Alessandro Penatii, la Repubblica 3/8/2013, 3 agosto 2013
LE SOCIET
di rating hanno declassato le banche italiane a un solo livello sopra
l’investment grade,
con prospettive negative. Un giudizio che contrasta con il tranquillizzante quadro ufficiale: un sistema bancario ben patrimonializzato, in grado di reggere eventuali shock; sofferenze in aumento, ma in parte il risultato di regole più stringenti che altrove, e in parte un problema destinato ad attenuarsi con la ripresa, prevista per l’anno prossimo; il “a qualunque costo” di Draghi che agisce da opzione put per i Btp, calmierando così spread e anche il costo del finanziamento per le banche; la liquidità generosa nel mondo che sostiene Borse e mercati, a tutto beneficio dei titoli bancari; e l’aspettativa che il nuovo governo tedesco, libero da preoccupazioni elettorali (mancano due mesi), potrà agire per stimolare la crescita. Credo che le società di rating concentrino lo sguardo su alcune criticità del sistema bancario italiano che il quadro ufficiale ignora o sottovaluta.
La prima si chiama liquidità.
Da fine 2011 a fine maggio (dati Banca d’Italia), le banche italiane hanno raccolto appena 81 miliardi tra obbligazioni e depositi collocati presso risparmiatori e imprese italiane: equivalgono a meno del 6% dei loro prestiti a famiglie e imprese (1.445 miliardi a fine maggio); e nel periodo hanno perso 50 miliardi in depositi di stranieri, segno che la fuoriuscita di capitali non tocca solo i titoli di Stato. La raccolta congiunta da queste due fonti peggiora nei primi 5 mesi del 2013, contraendosi per 33 miliardi, e quasi tutti da residenti. Le banche hanno dunque difficoltà a finanziarsi in maniera adeguata rispetto alle loro dimensioni e alle esigenze della nostra economia: tagliate fuori dal mercato internazionale dei capitali, non possono neanche contare sugli italiani che riducono la quota di risparmio in banca, non so se per necessità o timore.
Sempre da fine 2011, le banche italiane hanno ridotto il rischio delle proprie attività tagliando i prestiti a famiglie e imprese per 56 miliardi, e ricorso massicciamente al credito della Bce per 126. Ma poiché il credito della Bce viene erogato contro titoli in garanzia, che le banche non avevano in quantità e qualità
sufficiente, hanno accumulato 184 miliardi di titoli di Stato (di cui ben 63 nei 5 mesi del 2013), da usare come collaterale per la Bce, coprire gli scarti di garanzia e costituire un buffer di liquidità (oltre che sostenere il conto economico lucrando lo spread).
Il risultato è questo: il sistema bancario non appare oggi in grado di finanziarsi autonomamente, né di sostenere l’eventuale crescita; è Bce dipendente (che così ha in mano una potente arma per esercitare eventualmente la sua
moral suasion
sul Paese); e ha accumulato una montagna di titoli di Stato (408 miliardi, un quarto del Pil), che prima o poi dovrà smaltire.
Ora, come si pensa di rimborsare, a fine 2014, i 256 miliardi del prestito Ltro della Bce? La vulgata sembra prevedere uno scenario che - grazie a ripresa, impegno del nuovo governo tedesco, e riduzione degli spread permetterà alle nostre banche di tornare a raccogliere autonomamente risparmio italiano ed estero per 250 miliardi, rimborsare la Bce, riscattare i titoli di
Stato a garanzia e collocarli facilmente sul mercato, visto che per allora sarà tornata la domanda estera. Oppure, semplicemente chiudono la linea di credito con la Bce, scaricando sul mercato senza problemi 250 miliardi di titoli di Stato.
Credibile? Più probabile che all’ultimo momento la Bce escogiterà una linea di credito straordinaria per rifinanziare le nostre banche: non sarebbe un bel messaggio per i mercati; né possiamo prevedere cosa ci potrebbe venire chiesto in cambio.
La seconda criticità è la situazione patrimoniale. I coefficienti patrimoniali sono solidi: il Core Tier 1 dei maggiori gruppi è salito dal 7,4% del 2010 al 10,9% di fine 2012. Ma hanno scarso significato: perché il rafforzamento nel periodo è quasi interamente dovuto a una riduzione artificiale delle attività pesate per il rischio (imbottendosi di titoli di Stato invece che tramite cessioni di prestiti); mentre il patrimonio di vigilanza è rimasto pressoché costante, segno della scarsa capacità e volontà di raccogliere capitali, anche per via della struttura proprietaria (popolari e Fondazioni). Le società di rating qualche ragione ce l’hanno.