Paul Krugman, il Sole 24 Ore 4/8/2013, 4 agosto 2013
A CHI FA PAURA LA «BICICLETTA PONZI» DI
PECHINO? –
Quant’è preoccupante il rallentamento economico cinese? Recentemente mi sono trovato a usare diverse metafore per spiegare essenzialmente gli stessi punti che avevo evidenziato in un articolo sull’economia cinese scritto all’inizio del mese. Uno di questi punti è che l’economia cinese, col suo basso livello di consumi e il suo alto livello di investimenti, in un certo senso si può paragonare a uno schema Ponzi. Le imprese investono senza sosta non per sviluppare la capacità di servire i consumatori, ma per soddisfare gli acquirenti di beni di investimento, puntando in definitiva a cogliere i frutti di investimenti futuri e potenziando ulteriormente la capacità produttiva.
Ci saranno mai degli acquirenti finali per tutto ciò che un sistema di tale capacità potrebbe produrre? Non è chiaro. Una specie di schema Ponzi, appunto.
Mi preoccupa anche il fatto che la Cina non riesca a rallentare, come un’economia in bicicletta che, se smette di avanzare, cade. E, naturalmente, ho paragonato lo scomparire dei braccianti agricoli disposti ad accettare bassi salari a un muro che si alza.
Ecco che la "bicicletta Ponzi" della Cina sta per schiantarsi contro un muro di mattoni (brick wall). E la piovra fascista ha intonato il suo canto del cigno.
Scenari di crisi economica. Supponiamo che sia nel giusto chi oggi teme che la "bicicletta Ponzi" della Cina stia per sbattere contro un muro di mattoni (brick o meglio Bric, come alcuni lettori hanno suggerito). Quanto deve preoccuparsi il resto del mondo, e perché deve preoccuparsi?
Risponderò distinguendo tre tipi di riflessi:
eMeccanici, attraverso le esportazioni, sorprendentemente ridotti;
rSul prezzo dei prodotti di base, potenzialmente più importanti;
t Politici e sulla stabilità internazionale, con gravi rischi collegati.
Per quanto riguarda i primi, quelli a cui molti pensano subito: l’economia cinese zoppica, la Cina compra meno dal resto del mondo e la conseguenza è una crisi mondiale. Ma forse non così grave.
Alcuni rapidi conti, sommari ma che ritengo utili: nel 2011 il prodotto interno lordo combinato di tutte le economie mondiali, senza la Cina, ha superato di poco i 60mila miliardi di dollari. Nello stesso periodo, le importazioni cinesi di beni e servizi sono state di circa 2mila miliardi di dollari, intorno al 3% del prodotto interno lordo del resto del mondo.
Ora, supponiamo che l’economia cinese, in relazione al suo trend, subisca un rallentamento del 5 per cento. Le importazioni subirebbero un calo superiore; le stime consuete dell’elasticità delle importazioni in relazione al reddito (il cambiamento percentuale nell’import derivante da una variazione dell’1% del prodotto interno lordo, a parità di altri fattori) sono intorno a 2. Quindi dovremmo aspettarci un calo del 10% nelle importazioni cinesi: uno shock negativo per il resto del mondo pari a un decimo del 3%, cioè allo 0,3% del prodotto interno lordo. Non irrilevante, ma neanche catastrofico.
E anche questa stima probabilmente è esagerata, perché una buona parte delle importazioni cinesi riguarda componenti per prodotti da esportazione e non dipende dalla domanda interna.
Come ho detto, quindi, i riflessi meccanici attraverso i flussi commerciali sarebbero relativamente scarsi, anche se potrebbero aumentare molto per alcuni Paesi vicini della Cina (ma essere minori per gli Stati Uniti).
I prezzi dei prodotti di base - quindi il secondo tipo di riflessi - costituiscono un problema potenzialmente maggiore. La Cina è il più grande consumatore di materie prime, aggiudicandosi ad esempio l’11% del consumo mondiale di petrolio. Una brusca caduta nella domanda cinese potrebbe comportare forti cadute nei prezzi delle materie prime. Perciò l’impatto della "bicicletta Ponzi" potrebbe colpire più i Paesi che vendono materie prime (alla Cina o ad altri) che non gli esportatori cinesi.
Passiamo infine alla politica e alle relazioni internazionali, il terzo genere di riflessi del rallentamento economico cinese. Non sono certo un esperto in materia. Ma è del tutto evidente che il regime cinese si distingue, anche considerando gli annali della storia, per l’ipocrisia della sua posizione: ufficialmente sta costruendo il futuro socialista, in pratica presiede un’"età dorata" del capitalismo clientelare. Ma allora, da cosa è legittimato il regime? Soprattutto dal successo economico. Se tale successo declina, che succede?
E, se davvero volete preoccuparvi, pensate alle soluzioni spesso adottate in passato dai governi nel cinico tentativo di distogliere la popolazione dai propri fallimenti interni. Una bella dimostrazione di forza su qualche isola, per esempio?
Traduzione di Elisa Comito