VARIE 4/8/2013, 4 agosto 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - IL COMIZIO DI BERLUSCONI
CORRIERE.IT
Via del Plebiscito è chiusa da ambo i lati, gli astanti sono 1500 circa e poco meno sono le bandiere della vecchia Forza Italia che sventolano davanti al palco allestito sotto Palazzo Grazioli. Gli occhi sono tutti rivolti in quella direzione, in attesa del "condannato" o del "perseguitato" secondo i punti di vista: Silvio Berlusconi. Che si palesa alle 18.16 accompagnato dalle note dell’inno nazionale.
«Il vostro affetto mi ripaga di tanti dolori. Se avete sfidato il caldo di un 4 agosto, sento di dovermi impegnare ancora per voi».
SOSTEGNO A LETTA - E continua, sostenuto dal suo popolo: «Nessuno ci venga a dire che questa è una manifestazione eversiva. O che noi siamo irresponsabili. Il governo deve andare avanti, il parlamento deve andare avanti per approvare i provvedimenti economici adottati». Pieno sostegno a Letta dunque.
«IO SO-NO IN-NO-CEN-TE»- Poi Berlusconi torna sul tema della manifestazione: «In questi giorni ho sofferto come non mai. Ma ve lo dico, chiaro e tondo». E scandisce le sillabe: «Io so-no in-no-cen-te. Io non ho mai fatto fatturazioni false. E non ho mai chiamato la mia azienda mentre ero presidente del consiglio, perché avrebbero sollevato la questione del conflitto d’interesse»
«GIUDICI IDEOLOGIZZATI»- Poi l’attacco contro i giudici: «Una parte della magistratura appartiene a una corrente fortemente ideologizzata. Che nei suoi atti dichiara che i suoi aderenti devono usare il loro terribile potere di togliere la libertà di un cittadino, per aiutare il popolo ad avere la democrazia. E la democrazia» per i giudici «si ha solo con la sinistra il governo». E rilancia il vecchio schema: «La magistratura ha eliminato i partiti della prima Repubblica, poi me. Una condizione che si ritrova soltanto nei regimi».
«IO NON MOLLO»- E, dopo un quarto d’ora, ringrazia di nuovo il suo popolo. «Che non ha invidia». E promette: «Io resto qui, io non mollo, combatteremo tutti insieme questa battaglia di democrazia e di libertà». Berlusconi dice tre volte «grazie», ripartono gli inni e sventolano le bandiere. Per ora il sostegno al governo continua.
Manifestanti arrivati da tutta Italia si posizionano sotto il palco davanti a Palazzo Grazioli, residenza romana di Silvio Berlusconi. Il «popolo» di Silvio è arrivato in bus: i pullman hanno sostato a Villa Borghese, su lungotevere Flaminio, nei parcheggi del Gianicolo. Caos e mobilità difficile a causa delle chiusure nel centro di Roma si sono avute da piazza della Repubblica a via del Teatro Marcello
I manifestanti hanno indossato maschere di cartone con il volto di Berlusconi: «Siamo tutti Silvio»
IL PALCO NON ERA AUTORIZZATO (CORRIERE.IT)
Tutta la zona è militarizzata. Camionette di polizia e carabinieri fin su via IV Novembre. E via del Plebiscito chiusa con la circolazione dei bus stravolta. Come il giorno della sentenza della Cassazione. Tutto per la manifestazione del Pdl sotto Palazzo Grazioli, residenza romana di Silvio Berlusconi, dove un megapalco è stato tirato su in quattro e quattr’otto e da almeno una mezz’ora le note di «Meno male che Silvio c’è» risuonano in piazza Venezia e dintorni.
«NESSUNA AUTORIZZAZIONE» - Ma il Campidoglio «non ha mai autorizzato un palco per il comizio in via del Plebiscito di Silvio Berlusconi per il semplice motivo che non ha ricevuto una richiesta in proposito». Lo fa sapere l’ufficio stampa del sindaco di Roma Ignazio Marino che spiega: «Il sindaco ne ha informato il Prefetto. Il Campidoglio è e sarà sempre disponibile a valutare ogni richiesta di occupazione di suolo pubblico ma solo seguendo le procedure corrette e rimanendo nell’ambito della legalità, valore a cui questa amministrazione tiene molto». Risponde subito Fabrizio Cicchitto: «Mi spiace constatare che con le sue polemiche di stampo burocratico sul palco della manifestazione a sostegno di Silvio Berlusconi il sindaco Marino dimostri di essere un cretino».
IL PALO SEGATO - Non basta. Per montare il palco, alcuni operai hanno tolto segandolo un palo che reggeva un cartello stradale sul marciapiede davanti a Palazzo Grazioli, come si vede dalle foto pubblicate da Corriere.it. Interviene l’assessore ai Lavori Pubblici di Roma Capitale Paolo Masini: «Se fosse tutto confermato sarebbe cosa di gravità inaudita, che si aggiunge alla vicenda del palco non autorizzato». «Con l’arroganza che lo ha contraddistinto, Berlusconi continua a gestire il bene comune come se fosse casa propria - ha aggiunto -. Proporrò personalmente, come stiamo facendo per chi imbratta i nostri muri, che sia Berlusconi in persona a ripristinare i pali stessi all’interno delle misure alternative al carcere, come lavori socialmente utili».
DA TUTTA ITALIA - Intanto decine di bandiere con il simbolo di Forza Italia sono state srotolate da manifestanti provenienti da tutta Italia. A Termini e alla stazione Tiburtina in particolare, arrivati alcuni dei pullman previsti per l’arrivo dei manifestanti nella Capitale. Posti per decine di pullman sono stati predisposti anche in piazza SS.Apostoli che infatti è stata tutta transennata.
Ufficialmente si chiama "Tutti per Silvio", ma su Twitter l’attesa per la manifestazione del Pdl di domenica pomeriggio si commenta con l’hashtag #guerracivile. Ironizzando sulle parole di Bondi, che all’indomani della sentenza Mediaset aveva ipotizzato «forme di guerra civile» se non si dovesse trovare una soluzione politica ai guai giudiziari di Berlusconi
FAMIGLIA CRISTIANA
«Dopo avergli espresso affettuosa solidarietà, fatta anche di piaggeria e sudditanza, e dopo aver elaborato il lutto, sarebbe bene che a chiedergli di fare un passo indietro, e questa volta per sempre, fossero proprio i parlamentari» di Silvio Berlusconi. Lo afferma Famiglia Cristiana in un editoriale del direttore Antonio Sciortino.
IL «PATETICO» RITORNO AL PASSATO - In ballo, spiega Sciortino, non c’è solo il futuro politico dell’ex presidente del Consiglio, ma «la stessa sopravvivenza del Centrodestra e dei milioni di cittadini che, finora, l’hanno votato». E sottolinea: «Non serve, a risollevare le sorti, il patetico e nostalgico annuncio di un ritorno al passato e a una nuova «Forza Italia» con promesse già consunte prima ancora di cominciare». Il Pdl dovrebbe dimostrare al contrario, secondo Sciortino, «che all’ombra del padre-padrone è cresciuta una nuova classe politica di destra, matura e preparata» lontana dalla «logica devastante del detto: muoia Sansone e tutti i Filistei».
REPUBBLICA.IT
ROMA - Il Pdl scende in piazza a Roma contro la condanna della Cassazione a Silvio Berlusconi nel processo Mediaset. Una manifestazione che i pidiellini hanno definito di "solidarietà" verso il loro leader. E allora, ovviamente, tra i più solidali ecco Daniela Santaché, Michaela Biancofiore, Mariastella Gelmini, Maurizio Gasparri, e i capigruppo Brunetta e Cicchitto. Insomma, tutti o quasi. Ministri a parte, come annunciato ieri dal titolare delle Infrastrutture Maurizio Lupi.
I manifestanti, arrivati da tutta Italia alla spicciolata, sventolando le bandiere di Forza Italia in nome dei vecchi tempi e di quelli che, come ha annuciato Berlusconi, saranno, aspettavano la sua apparizione e il suo discorso. Applausi, cori, spasimi. E lui non si è fatto attendere molto. Alle 18.15, dopo l’inno nazionale di rito, sale sul palco di via del Plebiscito e comincia a parlare: compiaciuto, con la commozione dovuta, ha esordito ringraziando "dell’affatto che ripaga giorni di pene e dolori". Poi un crescendo di dichiarazioni: la promessa di impegnarsi "ancora con più entusiasmo e più passione"; la frenata su un’eventuale crisi perché "il governo deve andare avanti ed approvare i provvedimenti economici"; e la dichiarazione che la folla plaudente accoglie come un gol segnato all’avversario: "Vi devo dire, guardandovi negli occhi come ho fatto con i giudici, io sono innocente, non c’è mai stata una falsa fatturazione in Mediaset". Grida di giubilo. "La sentenza mi punisce indebitamente", continua Berlusconi, e con un passaggio semplice si lancia nel pezzo più famoso del repertorio: "C’è una parte della magistratura che appartiene a una corrente della magistratura fortemente politicizzata", dice. "Secondo loro la democrazia, il popolo, ce l’ha solo se c’è la sinistra al governo. La magistratura ha tentato di buttarmi fuori per 20 anni dalla politica, ora hanno raggiunto il loro traguardo".
Ma chi lo acclama non deve temere: "Voglio farvi una promessa: io sono qui, resto qui e non mollo". garantisce il Cavaliere. "Negli anni che ancora mi restano continuerò a combattere la nostra battaglia per la democrazia e la libertà". E ha proseguito: "C’è "una magistratura fatta di impiegati statali che hanno fatto un compitino, vincendo un concorso, e che ora sono liberi, indipendenti, irresponsabili perché non subiscono nessun controllo e mettono sotto gli altri poteri dello Stato, quello esecutivo e quello legislativo. E’ una condizione che si ritrova solo nei regimi. Non possiamo accettare che ci dicano di non criticare una sentenza, una magistratura che non è potere dello Stato. I poteri dello Stato seguono alle elezioni".
Poi il riferimento alla Costituzione: "Nella nostra Costituzione c’è scritto che la sovranità appartiene al popolo non c’è scritto come dovremmo credere che l’articolo 1 dica che la sovranità appartiene alla magistratura che la esercita come vuole, questo è ciò che dovrebbe essere scritto nella Costituzione vedendo la per la dolorosa realtà".
Ai manifestanti quindi il Cavaliere dà ulteriore carica: "Siamo l’unico baluardo contro un regime illiberale e giustizialista". E con la promessa che non dimenticherà mai questa giornata, aggiunge: "La mia riconoscenza va verso di voi verso ciascuno di voi per la commozione che mi avete creato". Poi manda ai presenti un abbraccio e dice "Grazie, grazie, grazie ancora". La guerra civile, evocata ieri dal coordinatore del partito Sandro Bondi e richiamata da vari altri colleghi del partito, sfuma come il coro "Menomale che Silvio c’è".
DAL CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA
LA LEGGE SEVERINO NON È RETROATTIVA
ROMA — Mercoledì la giunta delle Elezioni del Senato, che a questo punto deve esaminare e votare la causa di incandidabilità e quindi la decadenza del condannato Silvio Berlusconi, probabilmente si arenerà dopo una raffica di interventi di senatori del Pdl e della Lega. La linea della difesa del Cavaliere per prendere tempo è semplice e l’ha già esplicitata Carlo Giovanardi (Pdl): «Un senatore può essere sottoposto a un voto dell’assemblea che ne riconosca la ineleggibilità sopravvenuta soltanto se condannato per reati commessi successivamente al dicembre 2012». In altre parole, sostiene il senatore Giovanardi, la legge Severino che stabilisce l’ineleggibilità per i condannati a pene superiori ai due anni non sarebbe applicabile ai reati commessi prima della sua definitiva entrata in vigore. Che è avvenuta nel dicembre del 2012 con il decreto attuativo varato dal governo Monti. La tesi della irretroattività della legge Severino è comunque sposata dal costituzionalista Giovanni Guzzetta: «È una norma che suscita notevoli dubbi di costituzionalità e di una possibile violazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo». Invece Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, è di diverso parere: «La ratio della legge Severino è di impedire l’ingresso o la permanenza in Parlamento di chi sia stato condannato per determinati tipi di reato a una certa quantità di pena. E poi quando l’assemblea è investita dell’esame della causa di decadenza non ha un potere di scelta politica, se far decadere o meno il soggetto. Deve solo applicare la legge». Per Felice Casson (Pd), alla fine prevarrà la tesi di Onida ma in questo modo il Pdl avrebbe trovato il modo di rinviare il primo voto in giunta all’8-9 settembre.
D.Mart.
DALL’ARTICOLO DI MARZIO BREDA
oggi, giorno della manifestazione di piazza organizzata dal centrodestra, non ci sarà alcuna udienza sul Colle. I capigruppo Renato Brunetta e Renato Schifani saranno ricevuti in un contesto protocollare (e, appunto decongestionato, sperando che dalla piazza romana non echeggino intollerabili spropositi avventuristi), all’inizio della prossima settimana. Forse già domani, dopo che — per bocca dello stesso Brunetta — hanno annunciato di volersi limitare a descrivere «la situazione drammatica in cui è precipitata la democrazia nel nostro Paese». Stavolta senza più accennare alla grazia, ma lasciando intendere che i loro ragionamenti si concentreranno sulle condizioni in cui il Cavaliere sconterà la condanna (non tali da inibirgli l’attività politica come sarebbe se si applicasse la legge Severino).
Un mezzo, e provvisorio, passo indietro, quindi. Che da solo ovviamente non basta ad azzardare quali margini di ricomposizione della crisi esistano. Starà al capo dello Stato, al termine della sua ricognizione, soppesare se e quanto il quadro sia compromesso. Spetterà a lui riequilibrare la partita e non è pertanto un caso che adesso il mantra di un Quirinale chiusissimo si limiti a raccomandare a tutti «calma e gesso», con l’ansia di negare l’emergenza anche perché «al di là delle parole, per ora non ci sono stati strappi». Per la sopravvivenza del governo, molto potrebbe dipendere da quella riforma della giustizia alla quale si è riferito Napolitano nella nota che ha fatto diffondere dopo il pronunciamento della Cassazione, e che gli è costata qualche sospetto e critica. Per realizzarla serve però che il Pdl non sia animato da propositi ritorsivi, e che il primo interessato, cioè Berlusconi, se ne tenga fuori.
Se si riuscirà a tenere a bada l’emotività, l’esecutivo può ridare senso alla propria missione. Di questo hanno parlato in serata al telefono il presidente e il premier, «con l’obiettivo di mettere in sicurezza il governo e gli impegnativi provvedimenti che lo attendono in autunno» Altrimenti, nell’ipotesi che l’impazzimento continui e che si punti dritto allo sfascio, non si può escludere che Napolitano — sempre orientato per temperamento a spiegare i propri passi — spieghi quello che accade al Paese attraverso un messaggio. Che avrebbe giocoforza il senso di un estremo appello alla responsabilità.
Marzio Breda
SERVIZI SOCIALI O NO
MILANO — Chiedere l’affidamento ai servizi sociali, magari a un istituto religioso, come quello di Suor Silviana, la zia Bice che lo consigliava nei momenti difficili. Oppure no: «Andare in carcere». Da giovedì, giorno del giudizio, si cerca di capire cosa farà Silvio Berlusconi. In carcere non ci andrà, in virtù dei suoi 76 anni e della legge «svuotacarceri». Entro metà ottobre dovrà però scegliere come scontare l’anno di pena (gli altri tre sono coperti da indulto): domiciliari o affidamento in prova ai servizi sociali.
«Perché se poi mi affidassero ai servizi sociali, il massimo che potrei fare sarebbe andare di sera per strada a spiegare alle signorine che devono cambiare vita», era la frase che i retroscena gli attribuivano alla vigilia dell’udienza in Cassazione. Nonostante il momento drammatico, non aveva perso il senso dell’ironia per ribadire, come ha fatto anche in un’intervista a Libero, che non accetterà «di essere affidato ai servizi sociali, come un criminale che deve essere rieducato». Eppure tra i domiciliari, che prevedono la permanenza in casa salvo particolari permessi, e l’affidamento ai servizi sociali, «quest’ultimo ha obblighi sicuramente più lievi, che il magistrato può modulare con maggiore flessibilità», assicura l’avvocato Corrado Limentani, esperto di esecuzione penale.
Se Berlusconi facesse richiesta di affidamento, e se il Tribunale di Sorveglianza lo accordasse, «dovrebbe vedere periodicamente gli assistenti sociali a cui è affidato, potrebbe subire il divieto di uscire dalla provincia di residenza senza permessi o di frequentare certi luoghi o certe persone, come i pregiudicati. Avrebbe però buona parte della giornata a disposizione (solitamente si va dalle 7 fino alle 22 o 23, dopodiché potrebbero arrivare i carabinieri a controllare che sia effettivamente in casa) per muoversi e lavorare, sempre che il magistrato non riscontri rischi di reiterazione del reato». E soprattutto «potrebbe continuare a fare politica», spiega l’avvocato: anche restando presidente del suo partito, sia esso il Pdl o la prossima Forza Italia.
E a sentire gli esperti della materia, anche se chiedesse l’affidamento, non è scontato che nel futuro prossimo vedremo il Cavaliere impegnato nel volontariato o nel sociale, come abbiamo visto Cesare Previti, nel 2007, quando gli restavano da scontare un anno e 7 mesi, offrire consulenza legale gratuita a tossicodipendenti ed emarginati con il Ceis di Don Mario Picchi; o come Lele Mora, che presta servizio per Exodus di Don Mazzi.
«Un avvocato avveduto, di solito, consiglia al proprio assistito di fare attività di volontariato: la solidarietà come dimostrazione che si vuole risarcire la comunità», commenta Gianluca Maris, legale che ha seguito Mora e Fabrizio Corona. Ma non è necessario: «È obbligatorio riparare il danno procurato alla vittima, ma in questo caso può essere risolto economicamente. E le necessità dell’attività politica di un leader di partito potrebbero giustificare ampi margini di movimento e libertà». Corona ottenne, quasi un anno fa, il permesso di rientrare anche all’una di notte: era il suo lavoro, nella sua società in corso Como a Milano, a richiederlo (poi la misura fu revocata).
Berlusconi, insomma, potrebbe avere tutti i requisiti perché i magistrati concedano l’affidamento in prova anche senza attività di volontariato. Il termine per la richiesta è il 16 ottobre, poi ci vorrà qualche mese per la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Se no, per lui, scatteranno i domiciliari.
Renato Benedetto
LETTA ASPETTA
ROMA — La sottile linea rossa tra la vita e la morte del governo la traccia Enrico Letta, non più disposto a incassare dal Pdl minacce, provocazioni e ultimatum: la sacralità delle istituzioni è il confine e, pur di difenderlo da agguati e scorribande preelettorali, il presidente del Consiglio è pronto a giocarsi tutto.
«Nessuno tiri in ballo il Quirinale, in modo improprio e ricattatorio — avverte il capo dell’esecutivo — Per me è una questione dirimente». Alle 18 i sostenitori del Cavaliere disarcionato saranno sotto le finestre di Palazzo Grazioli e Letta, che giudica imperdonabili le parole di Sandro Bondi, aspetta l’evento con preoccupazione. Per questo fa sapere che ascolterà «con grande attenzione toni e contenuti dei discorsi», pronto a stoppare eventuali attacchi contro la magistratura o la presidenza della Repubblica.
I collaboratori lo descrivono «preoccupato, ma lucido», determinato a non farsi sfuggire di mano il timone. Concorda ogni mossa con Napolitano, ottiene da Epifani l’impegno a tenere sotto controllo i democratici e, da Alfano, la promessa che al sit-in non ci saranno ministri. Quindi decide di forzare i toni, lasciando cadere parole con cui non esclude di salire al Colle domani stesso per consegnare al capo dello Stato le sue dimissioni. Se Berlusconi tirerà troppo la corda, è il messaggio, il premier ne trarrà le conseguenze prima che si spezzi, lasciando al Pdl tutto il peso dell’irresponsabilità.
In attesa degli eventi l’agenda del presidente non cambia. Lo staff di Letta, anche per raffreddare il clima, smentisce una visita programmata per oggi al Quirinale, ma conferma il pranzo di domani con il governatore Visco e il ministro Saccomanni e la trasferta nel pomeriggio a Bolzano. Deciso ad andare avanti nelle cose da fare, «per il bene del Paese», Letta non intende però «restare con il cerino in mano». A Berlusconi, come ad Alfano, ha detto di avere grande rispetto e comprensione per le conseguenze politiche della sentenza Mediaset, ma ha alzato un muro e chiede che nessuno provi a scavalcarlo. Sposando la linea dura sulla quale Epifani ha ricompattato il Pd, il premier ha rinsaldato l’asse con il segretario democratico e ribadito che non resterà a Palazzo Chigi «a tutti i costi». Sulla richiesta di grazia per Berlusconi non dirà una parola, convinto che non ci siano soluzioni politiche a una sentenza giudiziaria.
È evidente il tentativo di conciliare prudenza e fermezza, rendendo chiaro che l’esperienza delle larghe intese continua se il governo è stabile e forte. Se invece quel che i partiti vogliono è innescare una pericolosa spirale di logoramento e instabilità, meglio andare tutti a casa. Eppure Paola De Micheli, deputata democratica molto ascoltata dal premier, spera che l’ala «razionale» dei berlusconiani riesca a sconfiggere i falchi: «Gli elettori del Pdl non vogliono votare. Le elezioni costerebbero un miliardo, l’Iva scatterebbe subito, salterebbe la delega fiscale che sta a cuore agli imprenditori... Gli italiani hanno paura dell’instabilità».
Con il centrodestra che accarezza le elezioni anticipate, anche il capo del governo si prepara a fare i conti con il nuovo scenario. Come dice Beppe Fioroni «il crollo dell’architrave che ha sorretto il sistema politico della seconda Repubblica provoca un grande movimento elettorale e nulla sarà più come prima». E dunque, se il Pdl trascinerà il Paese al voto, l’ex vicesegretario del Pd non rinuncerà a correre per la premiership, anche per non disperdere i risultati di questi cento giorni. Nel suo entourage il tema della discesa in campo si fa velocemente strada. Marco Meloni, deputato tra i più vicini al presidente, la vede così: «Se si torna al voto il Pd schiererà il candidato più forte e noi siamo convinti che Letta abbia un consenso molto alto nel Paese. I sondaggi lo premiano, anche i condizioni molto difficili come quelle attuali. Enrico è una risorsa in più, non c’è solo Matteo Renzi...».
Monica Guerzoni