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 2013  agosto 03 Sabato calendario

Rompere la calotta del nostro tempo glaciale e andare a scoprire le correnti sotterranee, alcune torride, per mettere a nudo le ragioni del deserto

Rompere la calotta del nostro tempo glaciale e andare a scoprire le correnti sotterranee, alcune torride, per mettere a nudo le ragioni del deserto. Walter Siti declina la sua ambizione in una ossessiva ricognizione alle origini dei nostri ardori. Resistere non serve a niente, il romanzo edito da Rizzoli che la notte del 4 luglio gli ha regalato il premio Strega, è l’ultimo capitolo di questa indagine. Ambientato nei territori ambigui della finanza, corrotta dal grande crimine, e concentrato sulla dimensione privata del protagonista, Tommaso: ex ragazzo di borgata, ex obeso, ex matematico, ricostruito fisicamente come «un animale di peluche mal ricucito» per la sua carriera criminale. Come è nata questa storia? «La prima idea è di tre anni fa — risponde Walter Siti — volevo affrontare il tema dei soldi. Mi sembrava che fossero una chiave per capire la contemporaneità. Avevo letto I soldi in testa, di Paolo Legrenzi, un breviario di psicoeconomia. Dalla memoria difensiva di un pentito di mafia, ho colto il tema dell’obesità infantile, che poi caratterizza il protagonista. Altri elementi, come l’origine borgatara, l’amico del cuore, il rapporto con la madre, sono invece ben presenti nei miei scritti. Ho poi avuto l’occasione di conoscere un vero gestore di hedge fund e ho cominciato a costruire il personaggio di Tommaso». Quella bulimia infantile diventa poi metafora di una bulimia più generalizzata del nostro tempo. «È quella che porta all’acquisto compulsivo, come se comprando cose si potesse comprare la felicità. Se nei libri precedenti era l’ossessione sessuale a prevalere, in questo caso è il rapporto con il denaro, un desiderio infinito di cose che non possono dire di no. Non mi sembra di avere cambiato strada, in fondo la mia è una ininterrotta ricerca sul desiderio contemporaneo». Eros, cibo, frantumazione di un «Io» sempre più fragile, sono ossessioni ricorrenti. «È così. Il rapporto col cibo è il primo modo di mettersi in relazione con il mondo. I culturisti, di cui ho tanto scritto, hanno la stessa mentalità delle anoressiche. È una lotta continua per far diventare il corpo qualcosa di diverso da quello che si vede. In questi giorni sto scrivendo una cosa sulla beata Veronica Giuliani, vissuta nel 700 a Città di Castello. Una mistica che non mangiava, tanto da preoccupare le sorelle del convento. Una leggenda narra che il diavolo talvolta, prendendo le sue sembianze, facesse irruzione in cucina ingozzandosi di tutto quello che trovava. Sono molto affascinato». Perché c’è sempre Walter Siti nei romanzi di Walter Siti? «Da quando scrivo, Walter Siti c’è sempre stato. All’inizio era al centro dei miei libri. Nel Contagio è un vecchio, nell’Autopsia dell’ossessione è un testimone. In Resistere non serve a niente è solo un orecchio del protagonista. In realtà sto lentamente lavorando per sottrazione. Non riesco a scrivere qualcosa senza rendermene complice. Ho bisogno di tingermi del colore delle cose che racconto e di spiegare al lettore perché le so. Forse è un senso di colpa latente». Una sorta di indagine sulla fascinazione del male? «Quel fascino esiste, deve esserci, altrimenti saremmo tutti buoni, e d’altronde Jago è molto più interessante di Otello. Ma è qualcosa di più ampio che ha a che fare con il nostro tempo e i suoi mutamenti profondi. La bramosia per il desiderio infinito, o la sensazione che l’unica cosa che conta oggi è il possedere. Tutti ne siamo vittime». C’è una critica che vuole rivolgere lei stesso? «Avrei voluto conoscere meglio, dall’interno, la mentalità dei grandi criminali. Quella del piccolo delinquente Tommaso penso di essere riuscito a farla mia. Ma i grandi criminali come mangiano? Come parlano? Come si comportano con le loro famiglie? Mi sarebbe piaciuto conoscerne uno personalmente, ma ovviamente non si fanno raggiungere». E delle critiche che ha ricevuto? «Spesso sono profonde e ti permettono di scoprire qualcosa di te stesso. Un articolo pubblicato dalla rivista «Allegoria» ha rilevato che all’inizio di Resistere io premetto "questo è un romanzo in cui non si parlerà di omosessualità". In realtà, nella struttura, uso uno schema che è quello di Fabrizio Lupo, un romanzo maledetto di Carlo Coccioli, di cui ho scritto una prefazione. In tutti e due i casi l’autore raccoglie una storia che contiene un segreto. Per Coccioli il tema segreto era l’omosessualità, nel mio romanzo la criminalità finanziaria. Quindi — come mi è stato fatto notare e avevano ragione — non è vero che ho abbandonato il tema dell’omosessualità». Che rapporto ha con i soldi? «Buffo. Non ne ho mai avuti, vengo da una famiglia povera e ho vissuto con i proventi dell’università che certo non consentono larghezze. Quando ne ho avuti un po’, per la liquidazione dall’università e gli anticipi dell’editore, la mia reazione è stata di sprecarli. Non ho una casa di proprietà, non riesco a pensare al futuro. Ho più la mentalità del borgataro e vivo alla giornata». Quindi i 5 mila euro del premio Strega sono stati benvenuti. «Eccome, sono tre mesi di affitto. Mi hanno raccontato che l’anno scorso Alessandro Piperno si era dimenticato di ritirare l’assegno e hanno dovuto fargli un bonifico. Io dopo cinque minuti l’avevo già nel portafogli». Si è chiesto perché ha vinto il Premio Strega? «Non ero affatto sicuro, nonostante molti ripetessero da mesi che ero il favorito. Mi aspettavo una battaglia all’ultimo voto. Devo dedurne che molti mi hanno votato magari perché mi conoscevano da prima e apprezzavano il mio lavoro». E questa storia del premio alla carriera? «Io non credo. Piuttosto faccio notare che altri della cinquina erano molto giovani». Su come si è sentito subito dopo la vittoria si è scatenata una gara di aneddoti. «In un’intervista mi sono definito "Un cavatappi travestito da ballerina". Cercavo di spiegare che mi sono sentito come una diva sul tappeto rosso di Cannes. E continuavo a ripetermi, ma sono io?» Sessantasei anni, una vita ad insegnare letteratura italiana, una «normalità» da nome e cognome sull’elenco telefonico, almeno fino a pochi anni fa. È competitivo Walter Siti? «E come si fa a non esserlo venendo dalla Normale di Pisa, dove notoriamente si danno convegno i più bravi d’Italia e anche i più nevrotici?» Anche sulle vendite? «So di non scrivere libri facili, da ombrellone. E sono curioso di capire se anche nella stagione estiva un libro non di intrattenimento può attirare l’attenzione. Spero che il lettore si identifichi con il personaggio, trovi i motivi di interesse nei tormenti dell’individuo. Non è un saggio sulla finanza. Piuttosto un libro di domande in un tempo che precipita senza darci modo di riflettere sulle risposte». twitter@pfallai