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 2013  agosto 05 Lunedì calendario

ROMA —

Professor Giuliano Urbani, ha sentito? Silvio Berlusconi ha detto che il governo Letta non deve cadere...
«E ha fatto bene, dal suo punto di vista. C’è un doppio interesse, in questa scelta. Non far apparire che i suoi interessi personali prevalgano su quelli del Paese. Il dazio politico che pagherebbe facendo saltare il tavolo sarebbe altissimo. Il secondo interesse è cercare di condizionare questo governo. Ma temo sia un’impresa vana».
E perché?
«Perché questo governo nasce grazie al miracolo compiuto da Napolitano. È composto anche da ottime persone. Ma non riesce né a mettere a posto i conti né a migliorare il clima della vita pubblica. Un governo anche nobile ma velleitario, insomma... Lo dico con dispiacere, sono un ammiratore di molti di questi giovani pieni di entusiasmo, penso che Enrico Letta sia uno dei migliori della sua generazione. Ma stanno tutti insieme come i capponi di Renzo. Se potessero si cannibalizzerebbero... Infatti Berlusconi non fa cadere il governo non perché meriti di restare al suo posto ma proprio perché il prezzo politico sarebbe insostenibile».
Più colpa del Pd o del Pdl se il governo Letta, lei dice, non riesce a risolvere i veri problemi?
«Quando un matrimonio naufraga, la colpa è di chi si è sposato. Cioè di tutti e due i coniugi».
A suo avviso, a questo punto, Berlusconi deve farsi da parte o deve continuare a esercitare la sua leadership da «prigioniero libero», come immagina Giuliano Ferrara?
«Ha ragione Giuliano. Deve continuare a sostenere il suo ruolo. Se si facesse da parte, una quota molto cospicua dell’elettorato italiano si troverebbe senza un punto di aggregazione, senza una certezza di sostanza politica. Io non augurerei mai a un Paese che amo di ritrovarsi con un vuoto di rappresentanza politica, una prospettiva ben più grave della situazione che stiamo vivendo».
Ma Berlusconi non potrebbe, nel frattempo, pensare alla successione, magari preparando la figlia Marina?
«Mi pare un’operazione di cui è inutile parlare ora. Berlusconi è insostituibile per carisma e capacità di aggregazione. E’ una sua caratteristica molto forte».
Vi sentite ancora, lei con Silvio Berlusconi?
«Con Berlusconi non ci sentiamo ormai da molto tempo. Resto inevitabilmente un politologo ma sono uscito, con la testa, dalla politique politicienne , dalla politica ‘fatta’. E sinceramente mi imbarazza anche pensarci, se mi capita».
Berlusconi ha riproposto l’inno e il simbolo di Forza Italia, ieri in via del Plebiscito. Servirà a qualcosa questo ripristino?
«Forse può restituire un po’ di entusiasmo a chi non lo ha ancora definitivamente perduto dal 1994, ma non molto di più. La situazione italiana è diversissima da allora non solo nei rapporti di forza ma anche nei bisogni. Oggi il Paese avrebbe bisogno davvero di una riforma della giustizia ma ci vorrebbe un accordo solido e vasto. E lo stesso Berlusconi non riesce a spiegare efficacemente al Paese perché è necessaria la separazione delle carriere, o la questione della responsabilità dei magistrati. È un suo limite. Ma stiamo parlando di piccole cose, in fondo, rispetto alle grandi».
E quali sarebbero le grandi?
«Sicuramente ora lo scontento sociale e lo scontento fiscale: se si arriva al livello di tassazione del 54% del reddito, si gioca con i cerini accanto alle taniche di petrolio. E poi, tra poco, arriverà il conto del fallimento dell’Unione europea e dell’euro. Non si possono offendere i fondamenti delle istituzioni pensando alla moneta prima della realtà politica... comunque l’Italia arriverà in frantumi all’appuntamento con la crisi europea e internazionale. E verremo trattati, come direbbe Giuseppe Gioachino Belli, “come li vaghi de caffè ner macinino ”».
Paolo Conti