Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 5/8/2013, 5 agosto 2013
La tesi dello storico Giovanni Orsina, illustrata in un volume che ha suscitato molta curiosità anche all’estero, è che «Berlusconi è piaciuto agli italiani perché ha incarnato una società civile migliore della politica
La tesi dello storico Giovanni Orsina, illustrata in un volume che ha suscitato molta curiosità anche all’estero, è che «Berlusconi è piaciuto agli italiani perché ha incarnato una società civile migliore della politica. Sfrontato e impudente, rompeva la tradizione di classi politiche - liberali, fasciste e repubblicane - che si proponevano di rieducare la società civile». La tesi regge alle ultime vicende? «La avvalorano. La strategia rispetto alla condanna è: io sono il simbolo degli italiani che producono e creano lavoro, perseguitati da un potere pubblico oppressivo». Anche da pregiudicato? «Dopo gli Anni 80, in cui la società civile era cresciuta enormemente e quella politica non si era dimostrata migliore, gli italiani stufi delle teorie pedagogiche delle élite si identificarono in Berlusconi. Vedremo se oggi ci credono ancora». Tra il 2008 e il 2013 ha perso oltre sei milioni di voti. «Mi pare più sorprendente che ne abbia tenuti sette. Alla fine del 2011 era politicamente morto. Poi di questi sei milioni che ha perduto verso l’astensione, Monti e Grillo (due fenomeni in crisi) quanti rientrerebbero a casa oggi?». Il berlusconismo esiste ancora? «Fino al 2005 la sua retorica era incentrata sul sogno e proiettata nel futuro. Poi è proiettata nel passato e incentrata sulla paura. Nelle intenzioni di voto del 2001, la componente programmatica è forte; dal 2006 scompare. Da quel momento siamo nel post berlusconismo». Dopo le elezioni del 2013, il Berlusconi «responsabile» è una terza fase? «No, è tutto molto strumentale. Siamo in una lunghissima fase finale, il suo problema è come uscirne salvaguardando al meglio ciò che ha prodotto in termini politici e aziendali. Le larghe intese sembravano garantirlo di più. Non c’è mutamento ideologico, ma strategico. Tanto che l’altra ideologia, populista e movimentista, resta un cavallo di riserva». E dove porta il cavallo di riserva? «A un ennesimo referendum su se stesso, costruito sullo schema del ritorno al ’94, con Forza Italia e il cittadino-imprenditore-eroe contro le istituzioni oppressive che l’hanno persino condannato al carcere». Quindi la condanna gli fa gioco? «Per chi non si fida dei magistrati, non è un delinquente, ma un perseguitato. Lo dico sempre ai corrispondenti dei giornali anglosassoni, che non capiscono come i guai giudiziari non intacchino il consenso. Milioni di italiani non si fidano dei giudici». Non c’entrano, anche sul radicamento dell’opinione anti giudici, il potere mediatico e conflitto di interessi? «C’entrano moltissimo, ma sono condizioni necessarie non sufficienti: la comunicazione amplifica, non costruisce. Non per accostare i personaggi, ma come paragone storico: Hitler aveva un controllo sui media che Berlusconi se lo sogna, ma gli studi dimostrano che i media nazisti funzionavano da cassa di risonanza di convinzioni già presenti nell’opinione pubblica tedesca. I media devono appoggiarsi su una sostanza, altrimenti non reggono per vent’anni. Ingroia non l’hanno inventato le reti Mediaset. Quanti danni ha fatto all’immagine della magistratura». Pensa che Berlusconi stia saltando sul cavallo elettorale? «L’opzione più probabile è proseguire con le larghe intese. Le mazzate giudiziarie lo colpiscono, ma può ancora pensare di garantirsi una protezione politica e aziendale. L’ordalia finale è suggestiva ma gravida di rischi». Ma nel frattempo diventerà ineleggibile. Che ne sarà del centrodestra? «Dubito ci sia un partito in grado di reggere senza Berlusconi. Non c’è un canale di riproduzione della classe politica, perché il Pdl è scarso a livello locale, dove la classe politica si forma, Renzi docet. La cultura, che alla fine degli Anni 90 si era coagulata attorno a Forza Italia, è quasi sparita. Esiste un po’ di classe dirigente, meno indegna di quanto si pensi, ma piccola e dilaniata: i colonnelli finirebbero come i capponi di Renzo, come s’è visto nel 2012. E non c’è nemmeno una soluzione istituzionale alla De Gaulle». Dopo di lui il diluvio? «Ragiono in astratto. Serve un nuovo leader. Ma chiunque avrebbe tutti i difetti di Berlusconi senza i pregi, non pochi trattandosi di un fuoriclasse. Inoltre non gli darebbe garanzie di tutela aziendale. S’è visto con Alfano: in politica ognuno fa il suo gioco». E quindi? «Quindi non resterebbe che Marina».