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 2013  agosto 04 Domenica calendario

TEMPI DI MAGRA PER LA GRAZIA RE GIORGIO IL MENO GENEROSO

I numeri non tranquilliz­zano i fan della grazia a Silvio Berlusconi: Giorgio Napolita­no è il presidente della Repubblica più restio a ricorrere a que­sto istituto controverso e vaga­mente monarchico. Soltanto 23 le grazie concesse a fronte di 2.688 richieste, con una percentuale dello 0,88. E pensare che i primi sette munifici presidenti, fino a Francesco Cossiga, han­no firmato ben 41.840 grazie, con il picco di 15.578 del pri­mo, Luigi Einaudi. Le maglie si strinsero con Oscar Luigi Scal­faro (339) e Carlo Azeglio Ciampi (72).
Se il progressi­vo­ ridursi del nu­mero dei graziati è sostanzialmen­te la conseguen­za dell’introdu­zione di­ nuovi be­nefici penitenzia­ri e di misure al­ternative alla de­tenzione, il con­tagocce usato da Napolitano è fi­gli­o della senten­za della Corte Co­stituzionale 200 del 2006, a cui Re Giorgio si è sem­pre attenuto. Era­no i giorni della querelle tra Ciampi, che voleva liberare Ovidio Bompressi, l’ex militante di Lotta Continua con­dannato in via definitiva per l’omicidio del commissario Lui­gi Calabresi nel 1972, e l’allora ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, che si rifiuta­va di controfirmare l’atto; e la Consulta dette ragione al capo dello Stato, conferendo una vol­ta per tutte a questi l’unica tito­larità del diritto di grazia, fino ad allora in bilico tra inquilino del Quirinale e Guardasigilli. Il capo dello Stato, spiegò la Con­sulta, rappresenta l’unità nazio­nale ed è fondamentalmente estraneo al «circuito dell’indi­rizzo politico-governativo». E la grazia non è gesto con valen­za politica ma essenzialmente umanitaria, ciò che non fa ben sperare riguardo alla sua con­cessione a Silvio Berlusconi. Co­sì come sembrerebbe allonta­narla il fatto che, secondo la dot­trina della sentenza 200, totem di Napolitano, la grazia non vie­ne mai concessa a breve distan­za dalla sentenza definitiva di condanna, visto che così sareb­be «un ulteriore grado di giudi­zio che non esiste nell’ordinamento e determinando un evi­dente pericolo di conflitto tra poteri».
Insomma, la grazia Napolita­no­style è un sentiero stretto e tortuoso, contrariamente al passato, quando è stata conces­sa a personaggi spesso discuti­bili. Come Graziano Mesina, il più famoso bandito sardo del dopoguerra, graziato nel 2004 da Ciampi dopo oltre 40 anni di carcere e arrestato lo scorso giu­gno perché sospettato di essere a capo di un’organizzazione criminosa dedita a furti e traffi­co di stupefacenti. O come Rina Fort, che nel 1946 uccise a Mila­no la moglie e i tre figli del suo amante: fu graziata da Leone nel 1975 dopo oltre 28 anni di carcere. Luciano Lutring, il «so­lista del mitra» scomparso nel maggio scorso, fu perdonato nel 1977 da Giovanni Leone, «doppiando» la grazia già otte­nuta dal presidente francese Georges Pompidou. E l’ergasto­lano Renzo Ferrari, «il veterina­rio del bitter» che aveva ucciso nel 1962 il marito della sua amante con un aperitivo alla stricnina? Nel 1986 Cossiga gli aprì le porte del carcere. Altro graziato eccellente fu Mario Toffanin, partigiano comuni­sta condannato all’ergastolo in contumacia per l’eccidio di Porzûs in cui vennero trucidati 17 partigiani cattolici. L’ex partigiano Pertini lo graziò nel 1978 malgrado non avesse mai più avuto il coraggio di mettere pie­de in Italia pur beneficiando della pensione italiana. Caso da film quello di Elisa Spinelli, una zingara che, come Sofia Lo­ren in Ieri, Oggi e Domani, sfor­nava figli su figli per evitare il carcere. Fu graziata da Cossiga. Graziato mancato fu Renato Vallanzasca, il quattro volte er­gastolano a cui fu negata pro­prio da Napolitano. Stesso de­stino anche per Bruno Contra­da, il superpoliziotto condan­nato­ per concorso esterno in as­sociazione mafiosa, che si rifiu­tò di chiederla perché innocen­te («dallo Stato mi aspetto un gra­zie, non la gra­zia»). Lo fece per lui - ma invano -il suo legale.
C’è poi il ricco e controverso ca­pi­tolo dei terrori­sti. Di Bompressi abbiamo detto. Pertini concesse la grazia nel 1985, alla fine del suo mandato, a Fiora Pirri Ardiz­zone, ex moglie del leader di Pote­re Operaio Fran­co Piperno, ge­sto che suscitò aspre polemi­che. Perdonati in vari momenti Marco Pisetta, considerato il pri­mo eversore «pentito», e gli ex brigatisti Pao­lo Baschieri, Claudio Cerica, Annunziata Francola, Paolo Maturi, Domenico Pittella, Ma­nuela Villimburgo, Marinella Ventura. Non riuscì a beneficia­re della grazia Renato Curcio, fondatore e ideologo delle Br: Cossiga annunciò di volerglie­la concedere come atto simboli­co di chiusura degli anni di piombo ma il suo gestò naufra­gò tra le proteste delle vittime del terrorismo, le polemiche po­litiche e l’op­posizione dell’allo­ra Guardasigilli Claudio Martel­li. Niente grazia nemmeno per Adriano Sofri, leader di Lotta Continua condannato nel 1990 come mandante dell’omicidio Calabresi ma sempre dichiara­tosi estraneo alla vicenda. Co­me Contrada, Sofri si è rifiutato di chiedere lo sbianchettamen­to della pena, ma un movimento di pensiero lo invocò a gran voce. Ciampi sembrava deciso ma la sua clemenza si incagliò nella querelle con Castelli.