Marco Valsania, Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 1/8/2013, 1 agosto 2013
L’ECONOMIA USA ACCELERA IL PASSO [2
pezzi] –
La Federal Reserve ha deciso di mantenere immutata la sua politica monetaria di stimolo all’economia, riaffermando la necessità di tassi d’interesse vicini allo zero e di acquisti di obbligazioni per 85 miliardi di dollari al mese. Di più: la Banca centrale americana ha espresso rinnovata preoccupazione per la debolezza dell’espansione, nonostante dati migliori delle attese sul Pil nel secondo trimestre e sulla creazione di occupazione, suggerendo che sarà cauta nel ritirare le misure di sostegno alla ripresa introdotte nei mesi scorsi.
La crescita economica, che ha marciato al passo dell’1,7% negli ultimi tre mesi - anziché dello 0,9% come temevano gli analisti - non appare convincente agli occhi della Banca centrale guidata da Ben Bernanke. Anzi viene descritta, per la prima volta in tre anni, solo come «modesta» anziché «moderata». Il mercato del lavoro, ha continuato la Fed, ha evidenziato miglioramenti «ma il tasso di disoccupazione resta elevato». Investimenti, consumi e settore immobiliare si sono rafforzati «ma aumenti dei tassi sui mutui e politica fiscale frenano la crescita». L’allarme-mutui è a sua volta nuovo. La Fed ha sottolineato inoltre i rischi alla performance economica imposti da un’inflazione a lungo inferiore all’obiettivo del 2% (oggi si colloca intorno all’1%).
La Banca centrale ha di conseguenza affermato che manterrà i suoi acquisti obbligazionari finché «l’outlook per il mercato del lavoro non sarà migliorato sostanzialmente in un contesto di stabilità dei prezzi». E ancora: «Una posizione fortemente accomodante di politica monetaria rimarrà appropriata per un tempo considerevole anche dopo che il programma di acquisti obbligazionari sarà terminato e dopo che la ripresa si sarà rafforzata».
Bernanke aveva scosso i mercati preannuciando nei mesi scorsi che entro fine anno, condizioni permettendo, avrebbe cominciato a diminuire gli acquisti obbligazionari, la strategia del Quantitative Easing. Ora ha cercato di completare una campagna per correggere la rotta nella comunicazione agli investitori, rassicurando sulla prudenza con cui la Fed si muoverà sugli stimoli, compreso lo stesso Quantitative Easing.
L’economia ieri ha mostrato nuovi segni di vitalità, senza tuttavia potersi scrollare di dosso una crescita anemica. Nel secondo trimestre dell’anno ha marciato al passo dell’1,7%, battendo previsioni dello 0,9% ma restando, come ormai da nove mesi, sotto il 2 per cento. Il prodotto interno lordo è inoltre reduce da frenate più brusche di quanto stimato nei primi tre mesi dell’anno, all’1,1% anziché dell’1,8 per cento. Nell’ultimo trimestre sono aumentati gli investimenti aziendali e immobiliari, mentre i consumi hanno frenato all’1,8% dal 2,3 per cento. La spesa pubblica è diminuita a livello federale dello 0,4%, anche se è risalita quella dei governi locali.
Il test cruciale per la ripresa dell’economia degli Stati Uniti avverrà nella seconda metà dell’anno, quando dovrebbe accelerare forse proprio attorno al 2% sull’onda di un minor impatto delle misure di austerity fiscale, del continuo rafforzamento del settore immobiliare e del mercato del lavoro e di schiarite internazionali. Il sondaggio Adp ha mostrato in luglio una incoraggiante creazione di 200mila occupati da parte delle imprese private.
Gli ultimi dati sul Pil hanno tenuto conto anche di significative revisioni storiche e aggiornamenti delle statistiche, effettuati dal Bureau of Economic Analysis del dipartimento del Commercio. Queste correzioni hanno mostrato una crescita più sostenuta nel 2012, pari al 2,8% rispetto al 2,2 per cento. E una recessione meno severa nel 2007-2009, con una contrazione annuale media del 2,9% e non del 3,2 per cento. Le revisioni hanno portato soprattutto a una integrazione nei dati della cosiddetta "knowledge economy", le spese in ricerca e sviluppo come gli asset intangibili quali la proprietà intellettuale. Ricerca, sviluppo e spettacolo hanno aggiunto almeno 471 miliardi di dollari al Pil, salito a 16.200 miliardi di dollari. Non hanno però potuto cancellare le sfide sulle prospettive dell’economia.
Marco Valsania
COSÌ OBAMA HA RISVEGLIATO GLI «SPIRITI
ANIMALI» –
La congiuntura e la struttura: la revisione del Pil americano dal 1929 e i dati del secondo trimestre 2013 permettono di valutare sia l’andamento congiunturale dell’economia Usa che i suoi cambiamenti strutturali. Per la congiuntura, l’aumento trimestrale del Pil, sia pure non entusiasmante, è più forte di quello stimato dagli analisti, e, soprattutto, è in accelerazione rispetto all’1,1% del primo trimestre.
S i è invertita la dinamica precedente che vedeva invece un rallentamento dall’1,8% all’1% (atteso) del secondo trimestre. Un rallentamento che in effetti sembrava poco compatibile con i segnali di ripresa che mandano altri indicatori, dalla fiducia delle famiglie ai prezzi delle case. Questa accelerazione è ancor più evidente nella domanda interna (dall’1,4 al 2,4% per la domanda totale, e dallo 0,5% al 2% per la domanda finale).
La quantità è anche confortata dalla qualità: le componenti più dinamiche della domanda sono gli investimenti e le esportazioni. Fra gli investimenti sono specialmente forti quelli residenziali, che crescono (dati destagionalizzati) del 13,4% sul trimestre precedente e del 14,9% sullo stesso trimestre dell’anno scorso; è importante che sia il settore immobiliare - quello stesso i cui eccessi avevano fatto precipitare l’America e il mondo nella Grande recessione - a risalire la china con più vigore. È importante non solo per una sorta di giustizia poetica, ma anche perché, come dicono oltre le Alpi, quand le bâtiment va, tout va.
I dati danno segnali positivi anche per la finanza pubblica americana. Le spese pubbliche reali, sia di consumo che di investimento, calano: sul trimestre precedente dello 0,4% e sul trimestre corrispondente del 2%. Ne consegue che il Pil "privato" sta aumentando anche più rapidamente di quanto risulti dalla misura complessiva.
La prima lettura del Pil trimestrale ancora non riporta i dati sul conto della Pubblica amministrazione, ma le indicazioni parziali suggeriscono che il deficit pubblico americano sta calando rapidamente, e più rapidamente delle attese, sia per l’aumento delle entrate che per il controllo delle spese. Insomma, l’America sembra sfuggire alla nemesi che affligge i Paesi europei: sta risanando il bilancio senza che l’austerità metta in ginocchio l’economia.
Come ha fatto? Da un lato, l’austerità è stata più graduale; dall’altro, l’economia Usa è più reattiva di quella europea, gli "spiriti animali" sono più pronti a risvegliarsi e il mercato del lavoro è più flessibile.
Ma in questi dati c’è anche molta struttura. La revisione in profondità del Pil americano (si veda il Sole 24 Ore del 29 e del 30 luglio) ha portato, applicando nuovi metodi di calcolo che mettono nell’ovile del Pil altri prodotti dell’economia della conoscenza, a innalzare il prodotto interno lordo di ben 550 miliardi di dollari (confrontando la stima precedente del primo trimestre 2013 con quella dopo la cura metodologica). Questo aumento del 3,4% del livello del Pil è dovuto principalmente a due novità: la presa in conto come beni di investimento degli esborsi per ricerca e sviluppo, e delle spese per la creazione di opere originali, artistiche e di intrattenimento. Una presa in conto doverosa, ché i nostri strumenti di rilevazione stentano a tenere il passo con una sistema economico sempre più immateriale, dove le risorse dedicate all’innovazione fanno sempre più uso di cervelli e meno uso di braccia; e dove la creatività diventa prodotto e guadagno. I contabili nazionali americani hanno seguito a ritroso nel tempo - addirittura partendo dal 1929 - queste due categorie di nuovi investimenti, ed è interessante notare che la spesa in conto capitale per la proprietà intellettuale si rivela, anche limitandosi a un confronto dal 1969 ad oggi, la componente più dinamica della domanda interna.
Fabrizio Galimberti