Nicola Barone, Il Sole 24 Ore 3/8/2013, 3 agosto 2013
Forse perché ormai non sembra tanto una novità o forse per i pensieri saturi di incertezza a causa della crisi, gli italiani si sistemano come a distanza dalla sentenza di giovedì
Forse perché ormai non sembra tanto una novità o forse per i pensieri saturi di incertezza a causa della crisi, gli italiani si sistemano come a distanza dalla sentenza di giovedì. Non c’è fibrillazione. Basterebbero le poche fulminee parole dette in premessa dal presidente dell’istituto di ricerca Ipsos Nando Pagnoncelli («è roba vecchia») a chiudere il discorso. Eppure è la prima volta che per l’ex premier arriva una condanna definitiva. Avevamo in programma un sondaggio già giovedì sera. Parliamo ovviamente di una reazione a caldo, ma sa che ho dati esattamente identici a dopo la sentenza Ruby? È perché si sta affermando un atteggiamento nuovo. Guardiamo nel dettaglio questi dati. Più del 60% del campione ritiene che i giudici abbiano fatto il proprio mestiere. Solo il 29% è dell’avviso che ci sia una magistratura politicizzata. Ovviamente i risultati sono differenti a seconda degli elettorati. I sostenitori del Pdl per quasi tre quarti propendono per la seconda tesi. Poi, però, alla domanda se il governo debba andare avanti oppure no, lì abbiamo quasi il 70% che dice di sì, bisogna continuare. Con risultati, ed è una sorpresa, molto simili tra elettori del Pd e del Pdl. Cos’è accaduto? Tre cose. Per primo l’aspetto che chiamerei «déjà vu»: i vent’anni di esperienza politica di Berlusconi sono stati caratterizzati da un confronto piuttosto acceso con la magistratura. Stiamo parlando, quindi, di qualcosa che non rappresenta più elemento di scalpore. Gli italiani si sono un po’ abituati... E poi? In una situazione come quella attuale, di perdurante crisi, le priorità si sono completamente modificate. Provi a calarsi nei panni di chi fa sacrifici, corre il rischio di perdere il lavoro, ha il figlio disoccupato e magari non va in vacanza. Questa sentenza cambia la vita a costui? E siccome costui è nell’insieme qualche milione di italiani, ecco spiegata una certa minore risonanza. Qual è il terzo elemento di novità? Ha a che fare con il tema delle larghe intese. È evidente che si tratta di una scelta necessitata ed è altrettanto evidente che il consenso che permane elevato, secondo i nostri barometri, nei confronti del governo sia più il frutto di elementi pragmatici che non di una pacificazione nazionale. Ma non va sottovalutato che siamo entrati in una stagione diversa, il che sta a significare che il consenso ottenuto mediante contrapposizione si è fortemente ridotto. «Deja-vu», crisi economica e larghe intese: questo spiega perché poi anche quelli che dicono «è una sentenza politica» dicono che bisogna andare avanti col governo. Esattamente. Perché sullo sfondo ci sono nuove elezioni con lo stesso sistema elettorale e un quadro di incertezza ancora più preoccupante, a fronte del perdurare della crisi. Ai partiti come va? Crescita lieve di disaffezione verso la politica in genere e piccoli scostamenti, con qualche decimale in più per il Pdl. Si vedono ricadute negative sull’immagine del leader? Berlusconi da tempo non riscuoteva più il successo di una volta. Fra prima e dopo la sentenza il gradimento è cresciuto di due punti, dal 27 al 29%. Sono valori ancora bassi, però è un segnale di solidarietà dagli elettori che magari non si fidavano più per regioni legate all’operato del suo governo ma che, di fronte a una cosa di quel tipo, tornano sui propri passi. Non sembra però essere emersa nel frattempo una figura capace di raccoglierne l’eredità. Il Cavaliere viene giudicato comunque l’unico, all’interno del Pdl, in grado di tenere insieme le diverse anime del partito. Ma allo stesso tempo non è un leader nuovo e l’ultima tornata elettorale ha evidenziato una domanda di cambiamento molto forte. Berlusconi è dunque la ragione della forza e assieme della sua debolezza.