Roberto Giardina, ItaliaOggi 2/8/2013, 2 agosto 2013
GERMANIA, MACELLERIA D’EUROPA
Appena giunto in Germania, ai tempi di Willy Brandt, entrai dal macellaio vicino a casa, ad Amburgo. Da bravo italiano chiesi del filetto, lui mi rimproverò con gentilezza anseatica: andava prenotato con anticipo, i chili disponibili sono pochi per ogni bestia, e poi perché filetto? Ci sono altri tagli, altrettanto buoni, più a buon mercato.
Prima lezione di economia tedesca e alimentare. Il mio macellaio era per caso il migliore della città, sceglieva personalmente il manzo da tramutare in bistecche, ne curava la frollatura, e quindi era anche il più caro. A Berlino non vado dal macellaio, semplicemente perché sono scomparse le macellerie. Carni e polli si comprano al supermarket, la carne è in vetrina, già tagliata, persino già tritata, cosa che avrebbe fatto inorridire il mio artista amburghese. La commessa si limita a pesare quel che vogliamo.
Ma «Deutschland wird Europas Schlachthaus», la Germania è diventata la macelleria d’Europa, scrive Die Welt. Suonerà male per i soliti convinti che i pacifici connazionali di Frau Angela siano in maggioranza dei nostalgici. Si tratta di una realtà economica e commerciale. Quando la Polonia stava per entrare nell’Unione europea, si promise che ai lavoratori dell’Est sarebbe stato possibile arrivare nel paese solo dopo un’opportuna attesa di qualche anno. Grazie a una voluta dimenticanza, erano già al lavoro il primo giorno: assunti da ditte polacche, con contratti polacchi, e affittati ai tedeschi che li pagavano come a Varsavia o a Stettino, 500 euro al mese. Da un giorno all’altro tutti i macellai in Germania erano polacchi. E oggi sono sempre tutti provenienti dai paesi dell’Est.
Nel 2000 i tedeschi importavano un milione e 460 mila tonnellate di carne e ne esportavano 890 mila; l’anno scorso ne hanno comprato per 2 milioni e 170 mila ed esportate 2 milioni e 570 mila. In particolare, hanno macellato 53 milioni e 707 mila maiali, 16 milioni in più rispetto a vent’anni fa, mentre i suini macellati altrove e importati sono stati appena 4 milioni e mezzo.
Come si constata, si consuma anche più carne, grazie ai prezzi abbastanza convenienti: 7 etti di cotolette, informa il quotidiano, costano 2 euro e 99, e non sarebbe possibile, si spiega con un esempio, senza il lavoro di Petran Dumit, macellaio romeno, emigrato in Germania da quattro anni che insieme con la sua squadra di sei persone, in un macello della Bassa Sassonia, ogni notte lavora 4.500 maiali. In media Petran guadagna un cent virgola 31 per ogni capo. Alla fine del mese si ritrova in busta paga in media 1.500 euro, per lui una fortuna se paragonato a quanto guadagna un professionista a Bucarest. Ma, per risparmiare, è costretto a vivere in un alloggio con altri 16 colleghi. Condizioni che nessun lavoratore tedesco accetterebbe.
Petran ha fatto venire anche sua moglie, Violeta, che è meno brava, guadagna solo 0,98 cent per maiale, e a fine mese si ritrova con 850 euro in tasca. O si ritrovava, perché lei e il marito, rivela infine Die Welt, da novembre sono disoccupati: il macello ha comprato nuove macchine che riducono il numero dei lavoratori, e questi vengono da altri paesi orientali disposti ad accettare compensi ancora più bassi.
In Francia esiste una paga minima, e un macellaio, romeno o no, non può guadagnare meno di 9,43 euro all’ora; in Belgio il salario orario è fissato a 12 euro e 88. Le paghe tedesche consentono ai macelli di esportare in tutta Europa a prezzi imbattibili. Con conseguenze: in Austria, su 14 macelli, l’anno scorso ne sono falliti cinque. Tutto legale, in base alle lacunose leggi europee, ma le proteste contro la Germania aumentano, e il ministero dell’agricoltura a Berlino ha deciso di controllare meglio il settore: dalle sovvenzioni comunitarie, minaccia, saranno esclusi i macelli che pagano meno di 8,50 euro all’ora. Ma probabilmente sarà sempre più conveniente rinunciare ai premi e sottopagare i dipendenti.