone. E come per Mesiano, ci si fissa sui particolari privati: le calze di lana multirighe e un mozzicone di sigaretta gettato per terra. Scandalo. E ancora: una foto di Che Guevara nello studio di Anna Argento, presidente della prima sezione della Corte d’assise di Roma, merita un ampio articolo su il Giornale. Motivo? Il 23 febbraio 2013 il magistrato ha respinto il deposito della lista Pdl per le elezioni regionali perché consegnata in ritardo. Intervistata dal Tg3, dietro di lei compare la foto del Che. Nel 2003 il Giornale ospita l’ira di Cesare Previti condannato nel processo Imi-Sir. Il giudice Paolo Carfì scrive la sentenza. Nell’agosto di quello stesso anno vengono rese note le motivazioni. Carfì viene attaccato. “La sentenza – scrive Previti sul Giornale – è una ritorsione”. Sceglie l’i ro n i a un altro condannato come Attilio Pacifico. “Carfì doveva fare il Papa”. Insomma, il copione è sempre lo stesso. Ultima vittima il giudice Esposito che, stando al racconto del cronista del Giornale, alla serata del 2009 si presenta così abbigliato: “Cravatta impataccata e camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera”. Una piccola variante al calzino turchese di Raimondo Mesiano.